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Psicologia dell’Attaccamento e dell’Amore

L’amore, la passione, il desiderio sono dimensioni della vita affettiva che fanno parte di un processo più ampio che si chiama “attaccamento” e che si definisce come: “ propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia “ . (Bowlby, 1969). John Bowlby, con la sua “teoria dell’attaccamento”, avvalorata da rigorose ricerche confermate sperimentalmente, sostiene che lo sviluppo emotivo della persona dipenda dalle caratteristiche del legame che s’instaura fra madre e bambino.
Le ricerche di Mary Ainsworth e dei suoi collaboratori (Ainsworth et al., 1978; Sroufe, Waters, 1977) suggeriscono che la disponibilità della figura primaria di attaccamento a comportarsi come rifugio e la sua affidabilità come base sicura esercita un’influenza sul tipo di attaccamento che il bambino svilupperà e sono in larga misura responsabili dell’individuazione di una soglia di attivazione del sistema comportamentale di attaccamento.

Ricerche successive (per esempio K.E Grossman, K.Grossman, 1991; Main, Kaplan, Kassidy, 1985; Sroufe, 1983; Waters, 1978) hanno evidenziato come, nelle famiglie stabili, questi pattern si mantengono generalmente intatti nei primi anni di vita, modificandosi invece qualora accadano cambiamenti nell’ambiente sociale del bambino (Egeland, Erbe, 1984; Vaughn et al., 1979).
Gli studi confermano la tendenza ad assumere in età adolescenziale con i pari, e in età adulta con il partner, lo stesso ruolo assunto durante l’infanzia con il genitore di riferimento, nella speranza questa volta di ottenere quelle risposte di reciprocità non avute in passato.

Come agiscono sul bambino e sull’individuo adulto questi differenti stili di attaccamento?

Gli individui sviluppano rappresentazioni mentali, chiamate Internal Working Model (IWM), che consistono in una serie di attese che l’individuo ha nei confronti di se stesso, delle figure espressive della sua esistenza, e del rapporto tra sé e queste figure. (Bowlby 1973). Da un punto di vista clinico l’importanza di definire lo stile di attaccamento si ricollega alla possibilità di poter dare un’interpretazione ai disagi del bambino, di riconoscerli in tempo e di prevenire attraverso l’intervento psicologico, patologie paralizzanti e ben più difficili da risolvere in età matura. Main, Kaplan e Cassidy, (1985) hanno rielaborato e ridefinito i Modelli Operativi Interni. La nuova riformulazione del concetto da parte di M. Main e dei suoi collaboratori ha costituito un cambiamento paradigmatico. Ora sono visti come correlati non soltanto alle differenze individuali a livello del comportamento non verbale, ma anche alle differenze sul piano rappresentazionale, che influenzano il linguaggio, il pensiero e la memoria. Inge Bretherton (1985) rendeva evidente alcuni approfondimenti in merito all’organizzazione dei modelli operativi, proponendo nuovi concetti in seguito sviluppati anche in altri lavori sia dalla stessa Bretherton (1990,1991,1992) Bretherton, Munholland, (1999) sia da Zeanah e Anders (1987). Crittenden (1997) sostiene che diviene possibile ipotizzare che tali modelli procedurali rappresentino le matrici attraverso le quali gli affetti e le prime esperienze danno forma al comportamento adulto, senza necessità di valutazione attiva delle condizioni presenti e delle passate esperienze per organizzare le risposte. influenza direttamente la capacità della mente di integrare l’esperienza, e anche la capacità di adattarsi a stress futuri. Inoltre, sempre secondo Siegel, che rileva l’importanza delle esperienze implicite, il senso che ognuno ha di se stesso è plasmato dai ricordi, espliciti e impliciti, costruiti in base ai propri modelli mentali e alla coloritura soggettiva attribuita alle esperienze.

Fonagy, (2001°, 2001 b), distingue dunque tra un livello in cui la rappresentazione degli eventi è formata dal semplice richiamo di ricordi generali e specifici relativi alle esperienze di attaccamento e un livello evolutivamente successivo, in cui la rappresentazione degli eventi è caratterizzata da una maggiore consapevolezza dei propri stati mentali. Lo stesso Freud, (1905) affermò che il legame tra madre e figlio è qualcosa di talmente forte che inevitabilmente sarà preso in esempio come prototipo di tutte le altre relazioni d’amore. “ La relazione del bambino con la madre è unica, senza paralleli, tale che una volta stabilita si mantiene inalterabile per tutta la vita come la prima e più forte relazione d’amore, e come il prototipo di tutte le successive relazioni d’amore “. Il padre della psicoanalisi ha interpretato il legame del bambino con la madre in termini di motivazione secondaria. La madre è colei che può soddisfare bisogni che gli psicoanalisti considerano primari, quali il bisogno di essere alimentato, quello di essere pulito, e quelli a sfondo sessuale da ricondurre alla libido. La madre è, pertanto, l’oggetto su cui il piccolo può scaricare le tensioni derivanti dall’accumulo di energia che occorrerebbe se queste necessità non fossero soddisfatte. L’amore del bambino sarebbe quindi un amore fortemente “interessato”, l’effetto collaterale del bisogno di eliminare le condizioni di disagio. Ancor prima della madre, per Freud il primo oggetto di amore è se stesso, la propria persona, perché nella fase iniziale della vita si vivono le percezioni e le sensazioni come provenienti da se stessi e conseguentemente ci s’investe narcisisticamente sulla propria persona . In questo caso l’oggetto d’amore è il proprio corpo, come nel mito di Narciso. A differenza di Freud, Bowlby riporta l’angoscia alla minaccia di perdere la figura di attaccamento e riconduce le difese inconsce dai sentimenti di dolore e di perdita agli eventi interpersonali vissuti nelle prime fasi di sviluppo. Da un punto di vista cognitivo, Piaget (1923) ha mostrato, con una serie di esperimenti, che le nostre capacità intellettive procedono per un susseguirsi di stadi, qualitativamente diversi gli uni dagli altri. In ogni stadio le conoscenze acquisite sono assimilate a schemi mentali che si modificano e consentono l’adattamento a nuove sfide. Parla di “stadio di permanenza dell’oggetto “indicando la capacità del bambino di rappresentarsi mentalmente oggetti e persone non fisicamente presenti nel campo visivo: sa che la madre e gli oggetti esistono, anche se lui non li vede, sono, per l’appunto, permanenti.
Werner e Silbereisen (2003) hanno riscontrato in una loro ricerca che le ragazze che hanno un rapporto conflittuale con il padre, fatto di abusi sessuali e psicologici, o con padri che non adempiono esperienza di sostegno, hanno maggiori possibilità di coinvolgersi in relazioni affettive patologiche. (Mileer, 1994; Werner et al., 2003).

di Laura Tononi

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