6 Tecniche di Abuso Psicologico nella Manipolazione Mentale

Volendo analizzare la dinamica interna dei gruppi di terroristi e dei culti, per farne un confronto, è possibile tenere conto del modello proposto da Rodrìguez-Caballeira (2010) in cui vengono classificati sei strategie di abuso psicologico o metodi di influenza di gruppo.

 

La prima è la tecnica dell’isolamento, in cui si pone il soggetto nella condizione di stare lontano dalla famiglia, dalla cerchia di amicizie e dalla società al fine di renderlo vulnerabile e aumentare l’influenza esercitata su di lui. Questo è uno dei meccanismi base dei culti; Jonestown ne è l’esempio principe, poiché per garantire la coesione dei membri ed impedirne ogni contatto con l’esterno fu fondato un villaggio esclusivamente per gli adepti. Nel caso dei gruppi terroristici va tenuto conto sia del momento in cui il singolo entra a far parte della comunità e successivamente cosa avviene quando è ufficialmente un membro. Nel primo caso, è il gruppo che ha l’abilità di influenzare il soggetto, attirandolo a sé,  limitando il suo pensiero critico e rendendogli difficile considerare l’idea di lasciare il gruppo o disertare. Una volta entrato nel gruppo a tutti gli effetti, sarà proprio il farne parte ed omologarsi alle sue regole che lo terrà lontano dal resto della società.

La seconda tecnica è quella del controllo e della manipolazione delle informazioni, la quale nei culti è totalmente mediata dal leader che si fa portatore della verità assoluta e rende la dottrina l’unica fonte di informazioni possibile. I terroristi per fare questo si avvalgono spesso di una personale rete di comunicazione costituita da bollettini e comunicati scritti o audiovisivi, al fine sia di consultazione interna al gruppo sia per continuare a intimidire il pubblico generale. Ciò che accumuna questi due tipi di gruppi è che solo poche persone al loro interno conoscono le vere informazioni, e la maggioranza della comunità deve fare affidamento su quelle che la leadership riporta e deve prendere delle decisioni basandosi solo su questo.

Il controllo sulla vita personale è fondamentale in qualunque culto e viene applicato in modo diretto su tutti gli aspetti della quotidianità dei fedeli, così ottenendo la loro totale dipendenza. L’espressione più profonda di questa tecnica emerge nei fenomeni dei suicidi di massa, come con il People’s Temple. Nei gruppi terroristici il controllo avviene in maniera più subdola e meno pronunciata, generalmente molto più legato al concetto di disciplina relativa al tipo di attività terroristica che devono svolgere. Quindi non si tratta di una regolazione della vita dei membri giorno per giorno, anche perché i terroristi non vivono necessariamente in comunità, ma piuttosto riguarda solo il coordinare l’azione terroristica in sé per sé e l’assicurarsi che venga portata a termine. Qui l’opzione del suicidio è contemplata non tanto per la pressione esercitata dal gruppo, quanto per le credenze di alcuni gruppi sulla certezza di un futuro migliore per la collettività tramite il sacrificio della proprio vita e sull’aspettativa di grandi ricompense e gloria nell’al di là.

La quarta tecnica presa in considerazione in questo modello è l’abuso emotivo. Va sottolineato che per quanto concerne le strategie più note dei culti volte ad intensificare le emozioni positive, richiedere una devozione entusiasta e la manipolazione dei sentimenti di colpa e il bisogno di confessare qualunque deviazione non sono affatto comuni nel terrorismo. Ciò che li accomuna sono le forme coercitive utilizzate contro i dissidenti o i membri che considerano di abbandonare il gruppo. Entrambi questi tipi di affiliazione richiedono la totale devozione e quando un seguace si allontana, il gruppo utilizza in modo aggressivo umiliazioni, rifiuto nei suoi confronti, intimidazioni e crudeli punizioni.

Infine gli ultimi due punti sono rispettivamente l’indottrinamento in un sistema di credenze assolute e l’imposizione di un’autorità singola ed indiscutibile. I due gruppi qui analizzati, nelle loro forme più radicali, coincidono sul fatto del prendere in considerazione una dottrina o un’ideologia basata su un insieme di credenze di carattere assolutistico e sostenuto in modo fanatico dai seguaci. I membri del gruppo si convincono di essere in possesso della verità assoluta e utilizzano qualunque mezzo per farla prevalere sulle altre persone e sulla legge. Tra i gruppi terroristici, quelli che hanno carattere religioso come Al Qaeda, mostrano una convinzione più profonda in un dogma che giustifica e legittima le loro azioni. Per quanto simili in questo, i due gruppi si differenziano nel ruolo della leadership. Quanto più è di tipo carismatico, tanto più il gruppo terroristico somiglierà ad un culto, ma generalmente non viene assegnato al leader un ruolo tanto importante ed idealizzato. Jim Jones è il prototipo di leader del culto per eccellenza, investito di una carica quasi divina, dall’autorità indiscussa e poteri soprannaturali. Nel terrorismo invece il leader è solo un ruolo formale, poiché la vere guide a capo dei soggetti sono l’ideologia e i valori su cui si fonda il gruppo.

Tenendo conto di queste osservazioni è scorretto far combaciare l’idea di culto con quella di terrorismo, anche se sembrerebbe che il loro sviluppo sia basato su componenti simili. È possibile comunque ipotizzare che uno studio delle dinamiche di gruppo che emergono nei culti aiuti a comprendere anche quelle dei gruppi terroristici, senza perdere di vista le differenze nel campo della leadership e degli obiettivi. Il parallelismo che sembrerebbe più evidente è quello nel campo della manipolazione degli affiliati, per questo motivo si concorre a sostenere che sia i culti che i gruppi terroristici non avrebbero possibilità d’azione senza l’appoggio e il sostegno cieco e incondizionato dei membri che li compongono e sembrerebbe questo il punto che li rende tanto coesi, forti e intimidatori.

di Valentina Conte

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