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5 tipi di amore patologico: come riconoscerli e scardinarli

“ Se ami saprai che tutto inizia e tutto finisce e che c’è un momento per l’inizio e un momento per la fine e questo non crea una ferita . non rimani ferito , sai che quella stagione è finita . Non ti disperi , riesci a comprendere e ringrazi l’altro : mi hai dato tanti bei doni , mi hai donato nuove visioni della vita , hai aperto finestre nuove che non avrei mai scoperto da solo . Adesso è arrivato il momento di separarci ,le nostre strade si dividono . Non con rabbia , non con risentimento , senza lamentele e con infinita gratitudine , con grande amore , con il cuore colmo di riconoscenza. Se sai come amare , saprai come separarti”. ( Osho )

Il disagio mentale può essere letto come l’esito di selezioni estremamente rigide – regolate dai modelli operativi interni – degli elementi da elaborare, che, in età infantile avevano come scopo l’esclusione difensiva di tutte quelle informazioni che avrebbero portato a prendere contatto con il proprio bisogno di essere confortato e amato. Le psicopatologie possono, in altre parole, essere interpretate come l’esito di funzionamenti anomali di quei processi cognitivi inconsci che hanno avuto origine nelle prime fasi dello sviluppo. Vediamone alcuni in questo articolo

  • Paura dell’abbandono e ansia da separazione. Per la psicanalisi ( Freud , 1929 )la prima esperienza di separazione avviene al momento della nascita, quando ci si separa dalla fusionalità corporea con la madre. Ogni tentativo successivo di fusionalità con l’altro è un tentativo di riparare all’originaria separazione. Sarà proprio la figura materna che durante il processo evolutivo dovrà porre riparo a quella separazione originaria e far evolvere il proprio figlio verso un maturo svincolo dalle figure genitoriali. Se questo processo non avviene o avviene in modo ambivalente tutte le successive separazioni saranno estremamente dolorose. Dietro la paura dell’abbandono c’è la paura della solitudine , ma anche qualcosa di più profondo : la paura di non esistere. Quando ci sentiamo amati da qualcuno abbiamo anche la conferma di esistere: la persona che ci ama ci fa sentire importanti e amati , ma prima di tutto ci fa sentire che ci siamo. Nel momento in cui quest’amore ci viene a mancare ci sentiamo smarriti e proviamo un senso di vuoto.
  • Il partner manipolatore. Il partner manipolatore tende a sminuire l’altro come persona , lo contraddice in continuazione, ne critica l’aspetto fisico ; fa di tutto perché si accetti la sua opinione, racconta spesso bugie, recita spesso la parte della vittima, adula per ottenere ciò che vuole, usa nei confronti del partner l’arma della colpevolizzazione e ne controlla ogni azione.(Pascal, Chapaux-Morelli, Pascal Couderc, 2011) Nel suo passato affettivo e relazionale è stato vittima di abusi di qualsiasi tipo, la relazione tra i suoi genitori era simile a quella che tende a instaurare col proprio partner; ha abusato e/o abusa di alcool, droghe, e quant’altro, ha un temperamento aggressivo. La presenza di un partner manipolatore innesca nella coppia un meccanismo di reciproco cambiamento. Il partner manipolatore vuole introdurre un cambiamento nell’altro partner. Quest’ultimo, spesso ignaro di tale manipolazione , spera che il partner manipolatore col tempo cambi modo di relazionarsi. In tale attesa subentra un meccanismo di assuefazione tipico delle relazioni manipolative, per cui, in virtù di tale meccanismo si finisce col cambiare.
  • La chiusura del cuore. Un cuore sigillato dove nessuno potrà entrarvi. Questa è la strategia inconsapevole e pericolosa dettata dall’erronea speranza di non poter più soffrire, che invece ci condanna alla più grande sofferenza mai esistita: il non poter, il non riuscire ad aprirlo questo cuore, il non permettere di farvi penetrare amore autentico e di sperimentarne la forma più autentica e più alta, l’intimità e la reale condivisione delle anime (Attili, 2004). Coloro che hanno il cuore chiuso conoscono perfettamente l’arte minuziosa e malefica di eludere l’intimità, vivendo al contempo nella convinzione di essere autentici e di penetrare in profondità grazie ad un escamotage: il portare a estrema intensità le proprie emozioni attraverso la passione, il sesso, il dolore. Il messaggio morale da chi è cresciuto apprendendo la chiusura del cuore è ridondante nell’età adulta con espressioni tipo: l’intimità non va bene, farà male, male perché la figura di attaccamento stessa ne è stata a suo tempo infastidita, la voglia di amare e di vivere fa star male, fa soffrire. Questi messaggi morali espressi da chi cresce e non necessariamente tramite parole, sono molto comuni e sono spesso la base e il terreno fertile per lo sviluppo della paura dell’intimità.
  • Il concetto di Limerence. Il concetto di Limerence (in italiano ultrattaccamento) è stato elaborato dalla psicologa Dorothy Tennov in seguito ad uno studio scientifico sull’amore romantico. Questa psicologa ha intervistato oltre 500 soggetti sul concetto di amore e ha coniato nel 1977 il termine “Limerence” pubblicandolo in “ Love and Limerence : the experience of being in Love “. L’espressione descrive lo stadio finale , quasi ossessivo, dell’amore romantico. E’ uno stato cognitivo ed emozionale caratterizzato da intenso desiderio per un’altra persona. Spesso intende lo stato di una persona che esprime preoccupazione per la persona amata e, come mostrano recenti ricerche sulla neurochimica, uno stato mentale simile a un disturbo ossessivo compulsivo. Sarebbe, infatti, lo stato ossessivo, l’idealizzazione irrazionale e l’intenso desiderio di essere ricambiati. Gli individui colpiti sono costantemente attratti da partner sbagliati, soffrono amori non corrisposti e sono incapaci di imparare dalle loro esperienze. Ne deriva un senso di angoscia emotiva e un grave senso di inutilità che accompagna la persona nel corso della vita. Le principali caratteristiche sono: pensiero ossessivo e intrusivo sulla persona amata, timore del rifiuto, speranza nel conquistare prima o poi l’altro, manifestazioni fisiologiche del limerent, quali stati ansiosi e tachicardia, attenzione selettiva a qualsiasi azione, pensiero o circostanza che può essere interpretata favorevolmente come sentimento ricambiato da parte della persona amata, capacità di inventare o trovare spiegazioni logiche favorevoli ed azioni, pensieri e circostanze del tutto neutre in tal senso, della persona amata.
  • Lo stalking. La parola stalking deriva dal linguaggio venatorio della caccia e letteralmente significa “fare la posta” per poi estendersi al comportamento intenzionale, malevolo e persistente, di seguire o molestare un’altra persona, creando così il fenomeno della stalking ( Barsotti , desideri, 2011). I comportamenti tipici del fenomeno dello stalking sono telefonate, sms, pedinamenti, lettere e fiori, appostamenti vari (casa, lavoro, cc ), violazione di domicilio, visita sul luogo di lavoro, minacce di violenza fisica e sessuale di diverse entità, fino ad arrivare a comportamenti estremi come tentato omicidio e omicidio . La maggioranza degli stalkers sono di sesso maschile e attuano tali comportamenti nei confronti di compagne che hanno interrotto o vogliono interrompere la relazione . Il comportamento di stalking viene agito per diversi motivi, quali il recupero della relazione, la vendetta dei torti subiti, il desiderio di continuare a esercitare un controllo sulla vittima . Il profilo psicologico dello stalker è quello di una personalità debole che, per la paura di essere abbandonato, al pari di un copione già vissuto nell’infanzia, si lega ossessivamente a qualcuno. Facendo riferimento alla teoria dell’attaccamento, c’è la presenza di un modello di attaccamento insicuro (ansioso – ambivalente, evitante – disorganizzato). (Bowlby, 1973).

Inoltre, l’essere esposto a una mancanza di protezione, o a ricevere minacce invece di conforto, ponendosi in condizioni di stress cronico, provocherebbero danni cerebrali in particolare ad aree specifiche quali l’ippocampo e i circuiti neuronali responsabili della memoria e dell’apprendimento ( Howe, Toth, Cicchetti, 2006; Howe, Cicchetti, Toth, Cerrito, 2004; Schore, 2001). Il fatto che gli stili di attaccamento insicuri siano associati a solitudine (Hazan, Shaver, 1987), ansia, depressione e sintomi fisiologici (Fiala, 1991; Hazan, Shaver, 1990) bassa autostima (Collins, Read, 1990; Feeney, Noller, 1990), emotività (Simpson, 1990) e nevroticismo (Shaver, Brennan, 1992) fa pensare che i soggetti insicuri abbiano, indubbiamente, problemi di adattamento. 7

di Laura Tononi

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