Elisa Claps: analisi criminologica di un caso di femminicidio

Articolo di Simona Di Lucia

 

crime

Il caso di Elisa Claps rappresenta una delle storie di cronaca più angoscianti degli ultimi vent’anni. Questa vicenda è stata catalogata come uno dei primi «femminicidi». Il neologismo “femminicidio” si riferisce ad un termine che sta ad indicare un crimine antico quanto il mondo. Danilo Restivo – ovvero l’aguzzino della Claps – finalmente è stato assicurato alla giustizia, ma in questa storia sono presenti molti aspetti ancora irrisolti: lungaggini burocratiche, depistaggi, fughe di notizie ed altre aporie.

Il 30 giugno 2011 Danilo Restivo è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale di Winchester per l’assassinio di Heather Barnett, uccisa il 12 novembre 2002 a Charminster, un villaggio del Dorset, nei pressi di Bournemouth, nel sud dell’Inghilterra.

Il giudice Michael Bowes, quando pronunciò la sentenza – in cui si affermò che sicuramente Restivo aveva ucciso anche Elisa Claps – rivolse all’omicida le seguenti affermazioni: ‹‹Lei non uscirà mai di prigione […]. Lei è recidivo. È un assassino freddo, depravato e calcolatore […] che ha ucciso Heather come ha fatto con Elisa […]. Ha sistemato il corpo di Heather come fece con quello di Elisa. Le ha tagliato i capelli, proprio come Elisa […]. Merita di stare in prigione per tutta la vita››.[1] Non si trattava quindi di un delitto ordinario, ma di un omicidio rituale. Parallelamente a questo caso, il 17 marzo 2010, fu scoperto il corpo, quasi mummificato e scheletrizzato, di Elisa Claps a Potenza, all’interno del sottotetto della chiesa della Santissima Trinità. Accanto al cadavere era presente una ciocca di capelli della ragazza. Nel frattempo, il 19 maggio 2010, la polizia di Bournemouth arrestò Danilo Restivo.

Don Mimi Sabia, che all’epoca alla quale risalgono i “fatti incriminati”, svolgeva le mansioni di parroco presso la chiesa della Santissima Trinità, ha ammesso che due componenti dell’impresa di pulizie avrebbero rinvenuto, alcuni mesi prima, i resti della salma di Elisa, dopodiché l’avevano contattato perché li visionasse; ragion per cui il sacerdote prese coscienza della situazione. Il parroco probabilmente cercò di mettersi in contatto con il vescovo, ma il prelato non si trovava in Curia, a causa di impegni personali. Sembra che in seguito il sacerdote non si sia più interessato all’argomento, come sostiene nel suo libro “Uomini che uccidono le donne”, il dott. Luciano Garofano.[2] Ne discende che gli inquirenti non erano stati informati.

Il corpo della ragazza, rivestito dagli abiti sgualciti, versava in evidente stato di decomposizione; il look di Elisa era tipico di una teenager: i sandali ai piedi, l’orologio di plastica al polso; inoltre, vicino della salma, fu rinvenuto dagli investigatori  un indizio molto prezioso: un paio di occhiali. Il tessuto epidermico di Elisa presentava evidenti segni di tumefazione, ma costituiva ancora un valido oggetto d’analisi per gli investigatori; in seguito al ritrovamento del cadavere, la zona venne circoscritta ed isolata. Elisa Claps era un’assidua frequentatrice della parrocchia della Santissima Trinità e risultava una delle ragazze più attive all’interno della comunità di Potenza; d’altro canto, anche Danilo Restivo era un attivista in ambito cattolico: suo zio era un parlamentare democristiano; inoltre, suo  padre era un grande esperto di brigantaggio, all’epoca responsabile della biblioteca nazionale cittadina. I due ragazzi si frequentavano ed erano amici.

Il 12 settembre 1993 Elisa era uscita di casa con la sua amica Eliana alle ore 11:15 circa, per raggiungere la chiesa della Santissima Trinità ed ascoltare la messa domenicale.

Elisa ed Eliana percorsero la scalinata di via IV novembre, verso il centro della città, ma giunte in Piazza Mario Pagano si separarono. Elisa aveva un appuntamento, presso la chiesa della Trinità, con Danilo Restivo, un giovane che la corteggiava da circa un anno e di cui ripetutamente aveva rifiutato le avances. La ragazza venne vista mentre passeggiava per le stradine attigue alla chiesa della Trinità, da un ex amica di scuola, alle ore 11,30 – 11,45 circa. Dopo aver incontrato Danilo, Elisa scomparve nel nulla. La ragazza da quella Chiesa non uscirà mai più. Un’ora dopo, i familiari preoccupati per l’enorme ritardo della figlia, decisero di chiamare i carabinieri i quali cominciarono a cercarla, successivamente anche in tutta Italia, eccetto nella Chiesa dove era stata vista l’ultima volta dall’amica, per volere del parroco di allora, don Mimì Sabia che si rifiutò di farla perquisire.

Il Restivo dichiarò di essere stato in chiesa e che durante il suo ingresso in tale sito aveva notato Elisa avviarsi verso l’uscita; l’amica Eliana, invece, che l’aspettava davanti all’ingresso principale di tale edificio, non la vide mai uscire. La ragazza era irrintracciabile. All’epoca dei fatti, Danilo Restivo aveva 21 anni mentre Elisa ne aveva solo 16. Nel 1998 Danilo Restivo fu tratto in arresto e accusato di falsa testimonianza. Gli inquirenti gli contestarono, infatti, la dichiarazione rilasciata subito dopo la scomparsa di Elisa. A ben vedere, nel ripercorrere i suoi movimenti di quel 10 settembre, esisteva un buco di circa un’ora e mezza che il Restivo non riusciva a giustificare. Intanto, il soggetto non poteva essere incriminato perché il corpo non era stato ritrovato e non sussistevano prove del delitto. Questo fu il motivo per il quale il ragazzo fu condannato solo a due anni e otto mesi di reclusione.

Nell’aprile del 1999, mamma Filomena ricevette una mail inviata dal Sudamerica, in cui si leggeva che Elisa godeva di buona salute, si trovava in Brasile e non aveva intenzione di ritornare a Potenza. Successivamente, in seguito a controlli fatti dai carabinieri, si accertò che quel messaggio di posta elettronica era stato inviato proprio da un bar di Potenza. I parenti della vittima sospettarono senza indugio di Restivo, il quale negò di aver spedito tale mail. Dopo breve tempo, lo stesso, emigrò in Inghilterra, dove iniziò una convivenza con una donna conosciuta tramite internet e che sposò successivamente nel 2004. Nei diversi interrogatori, Restivo sostenne che era stata Elisa a volerlo incontrare in quella giornata del 12 settembre 1993 e che qualche settimana prima della scomparsa lei aveva rifiutato le sue avances, ma in ogni caso erano rimasti amici.

Il 17 marzo 2010 Gildo Claps, stava tornando in macchina da una riunione d’affari a Napoli quando il suo telefono cominciò a squillare. Erano trascorsi alcuni anni da quando Elisa era scomparsa. Al telefono era Fabio Amendolara, un giornalista della redazione lucana della Gazzetta del Mezzogiorno. L’ufficio di Amendolara era vicino alla chiesa della Santissima Trinità.

«Gildo? Sono Fabio. Sei a Potenza?».

«No, sono in macchina. Sto tornando da Napoli. Perché?» […].

«Credo che ci sia qualcosa che tu dovresti sapere, […] c’è un gran movimento attorno alla chiesa della Santissima Trinità. Ti farò sapere se ci sono novità».

«Ok, ciao, Fabio». Gildo mise giù il telefono».[3]

Qualche minuto dopo, il suo cellulare squillò di nuovo: era don Marcello Cozzi, un sacerdote, vicepresidente dell’associazione anti-mafia Libera. Egli era diventato molto amico di Gildo Claps, in quegli anni di depistaggi e occultamenti.

«Ciao, Gildo.  Sei a Potenza?».

«No, perché?».

«Dove sei?».

«In macchina. Sto tornando da Napoli. Cosa c’è?».

«Puoi accostare un attimo?». La voce di don Marcello era seria.

«Gildo!», disse don Marcello a bassa voce. «Hanno trovato Elisa. Era nella soffitta della chiesa. È stata lì per tutti questi anni». [4]

A rinvenire i suoi resti furono degli operai chiamati per eseguire lavori di ristrutturazione, per cercare di riparare un’infiltrazione d’acqua, nell’area attigua al tetto della Chiesa. In tal modo, gli esperti delle Forze dell’Ordine visionarono la scena del crimine: intrapresero lo stesso tragitto compiuto dai lavoratori, salendo lungo una scala stretta che dalla sagrestia conduceva ad una piccola terrazza e da quel luogo, transitando attraverso una piccola porta, riuscirono ad avere accesso al sottotetto. I “periti con le tute bianche” prelevarono alcuni campioni, tracce di DNA e altri indizi con il Crimescope. Uno dei ritrovamenti più strani fu un bottone rosso, probabilmente appartenente alla veste di un cardinale.

La scena del crimine si presentava in modo agghiacciante: nella soffitta polverosa di una chiesa veniva eseguito un foro nel tetto, in modo da far disperdere i miasmi emanati dal corpo della vittima. L’autopsia effettuata da Francesco Introna non fu semplice: il corpo si presentava parzialmente mummificato dopo diciassette anni. Elisa Claps era stata uccisa con circa tredici pugnalate, ancora visibili sul corpo: la ragazza era stata aggredita alle spalle. Tale dinamica scaturisce dal fatto che sulla schiena erano presenti tre ferite da taglio. Le armi impiegate dall’offender erano due: un coltello e un paio di forbici; queste ultime erano state utilizzate per recidere il reggiseno della ragazza nella parte anteriore, mentre la parte posteriore di tale indumento intimo era stata sganciata a mano. L’aggressore aveva proseguito la sua opera di accoltellamento, nonostante la minorenne fosse distesa, quand’anche già morta. Il corpo, inoltre, presentava alcuni tagli all’altezza delle mani, in prossimità del pollice e dell’indice, che la vittima si era procurata nel tentativo di difendersi dall’aggressore. La ragazza aveva i pantaloni abbassati e a fianco al corpo era presente una ciocca di capelli.

Nel marzo del 2011, vale a dire un anno dopo la scoperta del cadavere, il DNA di Danilo Restivo fu ritrovato sulla maglietta di Elisa; per di più, fu confermato che la ferita alla mano del Restivo, nel giorno della scomparsa della ragazza, non era stata provocata dalla caduta da una scala, come da lui stesso dichiarato. Elisa, negli attimi che precedettero la sua morte, diede le spalle al suo aggressore, dopodiché l’offender mise in atto la violenza. Sulla salma della vittima gli inquirenti riscontrarono ecchimosi nell’alveo vaginale e misero in evidenza che si trattò di un’aggressione a sfondo sessuale. C’è da dire, però, che a tutt’oggi non risulta chiaro se l’assassino si sia spinto fino in fondo nella sua violenza carnale.

L’8 novembre 2011, presso il Tribunale di Salerno, ha avuto inizio il Processo di Primo Grado a Danilo Restivo, con rito abbreviato. Nel corso della prima udienza i PM avanzarono per Restivo la richiesta di una condanna a trent’anni di reclusione, ossia il massimo possibile della pena, unitamente all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata, al termine dell’espiazione della pena. L’11 novembre 2011, il Restivo è stato condannato a trent’anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici; inoltre, dovrà sottostare al regime di libertà vigilata per tre anni a fine pena, oltre al versamento di € 700.000 alla famiglia Claps, a titolo di risarcimento.

Permangono, a tutt’oggi, alcuni punti oscuri in questa vicenda: com’è stato possibile che non sono stati sequestrati i vestiti macchiati di sangue del Restivo e che la scena del crimine non è stata perquisita?

Luigi De Magistris, nel suo testo intitolato “Assalto al PM”, descrive, in maniera appropriata, il modo in cui possano essere coinvolti in “loschi tornaconti” anche alcuni magistrati. Lo scandalo delle ”toghe lucane” «riguardava un groviglio di potere tenuto insieme da interessi criminali forti che vedeva coinvolti esponenti delle istituzioni, politici, imprenditori e diversi magistrati».[5]

De Magistris aveva evidenziato che «in Basilicata ci si scontra con un vero e proprio “sistema” di malavitosi, una cupola di potere, e scavandoci dentro ci si imbatte in una serie di brutti crimini, di vecchie storie, che non hanno mai raggiunto una soluzione, di veri e propri misteri…».[6]

Tra questi misteri va annoverato senz’altro il caso di Elisa Claps. Il Processo di Appello, iniziato a Salerno il 20 marzo 2013, avvenuto in presenza dello stesso Restivo, si è concluso il 24 aprile 2013, con la conferma della condanna a trent’anni di reclusione. Il reo dall’11 marzo 2013 è stato estradato temporaneamente in Italia e sconterà la pena dell’ergastolo in Inghilterra. Danilo Restivo «è una persona con personalità multiple. Squilibrato ma lucido. Troppo lucido per essere un malato di mente. Durante i processi era tranquillo, persino arrogante».[7] È quello che emerge dalle parole di don Marcello Cozzi.

L’omicida è stato rappresentato dalle Forze dell’Ordine alla stregua di un ragazzo poco integrato, asociale, che si comportava in modo insolito e queste sue caratteristiche sono state determinanti ad indurre Elisa a frequentarlo, in quanto la ragazza era dispiaciuta da questo status quo del Restivo. Il comportamento di Restivo era associabile a quello di un maniaco seriale, affetto da «turbe sadiche»: il soggetto delinquente era solito tagliare i capelli alle proprie vittime.

Il Restivo presentava un profilo sociopatico: egli manifestava una personalità aggressiva e disturbata, in quanto metteva in atto comportamenti feticisti e ritualistici. Il feticismo è annoverato tra le parafilie, o perversioni sessuali, e consiste nel concentrare il desiderio erotico su uno specifico oggetto, oppure su una determinata parte del corpo. Sembra che il soggetto scaricasse il proprio desiderio erotico su ciocche di capelli che tagliava a giovani donne; Restivo era solito salire sugli autobus e mettersi sedere nelle ultime fila per tagliare alle ragazze alcune ciocche di capelli.

Aveva un rapporto distorto col sesso femminile e con la sessualità in generale. Un’amica di Elisa, sentita in qualità di testimone, riferiva che la vittima le aveva confidato di essere oggetto, da parte di Danilo Restivo, di un corteggiamento “che le dava fastidio, perché molto assillante”. La «teste» precisava che Elisa aveva accettato di incontrare Danilo nella chiesa della Trinità, sebbene lo considerasse seccante.

La storia di Elisa ha incrociato altri segreti che in qualche modo ruotavano probabilmente intorno alla chiesa o intorno a quei personaggi che in questa storia sono stati attori principali. La rete di copertura e la complicità di cui ha goduto questo brutale assassino, posseggono dei connotati omertosi, che a tutt’oggi offuscano la verità. Per porre fine a questa storia, bisognerebbe fornire una risposta sulle zone d’ombra circa l’operato di chi è stato tra i protagonisti di questa vicenda. A questo punto la domanda sorge spontanea: «Siamo certi che don Mimì Sabia non sapeva nulla?». È una domanda cruciale ma ancora oggi senza una risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[1] La Repubblica, 30.06.2011, Restivo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Heather Barnett.

[2] L. Garofano, P. Russell e A. Vogt, Uomini che uccidono le donne. Da Simonetta Cesaroni a Elisa Claps, Storie di delitti imperfetti, Rizzoli, Milano, 2011.

[3] J. Tobias, Sangue sull’altare, Il saggiatore, Milano,  2012, p. 211.

[4] Ibdem, p. 212.

[5] J. Tobias, Sangue sull’altare, Il saggiatore, Milano,  2012, p. 153.

[6] Ibidem, p. 154.

[7] Ibidem, p. 164.

Articolo di Simona Di Lucia

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