Come aiutare (veramente) un depresso

 

L’IPT (interpersonal therapy), oltre alla CBT (cognitive behavioral teraphy) sembra essere la terapia più efficace nel trattamento della depressione, sia nei casi acuti che in quelli di mantenimento.

L’IPT è nata agli inizi degli anni ’70 dal gruppo di ricercatori gestito da Gerald Klerman e veniva usata inizialmente per quei pazienti, non ospedalizzati, affetti da depressione maggiore. L’IPT include il modello biopsicosociale della psicopatologia di Myers, il paradigma interpersonale di Sullivan, la teoria dell’attaccamento di Bowlby. La ricerca empirica ha trovato una forte correlazione tra i disturbi dell’umore e gli eventi traumatici della vita (la morte di una persona amata, la mancanza di armonia all’interno di una relazione coniugale, la solitudine e l’isolamento sociale) influenzando così l’IPT.

 

Le caratteristiche dell’IPT sono:

  1. La brevità dell’intervento: la terapia, che si divide in 12-16 sessioni a cadenza settimanale, viene discussa precedentemente con il paziente: ciò porta il paziente ed il terapeuta a concentrarsi da subito sul depotenziamento dei sintomi depressivi, per poi concentrarsi sull’attuale crisi interpersonale legata alla depressione, onde evitare l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza;
  2. Il focus: per ciascun paziente, la terapia si focalizza su una o massimo due aree interpersonali problematiche che vengono individuate attraverso un’accurata ricerca e che, in seguito, vengono identificate come i precursori dell’attuale episodio depressivo.

Gli eventi precursori possono essere:

  • La perdita di una persona amata e, quindi, il conseguente dolore irrisolto
  • Una transazione dei ruoli con scarso adattamento ai cambiamenti di vita
  • Dispute riguardanti i ruoli interpersonali come situazioni conflittuali
  • Deficit interpersonali come l’impoverimento delle reti sociali.

Così facendo paziente e terapeuta si concentreranno esclusivamente su:

L’Hic et Nunc: l’IPT si concentra sulle problematiche interpersonali attuali che sono suscettibili di cambiamento, evitando così l’applicazione di strategie per la risoluzione di problematiche passate (rimugino di esperienze passate, impossibili da modificare) e promuovendo invece la risoluzione di quelle future;

4. L’utilizzo di un modello medico: l’IPT definisce la depressione da un punto di vista medico, in modo che i pazienti, al posto di sentirsi colpevoli della loro condizione, assumano il “ruolo del malato” e vengano “educati”, correggendo le percezioni errate riguardanti il disturbo così da richiedere il trattamento, facilitando la combinazione tra psicoterapia e farmacoterapia (che deve essere fatta in maniera accurata, basandosi sulla gravità della malattia, sul livello del danno, le eventuali preferenze dei pazienti e tendenze suicide, e con continui monitoraggi riguardo gli effetti collaterali dei farmaci, onde evitare peggioramenti clinici sia da un punto di vista cardiologico che psichiatrico);
5. Etichettare l’attuale episodio depressivo: facilitando la risoluzione dell’attuale crisi interpersonale, evitando la remissione dei sintomi depressivi. L’IPT non punta al “cambiamento” della personalità del paziente, in quanto ognuno risponde in maniera diversa alle esperienze interpersonali, ma bensì all’acquisizione di nuove abilità interpersonali così da poter compensare problemi di personalità;
6. L’atteggiamento del terapeuta: uno degli obiettivi dell’IPT è quello di creare un setting accogliente, in cui possano instaurarsi fiducia e comprensione, atti a mantenere l’alleanza terapeutica. I terapeuti IPT oltre ad avere ruolo attivo e di guida nei confronti del paziente per tutta la durata della terapia, trasmettendogli speranza riguardo il raggiungimento degli obiettivi del trattamento, fornendogli sostegno, rassicurazione e consigli, devono anche avere buone, se non ottime, conoscenze in ambito cardiologico. Il focus aiuta a promuovere la risoluzione delle problematiche sovra elencate, aiutando il paziente a mettere in atto strategie per affrontare appieno la sua esistenza.

Non viene data molta importanza al transfert o alla relazione terapeutica, in quanto l’IPT si concentra maggiormente sull’ambiente interpersonale del paziente all’infuori del setting terapeutico. In caso di transfert negativo, quest’ultimo può essere trattato attraverso la discussione dell’atteggiamento del paziente nei confronti del terapeuta e di come ciò possa fortemente incidere nella costruzione delle relazioni interpersonali, rendendole problematiche al di fuori del setting terapeutico.

Ritornando al punto 1., nello specifico la terapia si divide in:

  • Fase iniziale (sessioni 1-3): vengono raccolte informazioni sul paziente atte a produrre una valutazione diagnostica e psichiatrica, delineandone non solo la storia personale ma anche quella medica. Il terapeuta raccoglie informazioni riguardo l’episodio cardiaco e il rapporto del paziente con lo stesso, l’insorgenza e il decorso della depressione, in modo che, dall’unione dei due eventi, possa essere scongiurata, dopo la consultazione del DSM-IV, la presenza di una depressione maggiore. Il terapeuta può utilizzare delle scale di
    valutazione standardizzate (HDRS o BDI, somministrabili ogni una o due settimane nel corso del trattamento di monitoraggio clinico correlato ai progressi terapeutici) per avere una revisione completa della sintomatologia e della gravità della malattia. Viene attuato il punto 4. e viene stillato un inventario interpersonale contenente le informazioni riguardanti i punti di forza e di debolezza del mondo interpersonale del paziente, le sue relazioni significative e la frequenza con cui il paziente interagisce con esse, le sue aspettative, il grado di soddisfacimento, aspetti positivi e negativi e possibili cambiamenti (indesiderati e non) all’interno delle relazioni. Questo servirà sia per l’attuazione del punto 2. che per determinare il tipo di attaccamento del paziente (sicuro, ansioso ambivalente, ansioso evitante, disorganizzato) insieme ai suoi pattern di comunicazione, che sono fondamentali sia per il suo benessere che per riuscire a far fronte a fattori interpersonali o di vita stressanti. Il terapeuta indaga anche sulla percezione che il paziente ha sul tipo, la qualità e l’utilizzo del sostegno interpersonale (incluso quello medico), sulla disponibilità dello stesso e su quali siano gli impedimenti che non permettono al paziente di avere il sostegno necessario. Così facendo verranno definiti gli obiettivi di cambiamento e il piano di trattamento (facenti sempre parte del punto 2.) che, una volta concordati tra paziente e terapeuta, daranno avvio al trattamento vero e proprio.
  • Fase intermedia (sessioni 4-9): una volta chiarito il punto 2. il terapeuta deve accertarsi che il paziente rimanga concentrato sull’area problematica individuata, acquisendone maggiore comprensione e cercando di trovare delle strategie per la risoluzione della stessa. Per favorire e mantenere il focus sull’hic et nunc le sessioni di questa fase iniziano con delle frasi “stimoli” come ad esempio: “dall’ultima volta che ci siamo incontrati, come sono andate le cose?”.
  • Fase conclusiva (sessioni 10-12): durante la fase conclusiva il terapeuta deve constatare se siano necessarie altre sedute: se il paziente non ha risposto o ha risposto in parte al trattamento è importante rivedere le altre opzioni di cambiamento, curandosi di sostenere il paziente, in quanto potrebbe ritenersi colpevole del fallimento del trattamento, cercando piuttosto di enfatizzare gli sforzi ed i risultati raggiunti. Nel caso in cui, invece, il paziente avesse risposto bene al trattamento il terapeuta fa un rapido excursus dei miglioramenti e degli obiettivi raggiunti, rendendo consapevole il paziente che è giunto il momento che egli divenga indipendente dal terapeuta, nonostante il senso di tristezza che scaturisce dalla fine del trattamento, educandolo a mettere in atto le strategie apprese per contrastare la depressione e le possibili ricadute, divenendo così più autonomo nell’affrontare le problematiche future.

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