Psicologia del Lavoro: Riassunto Completo

Articolo di Valentina Malinverni

In passato, seppur remoto, l’attività dell’uomo era in diretta relazione con la soddisfazione dei bisogni. Nell’era preindustriale il rapporto tra necessità dell’individuo e lavoro contribuì a rendere quest’ultimo più creativo, quasi una fonte primaria di gratificazione personale.
Il passaggio all’era industriale, con la divisione del lavoro e la diversificazione dei compiti, comportò per il lavoratore la perdita del controllo del proprio lavoro, ossia della possibilità di cogliere la relazione esistente fra sforzi e risultato finale. E tutto questo contribuì a creare l’immagine del prestatore d’opera come uomo economico che vende la sua forza lavoro per denaro e viene motivato solo da questo: eravamo tra la fine del diciannovesimo secolo e gli inizi del ventesimo secolo.
Negli anni ’30 lo sviluppo delle relazioni umane sul lavoro portò alla formulazione di una teoria innovativa delle motivazioni e del rapporto partecipazione-produttività: il significato del rapporto tra condizione umana e organizzazione del lavoro si modificò. L’uomo venne così concepito come avente bisogni e motivazioni che devono trovare soddisfazione nel lavoro.

La formulazione piuttosto recente di modelli di intervento, incentrati su approcci sociali alla riprogettazione del lavoro, appare di particolare interesse. In primo luogo i sistemi socio-tecnici che abbinano considerazioni tecnologiche e considerazioni sociali, permettono così l’attuazione di sistemi di lavoro più soddisfacenti per gli operatori. E questo in quanto la partecipazione dell’operatore alla gestione del  sistema produttivo rappresenta una delle più valide soluzioni per ridurre i suoi sentimenti di alienazione verso il lavoro. Va da sé infatti che la complessità dei fenomeni che si riscontrano all’interno delle istituzioni di lavoro e in particolare il problema della salute mentale degli operatori, può essere risolta soltanto con l’eliminazione delle cause che stanno alla base, partendo dapprima dagli effettivi bisogni e dalle motivazioni dell’operatore.

La creazione di compiti e situazioni di lavoro che suscitano nuove motivazioni ed aspettative che coincidano con i bisogni fondamentali dell’uomo appare perciò come una delle prospettive ottimali. Le possibilità di operare in tal senso sono basate sul fatto che tali motivazioni sono anche funzione delle situazioni di lavoro e che quindi queste ultime possono essere modificate. Ma questo nell’ottica di una motivazione concepita più specificatamente come indice segnaletico di una problematica più ampia che deriva dal continuo evolversi dell’ambiente in cui la struttura lavorativa è inserita.

Queste nuove concezioni hanno arricchito il quadro uomo-lavoro, estendendo le problematiche al di fuori del contesto istituzionale di produzione. Infatti considerando l’uomo al centro del processo produttivo, è inevitabile che le variabili che entrano in gioco aumentino, sino ad abbracciare anche il contesto socio-culturale in cui questo vive e dal quale proviene.

Dopo che per decenni i mass-media hanno contribuito a creare una cultura di massa si sta facendo strada anche una cultura che si rifà al recupero del patrimonio tradizionale dell’uomo alla luce delle moderne acquisizioni scientifiche.
Infatti, la civiltà industriale, rinnegando molto del passato, è naufragata proprio per la mancanza dei valori in cui l’uomo per millenni aveva creduto. Non ha saputo cioè creare valori nuovi, non sostitutivi quanto integrativi, in cui l’uomo-lavoratore possa riporre fiducia, non convinto che la maggior disponibilità economica possa essere sufficiente a riempirgli la vita. La nuova civiltà post-industriale non vuole distruggere nulla e non vuole sacrificare nulla, semmai vuole rivalutare tutto e vuole proporre un nuovo umanesimo, anche nel lavoro.

I pionieri della psicologia del lavoro
La psicologia nasce e diviene una disciplina indipendente solamente verso la metà del ventesimo secolo, ma la sua estensione si amplia solo dopo il 1890. In questo anno Cattel, primo assistente di Wundt e studioso dei tempi di reazione, pone per la prima volta il problema dei reattivi mentali. Su questa strada si pone Munsterberg1 che orienta la sua esperienza sui reattivi mentali applicati all’industria. Questo psicologo trattò per primo il problema della organizzazione del lavoro industriale su base psicologica; studiò le cause degli infortuni e concluse che non la fatica, ma la costituzione psicofisiologica degli individui era alla base delle disgrazie.

Un forte impulso alla psicologia del lavoro venne dato dai problemi pratici suscitati dai due conflitti mondiali. Non solo vennero affrontate questioni riguardanti i problemi dell’industria, ma la Psicologia del Lavoro si occupò di formazione alle mansioni di persone non addestrate, di selezione, di orientamento professionale.
Intorno al 1925 la Psicologia del Lavoro estese le sue indagini ai problemi della motivazione, della comunicazione e del comportamento dei gruppi; le ricerche di Viteles e l’esperimento Hawthorne condotto da Mayo2 insieme ad altri ricercatori evidenziano che ’il fattore umano era ‘responsabile’ dell’efficienza lavorativa e di un’armonica comunicazione e che i fattori tecnici passavano in secondo piano.

Precedentemente gli ambienti industriali si erano addentrati invece nello studio del lavoro produttivo.
Il vero autore dell’organizzazione scientifica del lavoro è stato F.W. Taylor i cui meriti sono stati l’analisi metodica del lavoro operaio, condotta nella prima decade del XX secolo. Taylor3 rifiutava di credere che il metodo più razionale sia sempre trovato dall’operaio stesso e reclamava quindi questa analisi metodologica del lavoro operaio, dei suoi movimenti professionali e dello strumento di cui si serve. A Taylor si deve anche il cronometraggio dei movimenti elementari. Lo studio del tempo elementare e lo studio dei movimenti hanno per scopo di realizzare quattro principi fondamentali:

  • Sviluppare per ogni elemento di lavoro una scienza che sostituisca i metodi empirici;
  • Specializzare, formare ed avviare l’operaio, invece di lasciargli scegliere il suo mestiere ed impararlo come può;
  • Seguire da vicino ogni uomo per assicurarsi che il lavoro sia fatto bene seguendo i principi fissati;
  • Dividere egualmente la responsabilità e il compito tra la direzione e gli operai.

Questa rigida posizione ha trovato già ai suoi tempi molta opposizione da parte di chi non credeva che l’operaio fosse una semplice appendice della macchina né che la motivazione al lavoro fosse presente in tutti gli uomini. Fu Elton Mayo ad avere il merito di intuire l’importanza delle relazioni umane in ambito lavorativo. Infatti nel 1924 si dedicò ad uno studio, frutto di una joint venture tra Western Electric e Università di Harvard, volto ad indagare il rapporto tra luminosità dell’ambiente di lavoro ed efficienza. Contrariamente alle aspettative dei ricercatori, i risultati fecero emergere che in condizioni di luminosità inadeguata la produzione non diminuiva.

Ciò li spinse ad intraprendere altre ricerche atte ad indagare variabili ipotizzabili come legate alla produttività. La scoperta fu che le lavoratrici coinvolte negli esperimenti, attratte dall’essere oggetto di attenzione da parte dei ricercatori, si adoperarono per fare ciò che esse ritenevano che li avrebbe maggiormente impressionati, e cioè essere altamente produttive. Con il termine effetto Hawthorne si continua ad indicare un mutamento nel comportamento conseguente ad una condizione di novità, che evolve in un graduale ritorno al precedente livello di comportamento non appena l’effetto della novità si esaurisce. Secondo Mayo la produttività è funzione dell’atteggiamento verso il lavoro, la motivazione è funzione del morale, il morale è funzione del tipo di solidarietà e dei legami prevalenti nell’ambito del piccolo gruppo spontaneo. Il gruppo ristretto viene quindi considerato come ‘la cellula primordiale’ per incrementare le abilità sociali e l’abilità di comunicare.

psicologia-del-lavoro

Le relazioni umane
A partire dagli anni trenta del secolo scorso, sono diventate correnti di pensiero importanti della psicologia e della sociologia del lavoro la scuola delle relazioni umane (Mayo, 1945; Roethlisberger, Dickinson, 1943) e quella delle neorelazioni umane (McGregor, 1960; Argyris, 1964; Likert, 1961). Esse hanno influito sulla funzione delle risorse umane nel senso che hanno costituito, tra il 1930 e il 1950, una reazione ai limiti dell’organizzazione scientifica del lavoro. Questi ricercatori giunsero a definire una serie di elementi di natura sociale come determinanti il rendimento lavorativo. In particolare misero in luce il fatto che i rapporti sociali offrivano al lavoratore il senso della propria identità e al lavoro il significato intrinseco perduto in conseguenza dei processi dell’organizzazione scientifica. Dimostrarono inoltre l’importanza dei fattori ambientali e relazionali sul rendimento lavorativo. Le relazioni sociali, l’igiene e la sicurezza, ma anche la formazione vengono allora a interessare e ad arricchire la funzione delle risorse umane, le nuove riflessioni sul contenuto del lavoro allo scopo di donargli interesse e una più articolata serie di valori. Questi valori comprendono una comunicazione pienamente libera, indipendentemente dal rango e dal potere; un’atmosfera che consente e incoraggia tanto l’espressione emotiva quanto l’attività orientata al compito; una disposizione fondamentalmente umana che accetta l’inevitabilità del conflitto fra organizzazione e individuo, ma che è disposta ad affrontarlo e mediarlo su un piano razionale; la tendenza ad affidarsi al consenso piuttosto che alle forme di coercizione e di compromesso per gestire il conflitto.
Questa concezione della gestione del personale presenta alcuni valori e punti di vista precedentemente trascurati quali quelli di UOMO, POTERE e ORGANIZZAZIONE.
Bennis li individua come segue:

  • Una concezione dell’uomo basata su un’aumentata conoscenza dei suoi complessi bisogni, che sostituisce un’idea dell’uomo ultra semplificata, ingenua, del tipo “schiaccia pulsante”;
  • Un nuovo concetto di potere basato sulla collaborazione e sulla ragione, che sostituisce un modello legato alla coercizione e alla minaccia;
  • Un nuovo concetto di organizzazione fondato su ideali umanistico-democratici, che rimpiazza il sistema di valori personalizzato e meccanico della burocrazia.
Articoli di psicologia del lavoro

Scrivi a Igor Vitale