Empowerment: definizione e riassunto completo

Articolo di Valentina Malinverni

Il costrutto dell’empowerment si sviluppa tra gli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti, all’interno degli studi politici e del linguaggio dei movimenti emancipatori e di lotta per i diritti civili, delle donne e delle minoranze, accomunati dal motto di “dare voce e potere a chi non ne ha”. In questo ambito il concetto richiama la possibilità, di emanciparsi da situazioni di opportunità limitate, e di passare da una condizione di passività e di dipendenza a una condizione di attività e di protagonismo. Si tratta quindi di un processo di presa di coscienza non solo della propria condizione di emarginazione, ma anche delle proprie risorse e dei propri obiettivi. A partire da questa consapevolezza critica, e attraverso il coinvolgimento attivo e partecipato nel contesto sociale e specifico, diviene possibile aumentare il proprio margine di controllo e di potere sulla propria vita e nella propria comunità di appartenenza.

Negli anni Settanta il concetto di empowerment appare nella letteratura medica e psicoterapeutica, dove viene affrontato soprattutto nella sua componente individuale, in relazione al processo di riduzione della dipendenza del paziente dalla figura del medico o del terapeuta. Nello stesso periodo anche nell’ambito della pedagogia degli adulti cresce l’interesse per l’empowerment: in un’ottica simile a quella della relazione medico- paziente, qui il concetto si trova alla base del processori autonomizzazione che libera il discente dalla dipendenza del docente, e richiama inoltre la possibilità di crescita e di apprendimento durante tutto il ciclo di vita, sia l’importanza per l’adulto di partecipare alla progettazione e all’attuazione di un percorso formativo4. Un importante contributo teorico e pratico in ambito pedagogico arriva inoltre dall’America Latina con l’opera di Paolo Freire 5 e la “pedagogia degli oppressi”, sulla base della quale si sono sviluppati vari movimenti di liberazione in questo continente. La pedagogia degli oppressi è centrata su un intervento formativo non direttivo, all’interno di un contesto specifico, per promuovere emancipazione delle persone politicamente e socialmente emarginate a partire da un processo di coscientizzazione. Con questo termine si può indicare, per analogia con il processo di consapevolezza critica, la presa di coscienza, non soltanto della propria condizione soggettiva di oppressione, ma dei meccanismi oggettivi alla base dell’oppressione stessa, della propria relazione con queste forze e della possibilità di liberarsene6.
Negli anni ottanta viene recuperato l’accento sul significato sociale dell’empowerment, che Rappaport7, definisce come:
(un) processo intenzionale permanente, centrato sulla comunità locale, che implica il rispetto reciproco, l’elaborazione critica, il prendersi cura di e la partecipazione del gruppo. Attraverso il gruppo, le persone che mancano di risorse, ugualmente condivise, acquisiscono un accesso e un controllo maggiore rispetto a queste stesse risorse.
L’empowerment diventa così uno degli scopi principali della psicologia di comunità, poiché “questo vocabolo condensa, meglio di altre alternative attualmente utilizzabili, l’ampiezza totale degli obiettivi”8 di tale disciplina, poiché permette di raggiungere una “buona mediazione tra la dimensione individuale e quella sociopolitica”, laddove “lo sviluppo dell’individuo e il potenziamento della comunità di appartenenza sono in una relazione di circolarità. La prospettiva dell’empowerment contribuisce quindi a una ridefinizione della psicologia di comunità. Laddove l’intervento, per quell’area disciplinare, è parte integrante della sua definizione, attraverso l’assunzione dell’empowerment come obiettivo, si va oltre l’intervento, a favore della prevenzione dei disagi e patologie a livello comunitario. Secondo questa ottica, la consulenza e la formazione offerta dagli psicologi all’interno di comunità specifiche includono il riconoscimento non tanto dei limiti e dei rischi presenti in una comunità, quanto delle potenzialità delle persone e dei gruppi che la compongono:”i valori dell’empowerment spingono a promuovere il benessere invece di limitarsi a prevenire la malattia, a identificare i punti di forza invece di catalogare i fattori di rischio e a incrementare le opportunità invece di fissarsi sui problemi”(Zimmermann, 1999, p.81).
Il costrutto acquisisce rilievo, in un’ottica simile e negli stessi anni, anche negli studi organizzativi e manageriali, dove viene analizzato in associazione “all’esercizio della leadership, all’attivazione di metodologie di lavoro di gruppo, allo sviluppo organizzativo. Una delle prime studiose a introdurre l’empowerment in questo campo è stata la sociologa statunitense Rosabeth Moss Kanter9, impegnata in particolare sul tema dell’empowerment delle donne all’interno delle organizzazioni.E’ la stessa studiosa a evidenziare il termine che sta alla base della parola empowerment, ossia il potere.
Il problema del potere è cruciale al fine di un comportamento efficace degli individui nelle aziende. I problemi relativi al potere, ricoprono un ruolo centrale, non a causa dell’avidità degli individui, ma perché i soggetti che ne sono privi sono costretti a una situazione di impotenza. (ibidem,p.258).

Corsi Gratis in Psicologia

Scrivi a Igor Vitale

    Tags: