autoefficacia bandura psicologia

Come ottenere il successo personale con l’autoefficacia

Secondo i principi del “determinismo reciproco triadico” (Bandura, 1986) ogni manifestazione psichica è la risultante di fattori personali (cognitivi, affettivi e biologici), ambientali e comportamentali che interagiscono influenzandosi reciprocamente. La persona agisce selettivamente e trasformativamente sull’ambiente, ma è sensibile alle condizioni che il contesto predispone al corso delle sue azioni e alle pressioni che esso esercita sulle sue decisioni. L’ambiente sociale ha un ruolo determinante nel fornire la cornice e le condizioni tramite le quali si dispiegano lo sviluppo e il funzionamento dell’individuo, ma l’azione dell’ambiente è largamente mediata dalla capacità dell’individuo di assegnare significato alle sue influenze e di cogliere tutte le opportunità. Bandura pone l’accento sulla nozione di “human agency” che si riferisce alla facoltà dell’uomo di agire attivamente sull’ambiente fisico e sociale, di generare azioni mirate al conseguimento di determinati scopi. Secondo Bandura nessuno dei meccanismi attraverso cui opera il sistema del sé (credenze, strutture e processi tipici di ogni individuo) è più centrale e pervasivo delle convinzioni relative alla propria capacità di essere all’altezza delle varie situazioni. Le convinzioni di autoefficacia influenzano il livello di aspirazione e la persistenza dell’impegno, le mete che le persone si prefiggono di raggiungere e le loro reazioni di fronte alle frustrazioni, la qualità dei processi di pensiero, la ricerca e l’attribuzione delle cause nel caso di successo e di insuccesso, la vulnerabilità allo stress e alla depressione. In esse si riflettono gli insegnamenti che la persona ha tratto dall’esperienza personale e da esse in larga parte deriva la capacità di orchestrare al meglio il rapporto con la realtà, traendo il massimo vantaggio sia dalle proprie potenzialità sia dalle opportunità ambientali (Caprara, 1996). Il senso di efficacia personale è la risultante del modo in cui l’alternarsi di successi e fallimenti è stato interiorizzato e perciò del modo in cui sono stati interpretati gli aiuti ricevuti, le difficoltà delle prove, gli sforzi erogati, le soluzioni impiegate, gli stati d’animo sperimentati e gli esiti raggiunti. In particolare secondo Bandura (1977, 1981, 1986) le convinzioni di autoefficacia poggiano fondamentalmente sui seguenti quattro tipi di esperienze:

  1. La messa alla prova diretta (mastery experience). L’esperienza diretta del successo rappresenta la fonte più influente del senso di autoefficacia, l’esperienza del fallimento, invece, è quella che lo compromette maggiormente, soprattutto se si verifica prima del suo consolidamento. Per sviluppare le proprie convinzioni di efficacia è opportuno che le persone siano esposte a situazioni di difficoltà gradualmente crescenti in modo da avere l’opportunità di mettersi alla prova, verificare le proprie capacità e capitalizzare sull’esperienza fatta, traendo da essa le informazioni per orientare il proprio agire in futuro.
  2. L’osservazione dell’operato degli altri (vicarious experiences). L’esperienza vicaria, associata all’osservazione di modelli di successo, è una fonte meno decisiva rispetto a quella diretta, ma comunque importante per incoraggiare le persone a mettersi alla prova, in quanto suggerisce le probabili vie di accesso al successo. L’osservazioni di modelli sviluppa e rafforza l’autoefficacia mediante l’acquisizione di varie strategie d’azione e di informazioni rilevanti sulla natura della prestazione. Essa è tanto più influente quanto più il modello è simile e vicino a se stessi e quanto più le operazioni che portano al risultato desiderato sono chiare nella loro sequenza e articolazione.
  3. L’essere persuasi da altri di essere all’altezza delle situazioni (social persuasion). L’essere persuasi da altri di possedere le abilità necessarie al raggiungimento di specifici obiettivi o per il superamento di determinate difficoltà concorre allo sviluppo della propria autoefficacia in misura proporzionale alla credibilità della fonte di persuasione. Se le persone vengono persuase di disporre delle capacità per avere successo intensificheranno lo sforzo e saranno maggiormente perseveranti rispetto a quelle che non ricevono lo stesso incoraggiamento quando incontrano difficoltà. Coerentemente con le altre fonti prima indicate, anche nel caso della persuasione si dovrà evitare di esporre le persone prematuramente a situazioni ad alto rischio di fallimento.
  4. Il controllo della tensione interna e delle emozioni (physical and emotional states). Le persone si affidano ai propri stati emotivi e fisici per giudicare le proprie capacità. Interpretano stati di tensione, ansia e depressione come segnali di difficoltà personale. Possono dunque favorire lo sviluppo e il rafforzamento dell’autoefficacia quelle strategie di monitorizzazione e di autoregolazione che contribuiscono ad aumentare il benessere psicofisico, ridurre e modulare gli umori e gli affetti negativi, a correggere ed eventualmente ricodificare i segnali che provengono dal proprio organismo.

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Numerosi studi attestano lo stretto legame tra efficacia percepita e prestazione lavorativa e indicano nelle convinzioni di autoefficacia i predittori più affidabili del successo organizzativo (Bandura, 1997). Ricerche empiriche degli ultimi anni avvalorano il ruolo centrale delle convinzioni di efficacia nel favorire l’assimilazione delle nuove tecnologie (Hill, Smith, Mann, 1987), lo sviluppo delle carriere (Gist, 1989), l’efficienza manageriale (Wood, Bandura, Bailey, 1990), l’adattamento dei neoassunti al contesto organizzativo (Sacks, 1995).

L’influenza delle convinzioni di efficacia varia relativamente alla natura dei contesti e dei compiti che vengono assegnati. Nella relazione tra autoefficacia e prestazione, di norma assumono particolare rilievo i seguenti fattori:

  • la natura degli incentivi, interni ed esterni, che sorreggono l’impegno a cimentarsi con le diverse situazioni;
  • la precisione e la cura con cui vengono stimate le proprie abilità;
  • la chiarezza e la precisione delle informazioni possedute sulle abilità richieste;
  • l’intervallo di tempo tra il momento della valutazione delle proprie abilità e quello del loro impiego;
  • la possibilità di monitorizzare, tramite feedback da altri o confronto con altri, i progressi del proprio operato.

Nel tentativo di approfondire il ruolo dei fattori organizzativi che influenzano la relazione tra efficacia percepita e prestazione lavorativa, Stajkovic e Luthans (1998) hanno condotto una meta-analysis sulla maggior parte degli studi eseguiti in tale ambito negli ultimi vent’anni, prestando particolare attenzione alla complessità del compito e a quella dell’ambiente. Gli autori confermano il valore predittivo dell’autoefficacia e il ruolo di mediazione sia della complessità del compito sia della complessità dell’ambiente, tra convinzioni di autoefficacia e prestazione.

Il legame tra autoefficacia e prestazione è maggiore in presenza di compiti semplici , decresce per quelli moderati e diminuisce ancora nelle attività più complesse. Secondo gli autori le convinzioni di efficacia rappresentano un significativo predittore della prestazione lavorativa e la relazione tra autoefficacia e prestazione è moderata dalla complessità del compito e dal luogo dove viene messa in atto la prestazione.

La ricerca ha provato che gli individui con una bassa autostima tendono rispondere alle esperienze in modo equilibrato: gli eventi positivi conducono ad uno stato psicologico positivo e gli eventi negativi ad uno negativo. Al contrario, gli individui con alta autostima tendono ad abbracciare gli eventi positivi ma ad ignorare o compensare gli effetti potenzialmente debilitanti degli eventi negativi, e questo è associato al mantenimento di condizioni psicologiche positive (Brown, Dutton, 1995; Brown, Mankowski, 1993; Campbell, 1990; Dodgson, Wood, 1998).

Taylor e Brown (1988) hanno suggerito che gli individui con alta autostima possono accedere a pensieri più positivi su sé stessi dopo il fallimento, quindi mantengono un pensiero positivo. Al contrario, gli individui con una bassa autostima sono incapaci di utilizzare queste strategie, come dubitano del numero di attributi positivi che possiedono.

Dodgson e Wood (1998) hanno proposto che entrambi i tipi di individui tendono a volere il successo, ma è più probabile che gli individui con alta autostima rifiutino o allontanino le implicazioni negative del fallimento, mentre gli individui con bassa autostima tendono ad attribuire gli eventi negativi, quali le prestazioni scarse internamente.

La nozione che gli individui con bassa autostima soffrano maggiormente le conseguenze negative del fallimento suggerisce che usano delle strategie di coping inefficaci.

In uno studio di Lane, Stevens, Jones (2002) è emerso che l’autostima influenza l’interpretazione della sconfitta, per cui gli individui con alta autostima proteggono la propria autoefficacia molto più che gli individui con bassa autostima. I risultati indicano che gli individui con alta autostima usano maggiormente strategie di coping adattivo.

 

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