Come ascoltare il minore in caso di abuso sessuale: l’Intervista Cognitiva

Articolo di Alessia Chirico

Gli psicologi americani Ed Geiselman e Ron Fisher hanno sviluppato, nel 1984, una procedura atta a supportare i professionisti del settore al fine di stilare rapporti maggiormente dettagliati e accurati di una testimonianza. Alla base della procedura, si trovano due principi psicologici secondo cui la traccia mnestica, che è costituita da più elementi, viene recuperata in modo ottimale se più elementi concorrono al recupero della stessa; inoltre, le tecniche di recupero sono diverse e dove una fallisce, un’altra potrebbe accedervi. Questi principi hanno ispirato quattro tecniche di rievocazione[1], che sono:

  1. Ricostruire mentalmente il contesto fisico e personale esistito al momento del fatto per riuscire così ad aumentare l’accessibilità dell’informazione conservata in memoria. Questa strategia di memoria si basa sul principio della specificità della codifica di Tulving: il ritorno alla situazione in cui è avvenuta la codifica aumenta la possibilità di recupero dell’informazione. L’intervistatore può aiutare il testimone chiedendogli di recuperare un’immagine o un’impressione circa le caratteristiche ambientali della scena originale per poi commentare le reazioni emozionali e le sensazioni avute in quel momento, e descrivere qualsiasi suono, odore e condizioni fisiche che fossero presenti nel contesto in cui si è svolto il fatto.
  2. Chiedere al testimone di riportare tutto quello che ricorda, incluse le informazioni parziali; queste potranno essere utili per riuscire a collegare i vari dettagli dello stesso fatto forniti da altri testimoni o dallo stesso soggetto ma in momenti diversi.
  3. Chiedere al soggetto cambiare l’ordine cronologico di narrazione dell’evento, partendo dalla fine e tornando all’inizio oppure iniziando a metà, incoraggiando i testimoni a ricordare il fatto in ordine diverso, iniziando ad esempio dalla fine, o dalla metà e dall’episodio più memorabile.
  4. Chiedere all’intervistato di ricordare partendo da punti di vista diversi. Con questa tecnica si cerca di spingere il testimone a guardare il fatto come se fosse stato un altro soggetto: lo scopo è quello di aumentare la quantità di dettagli del racconto, ma la sua efficacia non è scientificamente comprovata.

 

Date le numerose critiche mosse verso l’IC, nel 1992 i due psicologi propongono una versione migliorata chiamata Intervista Cognitiva Migliorata, che prevede uno specifico addestramento a cui sottoporre l’intervistatore. La nuova sequenza prevede dunque:

  1. Introduzione;
  2. Spiegazione dello scopo dell’intervista;
  3. Narrazione aperta (uso delle strategie 1 e 2);
  4. Fase delle domande;
  5. Fase di ulteriore recupero delle informazioni (uso delle strategie 3 e 4);
  6. Chiusura dell’intervista.

Purtroppo, neanche i cambiamenti apportati hanno reso lo strumento a prova di critiche, dato che presenta ancora dei limiti. Precisamente, essa non è fondata su teorie scientifiche, ma è tanto efficace quanto più l’intervistatore dimostra buone capacità di memoria, attenzione e flessibilità. Inoltre, la durata della somministrazione è maggiore rispetto alla normale intervista non è d’aiuto in situazioni in cui il testimone oppone resistenza nel parlare, e quindi è utilizzabile sono con intervistati disposti a collaborare. Dato che l’intervista cognitiva era stata originariamente pensata per gli adulti, Geiselman e Padilla  (1988) hanno stilato dei criteri aggiuntivi per adeguarla ai testimoni minori[2]. Dunque, l’intervistatore è tenuto a rassicurare il bambino sulla possibilità di non conoscere o ricordare la risposta, per evitare che egli inventi una storia o dei dettagli al fine di soddisfare le richieste dell’adulto; nella fase del racconto libero, l’intervistatore deve stimolare la ricostruzione mentale del contesto ambientale ed emotivo dell’evento e, per quanto riguarda le domande specifiche, è importante utilizzare un registro semplice di linguaggio e frasi brevi. Infine, nell’ulteriore fase di recupero delle informazioni, al bambino si richiede di cambiare l’ordine di narrazione degli eventi solo se si ritiene che il soggetto possegga le necessarie abilità cognitive. Il problema è che, appunto, i bambini più piccoli non sono in grado di capire le tecniche che l’IC propone, ed è per questo che l’intervista darà sicuramente risultati non soddisfacenti se somministrata a bambini di età inferiore agli otto anni, tenendo sempre in considerazione lo sviluppo cognitivo di ogni bambino intervistato. Si è visto come questo tipo di intervista porti il bambino a commettere più errori e a confabulare, e per di più i soggetti tendono a dare risposte al fine di compiacere, nonostante le raccomandazioni dell’intervistatore. Questa tecnica si affida troppo alle capacità dell’intervistatore, sia nello svolgere l’intervista sia nel creare un rapporto di fiducia con il bambino, e questa risulta essere una variabile troppo instabile. Pertanto, essa differisce dall’intervista strutturata perché, in quest’ultima, vengono impiegate tecniche semplici e fasi consequenziali e ben distinte tra loro, partendo dalle informazioni generali per poi entrare nello specifico senza suggestionare il testimone; invece, l’intervista cognitiva utilizza sofisticate tecniche mnestiche che solo un esperto ben addestrato riesce a padroneggiare egregiamente.

[1] Geiselman R.E., Fisher R.E. et al., Eyewitness memory enhancement in the cognitive interview, in American Journal of psychology, 99, 1986, pp. 386-401

[2] Geiselman R.E., Padilla J., Interviewing child witness with the cognitive interview, in Journal of  Police Science Administration, 16, 1988, pp.236-242

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