Cosa accade nel cervello durante il trauma

Il disturbo post-traumatico da stress è caratterizzato da alterazioni neurobiologiche a breve e a lungo termine. Per alterazioni neurobiologiche intendiamo alterazioni nei sistemi neurotrasmettitoriali/fisiologiche del nostro cervello. Un sistema neurotrasmettitoriale è grosso modo una rete di neuroni che collega tra loro vari centri nervosi. Ciò che rende queste reti distinguibili le une dalle altre è il tipo di neuromediatore che utilizzano per lo più.

Un neuromediatore è come “il testimone che un corridore riceve dal precedente: se non riceve il testimone non può partire; così il mediatore viene utilizzato per far passare uno stimolo da un neurone all’altro. Inoltre in questo modo è possibile anche selezionare lo stimolo per esempio accettando solo come testimoni dei bastoni ma non delle bandierine o viceversa. Così ottengo delle reti specifiche, ovvero posso mappare le reti andando a vedere se accettano bastoni o bandierine”.

Attualmente il numero dei mediatori e dei sottotipi di mediatori scoperti sta crescendo in modo vertiginoso.

I dati più comprovati mostrano la disregolazione di alcuni sistemi neurotrasmettitoriali che interessano la modificazione di alcuni comportamenti. I sistemi che vengono maggiormente alterati sono il sistema limbico, la neocorteccia e i circuiti neurotrasmettitoriali.[1]

 

Sistema limbico

Quando siamo esposti a segnali di pericolo e ci sentiamo minacciati siamo portati in maniera naturale a preparare una risposta adattativa. La percezione della paura e le conseguenti risposte comportamentali sono cruciali per l’adattamento all’ambiente e per la sopravvivenza delle specie. L’attivazione del sistema nervoso alla percezione del pericolo determina una reazione (fight, flight, freeze), tutte reazioni fisiologiche adattative allo stress. Le regioni cerebrali principalmente coinvolte sono parte di un sistema complesso, il sistema limbico, filogeneticamente antico, che non deve essere considerato un’entità anatomica quanto piuttosto un sistema neurofisiologico.

Il sistema limbico interviene nell’elaborazione dei comportamenti correlati, appunto, con la sopravvivenza della specie; elabora le emozioni e le manifestazioni vegetative che a esse si accompagnano, ed è coinvolto nei processi di memorizzazione.

L’amigdala ha un ruolo centrale in questo sistema correlato alla percezione della paura e all’elaborazione delle reazioni che ne conseguono. L’amigdala è considerata una sorta di porta di ingresso delle emozioni che vengono qui registrate innescando le reazioni fisiologiche adattative che coinvolgono:

  • Il talamo;
  • I circuiti sensoriali;
  • L’ippocampo;
  • Alcuni nuclei profondi del midollo allungato;
  • Le regioni corticali prevalentemente frontali.

 

Il trauma psicologico deriva dall’essere stati esposti ad un evento che si percepisce come potenzialmente pericoloso per la propria vita o per quella altrui, oppure potenzialmente in grado di generare grave lesioni fisiche a se stessi o agli altri. Una simile esperienza, accompagnata da intensa paura, orrore, e da un senso di impotenza, può portare allo sviluppo del disturbo post traumatico da stress (DPTS) ed è, inoltre, condizione necessaria affinché si ponga diagnosi di DPTS.

Inizialmente si pensava che il DPTS rappresentasse una sorta di risposta normativa, nella parte estrema di un ipotetico continuum relativo allo stress, la cui gravità era legata soprattutto all’intensità del trauma. Tuttavia è diventato evidente nel tempo che la risposta di un individuo ad un trauma dipende non solo dalle caratteristiche del trauma stesso, ma anche da fattori specifici dell’individuo.[2]

Per la maggior parte delle persone, il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia ha una durata limitata nel tempo e si caratterizza con disturbi transitori acuti. Anche se transitorie, tali reazioni possono essere molto sgradevoli e sono tipicamente caratterizzate da fenomeni che si possono raggruppare in tre ambiti principali:

  1. Il ricordo dell’esposizione traumatica (flashback, pensieri intrusivi, incubi);
  2. L’attivazione (ipervigilanza, insonnia, agitazione, irritabilità, impulsività e rabbia);
  3. La disattivazione (compresi freezing, evitamento, fuga, confusione, de realizzazione, dissociazione).

Queste reazioni fisiologiche allo stress sono per definizione auto-limitanti e in generale provocano una modesta compromissione funzionale nel tempo. Per una minoranza significativa della popolazione, invece, il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia, soprattutto se prolungata nel tempo, porta ad una sindrome a lungo termine clinicamente definita come DPTS, accompagnata da una compromissione funzionale grave e duratura. Il DPTS si caratterizza per la presenza di segni e sintomi nei tre domini primari descritti sopra per un periodo superiore a un mese. I segni e i sintomi del DPTS, quindi, sembrano essere l’espressone di una persistente e anormale risposta dei sistemi neurobiologici allo stress del trauma subìto. Nella biologia del DPTS l’interazione tra sistema neuroendocrino, alcuni neurotrasmettitori e alcuni circuiti cerebrali.

I macro sistemi neurobiologici che regolano le risposte allo stress sono tre:

  • La via neuroendocrina
  • I neurotrasmettitori
  • Un network (ricordi emotivi), sia a livello consapevole che inconsapevole, tra differenti regioni cerebrali profonde e corticali.

Molti aspetti della neurobiologia del DPTS, sia sul versante biologico sia neuropsicologico, sono ancora sconosciuti, ma complessivamente siamo in grado di disegnare uno schema generale del complesso network cerebrale e neuroendocrino del DPTS.[3]

Per una minoranza significativa della popolazione il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia, soprattutto se prolungata nel tempo, porta ad una sindrome a lungo termine accompagnata da una compromissione funzionale grave e duratura nel tempo caratterizzata dall’alterazione di alcuni processi neurofisiologici soprattutto della memoria e dell’attivazione allo stress. I ricordi nelle persone che soffrono di DPTS possono essere frammentati, non accessibili o accessibili solo in parte. Possono essere caratterizzati da memorie invalidanti, dolorose e che le persone non riescono a gestire, spesso neanche a tradurre in parole, per questo spesso sono memorie fisiche, percettive, sensoriali, difficilmente verbalizzabili. Lo schema neurobiologico dei processi di riconoscimento, memorizzazione, attivazione, risulta compromesso, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, portando chi soffre di DPTS ad avere una grave compromissione in una delle più grandi abilità intellettive dell’essere umano che è quella di integrare tra di loro le esperienze.[4]

 

Neocorteccia

Gli eventi traumatici che hanno ripercussioni sul funzionamento psichico e psicofisiologico dell’individuo determinano anche delle alterazioni rilevabili a livello delle strutture cerebrali. Le conseguenze delle alterazioni dei circuiti cerebrali saranno tanto più gravi quanto più precoce è l’età del soggetto traumatizzato.

Le alterazioni dei circuiti cerebrali, sia a livello strutturale sia funzionale, sono state individuate grazie a studi di neuroimaging ( fMRI, PET) con risonanza magnetica. Le regioni cerebrali alterate nei soggetti con DPTS includono:

  • Ippocampo: codifica la memoria dell’esperienza vissuta in una dimensione spazio-temporale e il suo funzionamento è necessario sia alla memoria esplicita sia in quella dichiarativa;
  • Amigdala: svolge un ruolo cardine nella valutazione del significato emotivo degli stimoli afferenti;
  • La regione corticale pre-frontale: ha connessione diretta con l’amigdala nei circuiti di attivazione dello stress e della paura.

 

I dati più significativi emersi dagli studi sui correlati neuro anatomici del trauma sono due:

  1. Una diminuzione del volume dell’ippocampo;
  2. Un’iperattivazione dell’amigdala associata ad una marcata lateralizzazione dell’emisfero destro.[5]

 

L’ippocampo

Sono stati condotti diversi studi di neuroimaging con fMRI (risonanza magnetica funzionale) su popolazioni di soggetti affetti da DPTS versus popolazione di soggetti volontari sani di controllo, e anche studi metabolici di medicina nucleare (PET, tomografia ad emissione di positroni) su soggetti con DPTS. In questi studi sono state riscontrate alterazioni dell’ippocampo con riduzione del suo volume in diversi gruppi di soggetti con DPTS: reduci di guerre, donne soggette ad abusi sessuali prolungati nel tempo, persone sottoposte ad abuso fisico e psicologico protratto (Bremer et al., 1995; Bremer, 2002). Gli studi di neuroimaging che utilizzano la spettroscopica di risonanza magnetica protonica, un metodo per valutare il metabolismo delle regioni cerebrali in vivo, hanno dimostrato una riduzione dei livelli dell’N-acetyl aspartate (NAA), un marker dell’integrità neuronale nell’ippocampo di pazienti adulti con DPTS.

La riduzione del volume ippocampale nei soggetti con DPTS può riflettere gli effetti tossici accumulati con un’esposizione ripetuta ad un aumento dei livelli di glucocorticoidi.

Studi recenti dimostrano, inoltre, che volumi dell’ippocampo costituzionalmente ridotti rispetto alla media potrebbero essere un fattore di vulnerabilità preesistente per lo sviluppo di DPTS. Gli studi che utilizzano neuroimaging funzionale hanno inoltre dimostrato che i pazienti con DPTS hanno un deficit ad attivazione dell’ippocampo durante la memoria dichiarativa verbale e una ridotta capacità di formulare adeguate risposte allo stress, così come un deficit nel discriminare tra contesti ambientali sicuri e non sicuri.

 

L’amigdala

L’amigdala è una struttura limbica coinvolta nell’elaborazione delle emozioni ed è fondamentale per l’acquisizione della capacità di risposta alla paura. Il ruolo funzionale dell’amigdala nel mediare sia le risposte allo stress sia l’apprendimento delle emozioni identifica implicitamente la sua importanza nella patofisiologia del DPTS.

Studi di imaging funzionale hanno rivelato un’iperattività dell’amigdala nei soggetti con DPTS durante la presentazione di stimoli stressanti come il ricordo di eventi traumatici, ma anche durante stimoli di tipo emotivo come il mostrare volti di persone tristi, felici, arrabbiate, ecc. Uno studio PET effettuato su soggetti affetti da DPTS ha evidenziato, durante l’esposizione ai racconti traumatici, un aumento dell’attività solo dell’emisfero destro, nelle aree maggiormente coinvolte nell’attivazione emotiva e più intimamente associate all’amigdala.

L’attivazione di queste strutture era accompagnata da un aumento dell’attività della corteccia visiva destra, che rispecchiava la re-esperienza visiva di traumi riferiti dai pazienti. Uno degli aspetti più significativi di questi studi è rappresentato dal riscontro che l’area di Broca, ovvero quell’area cerebrale dell’emisfero sinistro responsabile della traduzione delle esperienze in parole comunicabili, era del tutto silenziosa, “spenta”, priva di segnali rilevabili di attivazione.

Questo riscontro, secondo Van der Kolk (2004), potrebbe correlare con quello che si definisce “terrore muto”, e nella tendenza dei soggetti affetti da DPTS a provare emozioni sotto forma di stati fisici, piuttosto che come esperienze codificate verbalmente. Per questo motivo è stato ipotizzato che la difficoltà dei pazienti con DPTS nel tradurre in parole le proprie sensazioni potrebbe essere legata a mutamenti strutturali e funzionali nell’attività delle regioni del cervello deputate al ricordo delle emozioni e al linguaggio.

Queste osservazioni vanno a sostegno delle ipotesi di LeDoux (1992), secondo cui i ricordi emotivi possono essere instaurati senza una valutazione conscia dell’informazione. Nello specifico, l’informazione sensoriale, entrata nel sistema nervoso centrale tramite gli organi di senso, passa al talamo, che, a sua volta, invia questa informazione sensoriale grezza all’amigdala e alla corteccia prefrontale per un’ulteriore valutazione; l’amigdala interpreta la valenza emotiva dell’informazione in ingresso, e vi allega un significato emotivo, passandola alle aree cerebrali che controllano i sistemi di risposta comportamentali, autonomi e neurormonali. In altre parole, l’amigdala trasforma gli stimoli sensoriali in segnale emotivi e ormonali, avviando e controllando le risposte emotive. Poiché l’input dal talamo arriva all’amigdala prima dell’informazione proveniente dalla neocorteccia, LeDoux suggerisce che questo primo input proveniente dal talamo “prepari” l’amigdala a elaborare l’informazione che arriva successivamente dalla corteccia, in modo che la valutazione emotiva dell’input sensoriale preceda l’esperienza emotiva consapevole. I soggetti, quindi, possono attivarsi fisiologicamente e per via ormonale, prima che siano capaci di valutare consapevolmente ciò a cui stanno reagendo. Una volta che l’amigdala ha assegnato una valenza emotiva all’input sensoriale, invia questa valutazione ad altre strutture cerebrali, tra cui l’ippocampo e la corteccia prefrontale, il cui scopo è di organizzare questa informazione e integrarla con quelle preesistenti. L’intensità di attivazione dell’ippocampo dipende dall’intensità dell’input proveniente dall’amigdala: quanto maggiore è la valenza assegnata dell’amigdala, tanto più intensamente l’input sarà registrato e tanto più saldamente la memoria verrà conservata. Ma, mentre un’attivazione moderata o alta dell’amigdala favorisce il potenziamento a lungo termine della memoria esplicita mediata dall’ippocampo, una stimolazione eccessiva danneggia il funzionamento di quest’ultimo. Quando ciò accade le impressioni sensoriali dell’esperienza sono archiviate in memoria, ma dato che l’ippocampo non è in grado di compiere la sua funzione integrativa e di supporto alla contestualizzazione spazio-temporale dell’informazione, queste impressioni non sono organizzate in un tutto unitario: l’esperienza viene depositata e, più tardi recuperata, come stati affettivi, modalità senso motorie, sensazioni fisiche e immagini visive, percepite come estranee  e separate dalle altre esperienze di vita.

Tutto questo fa in modo che ai ricordi traumatici non si attribuisca un “tempo” e vengano percepiti come estranei alla percezione soggettiva dei pazienti con DPTS: le esperienze traumatiche potrebbero essere registrate dal nostro cervello come sensazioni o stati sensoriali che non vengono raccolti e tradotti in un racconto soggettivo, per cui ricordi dei traumi si presentano come stati emotivi e sensoriali (Van Der Kolk, 2004).

 

La corteccia prefrontale

La corteccia prefrontale mediale (PFC) comprende la corteccia cingolata anteriore (ACC), la corteccia sub callosa e il giro frontale mediale. La PFC mediale esercita il controllo inibitorio sulle risposte alo stress e sulle reazioni alle emozioni, in parte con le sue connessioni dirette con l’amigdala. Nei soggetti con DPTS si è evidenziato, con studi di risonanza magnetica, una riduzione del volume della corteccia frontale, in particolare con quello dell’ACC che in alcune ricerche ha una correlazione diretta con la gravità dei sintomi (maggiore è la gravità dei sintomi maggiore è la riduzione del volume dell’ACC).[6]

Un recente studio condotto sui gemelli ha suggerito che la riduzione di volume dell’ACC è secondaria allo sviluppo di DPTS piuttosto che un rischio preesistente. Con la risonanza magnetica funzionale si è inoltre riscontrata una complessiva ridotta attivazione della PEC in pazienti con DPTS agli stimoli esterni di immagini, suoni, sensazioni correlate al trauma. Tutti i fattori che suggeriscono una riduzione del ruolo di feedback negativo della PEC sull’amigdala nei pazienti affetti da DPTS.

 

La lateralizzazione emisferica destra

Tutto l’insieme di questi riscontri neuro anatomici, funzionali e metabolici porta a pensare che le esperienze traumatiche siano legate ad alterazioni nella fisiologica lateralizzazione emisferica delle esperienze. Nei soggetti con DPTS si evidenzia una spropositata attivazione dell’emisfero destro (specializzato nell’espressione delle emozioni), rispetto a quello sinistro (specializzato nell’analisi cognitiva e nella produzione linguistica) durante il processo neurofisiologico dell’elaborazione traumatica (o di stress) (Rauch e al. 1996).

L’Area di Broca, che come è stato detto è deputata all’elaborazione della “parola”, mostra una riduzione della sua attività durante l’esposizione al ricordo del trauma: la capacità di elaborare con il linguaggio l’esperienza traumatica è un tassello fondamentale per una corretta classificazione e integrazione con altre esperienze, l’incapacità di integrare il ricordo riscontrata nei soggetti che soffrono di DPTS potrebbe costituire il nucleo centrale della patologia stessa.

 

Circuiti neurotrasmettitoriali

Secondo le concezioni teoriche attuali, cervello, corpo e mente rappresentano entità inestricabilmente connesse, così che le alterazioni in una qualsiasi delle tre, influenzerà inevitabilmente le altre due (Van Der Kolk, 2004). Esiste, infatti, una vasta sufficientemente consolidata letteratura che conferma, in presenza di alcuni situazioni traumatiche, specie se estreme e ripetute nel tempo (come lo stato di guerra e l’abuso sessuale intrafamiliare), la possibilità di alterazioni neurologiche e biochimiche, la cui reale implicazione non è ancora pienamente compresa. Le ricerche sugli effetti psicofisiologici, neurormonali e neuro anatomici del trauma, oltre che su alcune specie animali (come topi e scimmie), è stata condotta, principalmente, su individui affetti da disturbo post-traumatico da stress (DPTS), così come definito dal DSM IV (American Psychiatric Association, 1994). Tale disturbo si contraddistingue per la presenza di due caratteristiche di base:

  • La persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con uno o più eventi che hanno implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri,
  • La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.

I sintomi caratteristici che risultano dall’esposizione ad un trauma estremo includono: il continuo rivivere l’evento traumatico, l’evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma, l’ottundimento della reattività generale e sintomi costanti di aumento dell’arousal.

 

Alterazioni psicofisiologiche

Negli individui affetti da DPTS, sono state riscontrate reazioni psicofisiologiche anormali, a due livelli differenti: in risposta ai ricordi specifici del trauma, e in risposta agli stimoli intensi, ma neutrali (ad esempio, rumori forti), indicando la perdita della capacità di discriminazione degli stimoli stessi (Van Der Kolk, 1994).

Il paradigma attuale implica che i soggetti con DPTS soffrono di eccitabilità fisiologica elevata in risposta ai suoni, alle immagini e ai pensieri relativi agli avvenimenti traumatici specifici. Diversi studi hanno confermato che gli individui traumatizzati rispondono a tali stimoli con reazioni autonomi che condizionate, quali aumenti significativi della frequenza cardiaca, della conduttività tessutale e della pressione sanguigna. Le risposte fisiologiche molto elevate, che accompagnano il richiamo di esperienze traumatiche accadute anni e, a volte, decadi prima, illustrano l’intensità e la persistenza con cui le memorie traumatiche continuano ad influenzare l’esperienza corrente. Significativo, a tal proposito risulta il lavoro di Peter Lang (1979), nel quale si dimostra come le immagini mentali con carica emotiva correlano con un aumento significativo dell’attività del sistema nevoso autonomo. Lang, ha proposto che i ricordi emotivi fossero immagazzinati come “network associativi” consistenti di elementi sensoriali dell’esperienza. Questi network vengono riattivati quando una persona si trova ad affrontare situazioni che stimolano un numero sufficiente di eventi che li compongono. Attualmente, la diminuzione della reattività fisiologica, in risposta al linguaggio figurato relativo al trauma, è ampiamente riconosciuto come indice di risultato positivo della cura, anche se, Shalev e al. (1992), hanno indicato che la desensibilizzazione delle immagini mentali legate al trauma, non è necessariamente generalizzabile anche ai ricordi di altri eventi traumatici. Il riconoscimento della presenza, in individui traumatizzati, di reazioni fisiologiche anormali in risposta a stimoli improvvisi e intensi, sebbene neutrali, risale, invece ad Abram Kardiner (1941), che fu il primo a definire in modo sistematico lo stress post-traumatico in ambito statunitense; egli aveva notato che i malati di nevrosi traumatica si verificava, “dal punto di vista fisiologico, un abbassamento della soglia di stimolazione e, dal punto di vista psicologico, uno stato di sollecitudine a reazione di spavento”. Giunse così ad affermare che il nucleo della nevrosi era in realtà una “fisionevrosi”, vale a dire, un disturbo caratterizzato da risposte biologiche d’emergenza che persistono nel tempo. Kolb (1987), circa mezzo secolo più tardi, avanzò l’ipotesi che una stimolazione eccessiva del sistema nervoso centrale, al momento del trauma, potesse provocare dei mutamenti neuronali influenzati negativamente il processo di apprendimento, di assuefazione e di discriminazione degli stimoli: l’anormale risposta di allarme, caratteristica del DPTS (American Psychiatric Association, 1994) è un esempio di questo fenomeno. In effetti, numerosi studi hanno dimostrato, in soggetti traumatizzati, l’eccessiva risposta di trasalimento acustico e la marcata assuefazione alla “Acoustic Startle Response” (ASR): quest’ultima, consiste in una sequenza di reazioni muscolari e del sistema nervoso autonomo, provocate da stimoli intensi e improvvisi. In estrema sintesi, il fatto che i pazienti con DPTS non riescono ad integrare in modo appropriato i ricordi del trauma, ma rimangono vittime di un continuo rivivere il passato, potrebbe riflettersi fisiologicamente nell’interpretazione errata degli stimoli innocui (come quelli della ASR), come potenzialmente minacciosi; tuttavia, non è ancora chiaro se l’anormale assuefazione alla ASR sia un indicatore dello sviluppo di DPTS,oppure, un fattore di vulnerabilità al disturbo stesso.

Va sottolineato, comunque, che la letteratura dedicata alla lotta a traumi, stupri, rapimenti, catastrofi maturali ed incidenti, ha evidenziato che la risposta al trama è di natura complessa: l’ipermnesia, l’iperattività agli stimoli e il rivivere l’esperienza traumatica, coesistono con l’intorpidimento psichico, l’evitamento, l’amnesia e l’anedonia (American Psychiatric Association, 1994; Horowitz, 1978). Sembrerebbe che gli individui traumatizzati tentino di compensare la propria iperattività cronica, con una chiusura totale a livello comportamentale, evitando gli stimoli che ricordano il trauma, mediante un intorpidimento emozionale sia nei confronti dell’esperienza legata al trauma, sia dell’esperienza quotidiana a livello psicobiologico. Nel corso del tempo, gli individui con DPTS cronico iniziano a soffrire di sensibilità intorpidita nei confronti dell’ambiente, intercalata da iperattività fisiologica intermittente in risposta a stimoli di origine emotiva ed a specifiche sollecitazioni del ricordo.

 

Alterazioni neurormonali

L’esposizione a eventi intensamente traumatici determina, oltre ad effetti psicofisiologici, la liberazione di neurormoni endogeni sensibili allo stress, come le catecolamine (adrenalina e noradrenalina), la serotonina, gli ormoni dell’asse ipotalamo-iposifi-surrene (il cortisolo e gli altri glucocorticoidi) e gli oppioidi endogeni. Questi ormoni aiutano l’organismo a radunare energia per fronteggiare lo stress, secondo modalità che vanno dall’aumento della liberazione di glucosio a un’intensificazione della funzione immunitaria. Tuttavia, lo stress cronico e persistente inibisce l’efficacia della risposta allo stress e provoca una desensibilizzazione. I sistemi neurotrasmettitoriali studiati in modo più approfondito sono:

  • Sistema noradrenergico. I pazienti affetti da DPTS cronico presentano un’elevata attivazione del sistema nervoso vegetativo e dello stato d’allerta, rilevabile da elevata frequenza cardiaca, elevata concentrazione di catecolamine nelle urine, diminuita attività MAO-piastrinica e alfa-adrenorecettoriale. Da un punto di vista biochimico, è stato osservato, sulla base di modelli animali, che una massiccia secrezione di neurormoni noradrenergici, al momento del trauma, determina il potenziamento a lungo termine (PLT) e, quindi, il sovraconsolidamento dei ricordi traumatici. Il PLT aiuta l’organismo a valutare l’importanza degli input sensoriali successivi secondo la forza relativa delle tracce di memoria associate: questo fenomeno sembra essere mediato dall’input noradrenergico all’amigdala (Le-Doux 1990). È quindi possibile che la noradrenalina giochi un ruolo importante nella caratteristica iperattività delle persone con DPTS e nella vividezza dei loro ricordi. Van Der Kolk e al (1985) suggeriscono che una precoce esposizione allo stress, presumibilmente accompagnata da un aumentato rilascio di noradrenalina, potrebbe sensibilizzare l’individuo nei termini di una reattività amplificata nei confronti di stimoli susseguenti; invece, il correlato biologico di fenomeni come i flashback e gli incubi dei soggetti con DPTS potrebbe essere l’aumentata innervazione noradrenergica delle connessioni fra locus coeruleus, ippocampo, amigdala e neocorteccia temporale. Tuttavia, sebbene l’elevata liberazione di noradrenalina (considerato il principale ormone per il PTL), al momento del trauma, determina un eccessivo consolidamento dei ricordi traumatici, altri neurormoni, come l’ossitocina e gli oppioidi endogeni, possono contribuire alla creazione di amnesie spesso riscontrate del DPTS.
  • Sistema serotoninergico. Anche se non si conoscono le precise conseguenze della disregolazione serotoninergica, molti studi e ricerche compiuti su animali indicano che questo sistema gioca un ruolo importante nel DPTS. L’importanza della serotonina è stata anche dimostrata dal fatto che, gli inibitori del riassorbimento della serotonina sono agenti farmacologici particolarmente efficaci nella cura del disturbo. Due vie serotoninergiche sono state individuate come importanti nello sviluppo dei sintomi del DPTS: una emerge dal rafe dorsale e termina all’amigdala, coinvolgendo i recettori serotoninergici postsinaptici che mediano comportamenti di evitamento condizionato; la seconda via, va dal rafe mediano e innerva l’ippocampo, e sembra mediare la capacità di recupero e l’adattamento allo stress. Si pensa, dunque, che i farmaci serotoninergici siano utili relativamente alle condotte di evitamento e all’impulsività associati al DPTS, in quanto facilitano la capacità di monitorare l’ambiente in modo flessibile e di rispondere con comportamenti appropriati alla situazione, invece di reagire a stimoli interni irrilevanti alle esigenze attuali. In linea generale, la disfunzione del sistema serotoninergico, indotta da stress, potrebbe danneggiare il funzionamento del sistema inibitorio comportamentale, determinando diversi sintomi riscontrati nel DPTS, quali le esplosioni di aggressività, la riattualizzazione compulsiva degli schemi comportamentali collegati al trauma e un’apparente incapacità di apprendere dagli errori passati.
  • Asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Questo sistema, attraverso il rilascio di cortisolo e di altri glucocorticoidi, risulta di estrema importanza nella risposta allo stress: il cortisolo, infatti contribuisce a regolare la liberazione di ormoni sensibili allo stress mediante un circuito di feedback negativo all’ippocampo, all’ipotalamo e all’ipofisi, arrestando tutte le altre reazioni biologiche avviate dalle risposte allo stress e favorendo così comportamenti di coping attivo. Tuttavia, mentre lo stress acuto fa aumentare i livelli di glucocorticoidi, gli organismi tendono ad adattarsi allo stress cronico attraverso: una riduzione dei livelli di glucocorticoidi inattivi, una diminuzione della secrezione di glucocorticoidi in risposta ad uno stress successivo e un aumento della concentrazione di recettori di glucocorticoidi nell’ippocampo. Una precedente esposizione ad eventi traumatici può provocare, dunque, o una risposta del cortisolo attenuata nel corso di traumi successivi, oppure un ritorno più rapido del cortisolo al livello basale in seguito allo stress. Inoltre, questo sistema e quello noradrenergico sembrano stimolarsi reciprocamente supportando l’ipotesi di un’alterazione nel DPTS del normale feedback negativo tra questi due sistemi, che sfocia in reazioni indifferenziate del tipo “combatti o fuggi”.
  • Sistema endorfinico. Tale sistema determina analgesia durante la risposta allo stress, attraverso il rilascio di oppioidi endogeni che inibiscono il dolore e riducono il panico. Pazienti affetti da disturbo post-traumatico da combattimento hanno mostrato una ridotta sensibilità al dolore durante la ri-esposizione a ricordi traumatici. Siegfried e al hanno mostrato che, negli animali, sia la risposta di irrigidimento, sia quella del panico, interferiscono con un efficace processo di memorizzazione e, analogamente, un eccesso di oppioidi endogeni interferisce con l’immagazzinamento dell’esperienza nella memoria esplicita. Le risposte di irrigidimento e di stordimento negli animali, così come le reazioni dissociative in risposta al trauma, potrebbero svolgere la funzione di permettere all’organismo di non “esperire consciamente” o di non ricordare situazioni di stress opprimente, determinando così l’incapacità di apprendere dall’esperienza.

 

Rimane ancora molto da scoprire sul ruolo specifico dei diversi neurormoni nella risposta allo stress, e i risultati di diversi studi sono spesso contrastanti. Appare sostanzialmente chiaro che, tali ormoni potrebbero essere responsabili di molte caratteristiche del DPTS (ad esempio: iperreattività, evitamento condizionato, impulsività), ma soprattutto di molti aspetti dei ricordi traumatici: gli individui affetti da DPTS tendono a sovra interpretare l’input sensoriale, come ricorrenza del trauma passato, ed è  probabile che il rivivere frequentemente l’evento traumatico, nei flashback e negli incubi, provochi un ulteriore liberazione di ormoni dello stress, i quali attivano ulteriormente l’intensità della traccia di memoria. Tali ricordi, così forti e potenti, sono stati definiti, da Pitman e Orr (1990), il “buco nero” della vita mentale del paziente affetto da DPTS, in quanto attraggano a sé tutte le associazioni e privano la vita attuale del suo significato.

 

La risposta di ammiccamento

Il riflesso di trasalimento (“startle”) si presenta, sin dalla nascita, come una risposta motoria di tipo multicomponenziale a stimoli brevi, improvvisi e di forte intensità. L’analisi di tale risposta ha trovato una vasta applicazione all’interno delle discipline dello sviluppo, in particolare di area medica e psicologica. In ambito medico, lo “startle” è utilizzato, soprattutto in epoca neonatale, come un precoce indice diagnostico di patologie a carico del SNC, mediante la valutazione della complessa risposta motoria che coinvolge l’intero corpo del bambino. La ricerca psicologica si focalizza, invece, sull’analisi di una singola componente della risposta: il riflesso di ammiccamento palpebrale (“eyeblink”). Tramite la misurazione di questo riflesso, lo “startle” è considerato principalmente uno strumento d’indagine dello sviluppo cognitivo ed emotivo. Di seguito verranno illustrati alcuni studi psicofisiologici sulla risposta difensiva di ammiccamento in situazione d’allarme.[7]

La risposta risulta inadeguata ed eccessiva nei veterani come anche in alcune vittime di violenza sessuale.

Lo studio sottocitato specificherà studi clinici effettuati con diversi soggetti. Verrà studiata, appunto, la risposta di ammiccamento in 3 gruppi di soggetti: un gruppo di soggetti civili non affetti da DPTS, un gruppo di soggetti veterani affetti da DPTS ed un ultimo gruppo di soggetti veterani non affetti da DPTS.

[1] Michele Giannantonio, Psicotraumatologia e psicologia dell’emergenza, Salerno 2003

[2] Istituto A.T. Beck, La neurobiologia del Disturbo Post-traumatico da stress, 2006

[3] Istituto A.T. Beck, trauma e abuso, l’apporto delle neuroscienza allo studio del trauma, 2006

[4] Istituto A.T. Beck, la neurobiologia del disturbo post-traumatico da stress, 2006

[5] Istituto A.T. Beck, trauma e abuso, la via corticale, 2006

[6] Istituto A.T. Beck, neuroscienze e trauma, la via corticale, il ruolo delle connessioni corticali e sottocorticali nel trauma, 2006

[7] Giornale italiano di Psicologia, rivista web, Marzo 1/1998

Articolo di Silvia Bartolomucci

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