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Trattamento della Dipendenza da Gioco d’Azzardo Psicologico: cura, terapia, psicologia

Articolo di Laura Koelliker

Non è tanto l’attività in sé a causare la dipendenza ma si costruisce nell’interazione tra soggetto, oggetto e contesto in cui entrambi sono inseriti. Bateson (1998) spiega che le conseguenze, ciò che “deriva” da un evento retroagisce sulle cause, andando a ristrutturare il vissuto e la percezione di Sé. Non sono le cause, quindi, a provocare il comportamento, ma è l’esito del comportamento stesso che, creando un significato particolare per quel soggetto, ne faciliterà la reiterazione.
Schaffer (2005) afferma che il fulcro della dipendenza è l’esperienza soggettiva, il modo in cui l’oggetto cambia la condizione dell’individuo.
In questo senso la dipendenza non è considerata come “vizio” né malattia, ma come processo che si genera quando una persona, nel contatto con un particolare oggetto, si sperimenta in maniera diversa e legge questa ristrutturazione del Sé come positiva e più funzionale.
È “la convinzione individuale, in seguito ad un’esperienza soggettivamente interpretata, di avere trovato in un posto e solo in quel posto la risposta fondamentale a propri bisogni e desideri essenziali ed esistenziali: che non è possibile soddisfare altrimenti”. (Rigliano, 1998, pp. 54).

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In questa prospettiva possiamo affermare che non c’è un’eziologia della dipendenza, ma che essa si costruisce in una circolarità di bisogni e significati, che restringono il campo delle possibili scelte ad una sola ed unica opzione, quella con il contatto del soggetto. (Guerreschi, 2005) Ho già detto nel corso del mio lavoro che con il termine addiction si tende a definire la condizione generale di dipendenza psicologica che spinge alla costante ricerca dell’oggetto, dell’attività, senza i quali l’esistenza del soggetto sembrerebbe perdere di senso.
“È scioccante pensare che qualsiasi tipo di “dipendente” sia motivato dal desiderio maniacale di avvelenarsi. Ciò non permetterebbe di comprendere le importanti tensioni psichiche sottese al comportamento dipendente, tralasciando elementi consci e inconsci sottesi alle compulsioni da dipendenza”. (Mc Dougall, 2003).
Invece, i comportamenti compulsivi, dei quali mi occupo in questo lavoro, sembrano essere atti che portano con sé l’illusione di fare qualcosa per potersi aiutare, dimenandosi più o meno abilmente, tra le difficoltà che la vita quotidiana impone (Pani, Biolcati, 2006).
L’addiction è, secondo gli psicoanalisti, un disturbo a base psichica profonda che deriva dal fallimento delle cure primarie che causano una debolezza dell’ unità di base da cui deriva il bisogno di reiterare dei comportamenti. L’angoscia è la condizione soggettiva che maggiormente connota l’addiction, è un’ angoscia dell’annichilimento e della confusione a generare ripetizioni e compulsioni.
L’addiction affonda le sue radici nel sentimento precario di Sé e, quindi, sulla precarietà degli investimenti libidici. La relazione di dipendenza si fonda sul bisogno di riconoscimento, di conferma e il narcisismo viene utilizzato come difesa di questo Sé fragile e svalutato e ha lo scopo di controllare l’oggetto relazionale.
Questi soggetti non hanno la possibilità di introiettare l’oggetto attraverso un’esperienza transizionale, attraverso quegli oggetti definiti da Mc Dougall (2003) transitori; quindi la ricerca di questi oggetti diventa un paradosso, una ricerca che si traduce in un’esperienza insoddisfacente rispetto a dei bisogni così profondi dell’individuo. A queste persone non resta altro che ripetere in maniera coatta e disperata il comportamento ed è proprio questo che causa la fame insaziabile dell’oggetto e delle sensazioni che sono legate allo stesso. Le continue attività di sublimazione e credenze immaginarie sono volte a proteggere un senso di Sé fragile e vissuto costantemente come minacciato.
Il comportamento compulsivo, rituale fa si che si radichi nel soggetto l’illusione di alterare, oltre alla coscienza, processi inevitabili come il diventare adulti, il separarsi, l’invecchiare e poi morire.
“La strategia per affrontare il dolore non avvertito, che diviene un imperativo nella dipendenza, è il suo costante evitamento, è l’analgesia, «l’insonorizzazione del rumore disturbante», lo stordimento. Da qui la difficoltà nell’intraprendere un percorso di cura psicologica: nessuno si impegna a curare un dolore che non soffre” (Pani, Biolcati, 2006).

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