Psicologia Criminale: Il lato oscuro di Marco Prato

Articolo di Simona di Lucia

Per una precisa ricostruzione della vicenda riguardante l’assassinio di Luca Varani è necessario risalire a quella sera del 4 marzo 2016, quando durante un festino a base di sesso e droga Marco Prato e Manuel Foffo uccidono, con cento martellate e coltellate Luca Varani: un ragazzo di ventitré anni. La morte è avvenuta in modo lento e per dissanguamento, per il solo piacere dei carnefici, nonché per loro puro sadismo.

Il 21 giugno 2017 avrebbe dovuto aver luogo la prima udienza del processo a Marco Prato con rito ordinario: nel corso di un giro d’ispezione notturna viene rinvenuto il cadavere di Marco Prato nella sua cella, con un sacchetto di plastica in testa. Il Prato è deceduto inalando del gas da un bomboletta che viene assegnata ad ogni detenuto, al fine di cucinare. Il presunto omicida si sarebbe suicidato per l’eccessiva esposizione mediatica di cui è stato fatto oggetto.

I due giovani, Prato e Foffo, hanno scelto la loro vittima a caso, girando in auto per le strade di Roma: successivamente il Varani viene condotto a casa di uno dei due carnefici, stordito tra alcool e farmaci.  Per la Procura i due hanno svolto un ruolo paritario nella vicenda.

Gli aguzzini di Varani volevano “sentire le emozioni” che si provano mentre si uccide qualcuno. Dopo l’omicidio, il Prato si rifugia in una nella stanza d’albergo dove in seguito verranno rinvenute delle lettere indirizzate ai suoi genitori; questo fa pensare ad una premeditazione di un suicidio da parte sua.

Secondo Durkheim gli individui che non sono ben ancorati a valori e norme nella società, o al suo tessuto connettivo, risultano maggiormente predisposti al suicidio. Così è stato nel caso della situazione di Marco Prato: soggetto “bullizzato” in vari contesti interrelazionali ad es. l’università o altri luoghi di socializzazione.

Il comportamento deviante varia a seconda del tempo, del contesto, dell’appartenenza culturale e del ruolo; dipende dalle norme storicamente create e dalle sanzioni previste per la loro trasgressione.

Ogni società possiede una sua “devianza”, che si contrappone a sue norme e regole precostituite: ciò deriva dall’impellenza di tracciare i confini tra normalità e devianza, affinché si instauri nei membri di un gruppo sociale, un senso di appartenenza e di coesione: ciò in ragione di scongiurare il verificarsi di ulteriori “atti devianti”. Pertanto, “i devianti” possono essere anche degli “anticipatori”, per certi versi, di comportamenti che un domani diventeranno un comportamento normale o perlomeno accettato da tutti.

Purtroppo questa teoria non è sempre valida ed efficace, perché si può notare che nel caso della coppia di amici Foffo-Prato, che hanno ammazzato brutalmente Luca Varani, il concetto di appartenenza di un gruppo sociale per debellare altri atti devianti non è stato valido. Il Foffo e il Prato risultavano – con tutte le inquietudini che i due personaggi si sono portati appresso nel corso della loro esistenza –, almeno apparentemente, ben inseriti all’interno dei gruppi sociali, con frequentazioni di un certo livello, negli ambienti della cosiddetta “Roma bene”. Il duo ha messo in atto, ciò che ha messo in atto, in quanto era alla ricerca di assaporare il “brivido delle emozioni forti”, nella misura in cui la loro parzialità di intendere tali sensazioni soprassiedeva agli stati emotivi che poteva avvertire la vittima.

Bianca Barbero Avanzini in “Devianza e Controllo Sociale” afferma: «deviante, allora non è semplicemente chi si scosta dalla norma ma anche e soprattutto chi viene definito, identificato come tale. Non tutti, però sono sottoposti al medesimo livello di controllo: il “deviante del gruppo interno” (il simbolo del gruppo, la mascotte, o il buffone, o l’idiota del paese) può spostarsi dalle regole generali senza riaprire per nessuno il problema dell’identificazione. Allo stesso modo, svolgere un particolare ruolo, può in certi casi porre l’individuo al di fuori della moralità ordinaria (per esempio, il prete o il poliziotto)».

Nel caso di Marco Prato, la sua figura di “deviante” ha avuto varie sfaccettature: da PR (public relations) apprezzato in contesti glamour, ad omicida di un delitto efferato eseguito in compagnia dell’amico, fino a detenuto che sprofonda in uno stato depressivo che lo ha condotto ad una fine inesorabile. Un suicidio, quello di Marco Prato, che fa da pendant con l’estremo piacere: Eros Kai Thanatos (έρως και θάνατος), ossia Amore e Morte. Tutto ciò conduce ad interrogarsi su quale sia stato il “senso di realtà” percepito e vissuto dal Prato nel corso della sua esistenza e come tale “senso di realtà” si sia interconnesso, nello specifico, con immagini metaforiche o simboliche, frutto di traumi o di violenze dallo stesso subiti. Con la conseguenza di rotture insanabili della sua personalità: il Prato è stato succube di Foffo e la sua personalità, è stata mossa da esigenze di percezione e rappresentazione, idonee ai propri vissuti esistenziali. Marco Prato, ancor di più in compagnia del Foffo ha aumentato a dismisura l’ipertrofia del proprio senso di realtà ed in questo il suo amico è stato determinante. Trasgressione, amore e morte: un triangolo atto a disegnare ma anche a disfare identità: elementi cardine per vincolare le parti in causa al gioco, in quella serata piena di eccessi.

Il delitto del Collatino è stato forse uno tra i più efferati dei nostri giorni, dopo quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, che fu sciolto nell’acido dalla mafia siciliana.

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