La Patologia del Gioco d’Azzardo: curare e trattare una dipendenza

Articolo di Laura Koelliker

Non voglio soffermarmi sul gioco d’azzardo in quanto disturbo, patologia ma, sul suo significato.
In un ottica fenomenologica, esistenzialista guardare a questo fenomeno come possibilità di significare l’esperienza, il proprio percorso di vita, la propria esistenza. Pensare che il sintomo è per il soggetto un modo, un tentativo per trovare una soluzione al suo disagio e quindi non considerarlo un modo per farsi del male.
Attraverso il GAP il soggetto interroga il destino e lascia che siano le circostanze a decidere per lui. (Pani, Biolcati, 2005)
Ne “Il giocatore” (1866) il personaggio di Dostoevsky dice:

«mi sono sentito a un tratto dominato da una sete di rischio. Può darsi che l’animo, dopo avere provato tante sensazioni, non solo se ne sazi, ma al contrario ne ricavi un’eccitazione che lo spinga a esigerne sempre di nuove e più forti, fino a restarne definitivamente spossato…avevo vinto quel denaro rischiando più che la mia vita, avevo osato rischiare, ed ecco che ero nuovamente nel novero delle persone vive».

Attraverso il comportamento rischioso dell’azzardo, quindi, il pericolo si trasforma “magicamente” in una sensazione di libertà del Sé, di rivincita che suscita soddisfazione, la sensazione di avercela fatta che si trasforma a sua volta in auto-affermazione.
In quest’ottica guardare quindi alla patologia del GAP come espressione del Sé; mi concentrerò su come il “sintomo parli” come dice Jaspers.
Jaspers pensa la follia come un simbolo, un simbolo biografico. Il sintomo è, per Jaspers, un riassunto fortemente compresso ed espressivo di una biografia, non una disfunzione.
Gli strumenti del suo lavoro sono il frutto di contaminazioni tra varie discipline, anche molto diverse e distanti tra loro, come la psichiatria o la medicina, le scienze umane e le scienze sociali del suo tempo. Jaspers coniuga così il suo lavoro di clinico, quindi lavoro molto pratico, molto concreto e quotidiano con il ruolo di pensatore al di fuori della sua disciplina di appartenenza. È un lettore degli storici che, visti da questa prospettiva, hanno molto in comune con un terapeuta o uno psichiatra, perché a ben vedere gli storici sono confrontati continuamente con un problema comune, rispetto a quello di fronte a cui si trova uno psichiatra, cioè lavorano su indizi frammentari di un tempo che non conoscono, di un tempo che a volte è abbastanza enigmatico o misterioso, dove ci sono degli attori che compiono dei gesti e hanno a quanto pare dei progetti, ma di cui non sappiamo più molto e quindi guardiamo da una certa distanza, da fuori.
Lavorando su questi indizi e su questi frammenti, i sintomi sono sempre dei frammenti in fondo, devono capire quale nesso, e poi in particolare quale nesso di significato e di senso connetta i vari momenti di un certo tempo e di una certa epoca e i gesti e le decisioni di questo o di quell’attore. Dunque fanno un lavoro di questo tipo, tentano di ricostruire un tessuto unitario a partire da schegge. Lo storico è un decifratore, è il costruttore di una scienza che lavora su indizi e frammenti e così anche lo psichiatra jaspersiano deve trovare un senso soggiacente, scavalcando l’apparente insensatezza, scavalcando la tentazione di liquidare la follia come il semplice prodotto di superficie di una macchina che non funziona o mal funzionante. Evitare la scorciatoia di dire che il folle è, un uomo semplicemente malato. Ecco, la malattia racchiude un significato, a volte un significato che è lontano dalle parole per dirsi ma che richiede di essere interpretato. Potremmo asserire che gli storici, i sociologi, i filosofi di questo tempo siano attraversati da una parola chiave, forse da una parola d’ordine che è: vita, che è presente in modo molto potente nel pensiero di Jaspers e che in tanti modi poi sopravvivrà anche alle tante metamorfosi del suo pensiero. Vita è una parola chiave perché esprime questo tentativo di tornare a lavorare sulla biografia dei suoi pazienti, anzitutto sul nesso e sull’ insieme di nessi che stanno dietro agli atti che loro compiono. L’idea è che ci sia una vita dietro tutto questo, sotto tutto questo e che questa vita vada portata a galla e sia il vero oggetto della medicina, della psichiatria e poi in una stagione successiva il vero oggetto, l’unico oggetto della riflessione filosofica e psicologica.

 

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