Quel Genio Creativo di Sigmund Freud

Il padre della psicoanalisi Sigmund Freud iniziò con il concepire la creatività nei termini di un fenomeno “psicologicamente ancora
enigmatico” (1910/1974, p. 168), asserendo che non è problema della psicologia comprendere le origini, nell’artista, della capacità di creare (Freud, 1913/1976).

Grande era l’interesse che egli nutriva per l’arte (soprattutto quella antica e rinascimentale), come espresse in lettere in cui parlava delle sue visite alla Pinacoteca di Dresda, alla Basilica di Nôtre Dame, al Louvre e dei suoi viaggi ad Atene e a Roma (Vanni, 1976).

Ciononostante, era estranea, al primo Sigmund Freud, la ricerca dei significati simbolici dell’esperienza artistica: i simboli erano, da lui, visti come cosa adatta «al gabinetto di consultazione” e, ad esempio in un Tiziano», cercava più la bellezza che i significati simbolici o le figure mitiche: «…il titolo è privo di senso…» –scrisse in un appunto durante un soggiorno a Roma– «e cos’altro il quadro possa significare non si sa; basta il fatto che è molto bello».

In seguito, Freud si occuperà molto più analiticamente di creatività, indirizzando le sue indagini verso tre principali direttrici di ricerca:

  1. patografie di artisti risalendo, tramite l’aiuto di testimonianze storiche e documenti storico-biografici dall’opera alla personalità degli stessi;
  2. analisi delle opere letterarie in sé.
  3. La terza area di ricerca inerisce invece le fonti della creatività (ibidem).

Riguardo la prima di queste aree, si potrebbe dire che Freud iniziò a fare spazio, nel suo “gabinetto di consultazione” ad un geniale artista del passato, Leonardo da Vinci, sul quale giunse alla conclusione che la spinta continua alla ricerca e la mancanza di vita sessuale (per quanto riuscì ad informarsi circa essa), potessero essere spiegate con il meccanismo difensivo della sublimazione dell’esplorazione sessuale infantile che era stata prima repressa e poi trasformata in brama inventiva e creativa (Freud, 1910/1974). Stando al suo modello genetico-strutturale della psiche umana, in cui postula la co-esistenza delle tre istanze Es, Io e Super-io alla sua base, Freud lega la creatività proprio a tale meccanismo che sublima le forze provenienti dall’Es (Gennaro, 2014). Egli definisce queste ultime
come le forze utilizzabili per il lavoro culturale che provengono in gran parte dalla repressione dei cosiddetti elementi pervertiti dell’eccitazione sessuale (Eagle, 2012).

 

Se un individuo, secondo Freud, non riesce a dare libera espressione ai propri desideri, questi ultimi dovranno necessariamente trovare uno sbocco in altri modi oppure essere sublimati; a questo punto, mentre molti altri meccanismi di difesa esitano in nevrosi e
comportamenti non salutari, la sublimazione, al contrario, incanala tali energie verso fini asessuali, permettendo all’individuo, una gratificazione alternativa a quella in precedenza desiderata e non ottenuta (nè ottenibile, in quanto indirizzata a mete socialmente inaccettabili) (ibidem).

È evidente, a questo punto, come la sublimazione sia, per Sigmund Freud, alla base di ogni forma di creatività. Il secondo metodo attraverso cui Freud si è addentrato nell’analisi della creatività è stata l’interpretazione di pensieri, sogni, sentimenti ed azioni appartenenti a personaggi e vicende descritti da opere letterarie o artistiche, trattati alla stregua di casi clinici (Vanni, 1976).

Secondo Freud le opere d’arte sono soddisfacimenti “in fantasia” di desideri inconsci, e certi capolavori diventano immortali quando rappresentano conflitti che caratterizzano l’uomo da sempre e per sempre (Chasseguet-Smirgel, 1971/1989); il piacere preliminare (o ‘premio di seduzione’ o ‘di allettamento’) che nell’opera d’arte è la bellezza della forma, produce dunque un piacere ancora maggiore proprio perchè proviene, come mette in luce Freud, da impulsi profondamente rimossi (ibidem).

Esempio tipico è quello del complesso di Edipo (per la cui elaborazione Freud si era rifatto alla tragedia greca di Sofocle) e su cui
Freud fonda la sua psicologia: Freud rintracciò questa problematica anche nell’Amleto shakespeariano, focalizzandosi sull’incertezza che il principe manifesta di fronte all’invito del fantasma del padre morto che lo spinge ad attuare la vendetta uccidendo lo zio che ha preso il suo posto presso la regina-madre (Freud, 1900/1966).

Amleto, che in altri momenti aveva dimostrato fermezza e decisione, in quella circostanza si dimostrava debole ed irresoluto, perché, spiega Freud, egli «può tutto, tranne compiere la vendetta sull’uomo che ha eliminato suo padre, prendendone il posto presso la madre, l’uomo che gli mostra attuati i suoi desideri rimossi». (Freud, 1899, p. 246).

Figlio invece di studi sulle fonti della creatività è il suo saggio del 1907 «Dichter und das Phantasieren», ovvero «Il poeta e la fantasia», uno dei primi saggi di Freud, quando la sua teorizzazione era ancora all’inizio, e tuttavia un saggio denso, molto strutturato e notevole per la ricchezza degli insights che contiene in soltanto nove pagine (Aa.vv., 1999).

La parola «dichter» nel titolo in lingua originale è stata tradotta come «poeta»; invero, i significati che Freud dà a questa parola nel corso del saggio spaziano intercambiabilmente da «scrittore creativo» a «romanziere» e «drammaturgo». Ciò ben esemplifica quanto Freud
riconoscesse, ai poeti in particolare ed agli artisti in generale, una “conoscenza inconscia” della complessità della psiche umana, ritenendoli degli alleati preziosi, la cui testimonianza deve essere presa in attenta considerazione poiché essi conoscono più di quanto possa essere dominio di un qualsiasi sapere accademico (ibidem). Secondo questa visione, gli artisti sarebbero, dunque, stati anticipatori delle conoscenze psicoanalitiche ed interpreti di conflitti che accomunano ciascuno di noi.

Il «dichter» è inoltre paragonato al bambino che gioca e che attua una rinuncia pulsionale: sia, infatti, il bambino impegnato nel gioco che lo scrittore creativo applicano la loro capacità immaginativa fantasticando (ibidem). Entrambi sono degli sperimentatori: mentre il bambino fa finta di correre in automobile usando una comune sedia come auto, il pittore sarà portato a giocare con le forme ed i colori, il musicista con i suoni, il poeta con le rime e le parole.

Una creatività strettamente connessa alla regressione infantile viene, così, anche a legarsi ad un concetto di regressione narcisistica, e l’artista viene individuato come quella personalità narcisistica in perenne conflitto tra un amore-di-sé ed un amore-per-il-mondo (il conflitto, per Freud, insito in qualsivoglia vocazione creativa) (Vanni, 1976).

Seguita a rimarcare Freud che, nel corso del suo sviluppo, il bambino cesserà di giocare e sostituirà il gioco con la fantasia –sogni diurni o castelli in aria– nell’impossibilità di poter rinunciare a qualcosa e potendo soltanto barattare una cosa per un’altra (Aa.vv., 1999).

Freud scrive anche che l’uomo felice non fantastica mai e che a farlo è solo l’insoddisfatto lo fa. Sono, quindi, i desideri insoddisfatti,
per Freud, le forze motrici della fantasia; ed ogni singola fantasia è appagamento di desiderio, una correzione della realtà che lascia
insoddisfatti (ibidem). L’appagamento del desiderio è dunque il fil rouge che lega la fantasia all’arte e queste due al sogno, in quante entrambe, per Freud, rientrano, al pari di quest’ultimo, in tal genere di “correzione della realtà” (Chasseguet-Smirgel, 1971/1989).

Ciò detto, mentre la fantasia e la creatività in senso stretto come oggetti di ricerca hanno subìto molte modifiche nel suo stesso pensiero psicoanalitico, nei suoi saggi estetici Freud non oltrepassa mai tale analogia strutturale tra lavoro onirico e lavoro artistico. In quest’equazione tra arte e sogno, è conseguente che il processo artistico si avvalga dei meccanismi propri del sogno.

Come osserva Lacan (1966/2002), si può dire che l’attività psichica inconscia possieda un proprio linguaggio: per Freud, tale linguaggio –e, parimenti, il linguaggio della creatività, risiedendo quest’ultima nell’inconscio– è quello del processo primario.

Il processo primario è un processo per cui i pensieri, esperienze e fantasie della nostra vita da svegli vengono continuamente rimescolate, ricombinate in forme sempre nuove; è l’attività che caratterizza il sistema inconscio, attraverso la quale l’individuo può far emergere la propria energia psichica (Eagle, 2012).

Va fatta nuovamente, tuttavia, una distinzione tra un primo ed un secondo Freud, stavolta nel modo di concettualizzare il nesso creatività-processo primario. Un primo Freud, infatti, non coglieva alcun valore artistico ne processo primario in quanto tale, perché lo considerava un meccanismo comune ad ogni intelletto, il più debole come il più sviluppato.

Egli liquidava dunque gli espressionisti e i surrealisti come “matti” perché sospettava che questi movimenti confondessero i meccanismi in questione con l’arte. Fu l’incontro con il genio assoluto dell’arte del ‘900 Salvador Dalì –che, nel 1938, dietro insistenza dell’amico Stefan Zweig,

Freud acconsentì di ricevere a Londra– a fargli mutare, in una certa misura, parere in merito. Egli così scrisse, infatti: «Ero portato a considerare i surrealisti, che sembra mi abbiano prescelto come loro santo patrono, dei puri folli, diciamo puri al novantacinque per cento, come l’alcool. Il giovane spagnolo coi suoi occhi evidentemente sinceri e fanatici e la sua innegabile maestria tecnica mi ha suggerito una diversa valutazione.

Sarebbe davvero assai interessante esplorare analiticamente le origini di una pittura del genere. Eppure come critico uno potrebbe avere il diritto di dire che il concetto di arte resiste al fatto di essere esteso oltre il punto in cui il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l’elaborazione preconscia non è mantenuto entro certi limiti. Sono problemi psicologici seri» (E. Freud, L. Freud e Grubrich, 1980, p. 99).

Caratterizzato da un pensare desiderante, il linguaggio del processo primario è, ad ogni modo, intriso delle medesime proprietà formali dei sogni, quali la condensazione (l’inclinazione a formare nuove unità da elementi che nel pensiero della veglia si terrebbero distinti), lo spostamento (ovvero la traslazione di affetti, interessi e investimenti emotivi da un certo contenuto psichico a un
altro) e, in misura minore, la simbolizzazione, ovvero la rappresentazione di una cosa (per esempio un desiderio) per mezzo di un’altra (Eagle, 2012). Come osservano Schimek e Goldberger (1995, pp. 210-211) «esso non opera infatti in base a principi razionali e realistici, bensì sulla base di somiglianze insignificanti tra gli elementi: ciò che Freud chiama ‘associazione superficiale’, che è spesso basata su assonanza, doppio senso, coincidenza temporale senza intima relazione di significato, da tutte le associazioni che ci concediamo nella battuta di spirito e nel giuoco di parole» (Freud, 1900/1966, p. 484).

La fantasia, e talvolta anche il motto di spirito, ci forniscono alcuni dei piaceri persi nella rinuncia al gioco.

In tale ottica, ben si inquadra il saggio del 1905 sul «Motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio», in cui Freud indica che il meccanismo che nel motto di spirito crea piacere è simile a quello ottenuto nella creazione artistica quando essa suscita quella particolare sensazione gioiosa che è l’emozione estetica.

Articolo di Roberto Petriccione

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