La psicologia tra sentimenti ed emozioni

Articolo di Andrea Marini

La differenza tra emotions e feelings: “L’errore di Cartesio”

Sono stati richiamati alla memoria il Γνῶθι σαυτόν, la divina voluptas epicurea e il principio oraziano della medietas nel tentativo di individuare una lacuna, ovvero un’illusione comune: quella di un uomo che potenzialmente si costruisce da sé e che può innatamente riflettere su se stesso senza che prima sia stato dotato da altri di una consapevolezza emotiva.

 

Conoscere non significa intuitivamente ricordare. Gli studi di Damasio ci offrono una potente soluzione alla пαιδεία13 emotiva, costituendo una nuova e brillante consapevolezza del funzionamento affettivo: la differenziazione tra «emotions» e «feelings». Se le emozioni sono i colori della nostra vita che consistono in meccanismi omeostatici e biologici, «in un insieme di risposte chimiche e neurali»14, i sentimenti denotano qualcosa di concettualmente nuovo, «l’accompagnamento musicale della nostra mente»15. Il sentimento indica l’esperienza mentale privata di un’emozione, la percezione di un certo stato corporeo, è «l’idea del corpo nel momento in cui esso è perturbato dalle emozioni»16.
Se non siamo coscienti non siamo in grado di sentire e fare, non possiamo dirci come esistenti. «Dopo essere – fare. Ed essere fatto per. Ma prima di tutto, essere»17. Potrebbe definirsi questo il motto del neuroscienziato che ha dimostrato che «le emozioni e i sentimenti delle emozioni sono rispettivamente, l’inizio e la fine di una progressione»18. Se quindi l’emozione viene a determinarsi sul versante del corpo, i sentimenti insistono sul versante della mente, definendo una precisa rappresentazione del biologico in quell’istante.
Date queste premesse, il progetto dell’antichità di stabilire una decifrazione dell’autocoscienza in termini di innatismo non potrebbe essere più limitante e riduttivo.
Il potere di autocomprendersi, che nel pensiero greco e romano costituiva la capacità basilare per il raggiungimento della saggezza, oggi riflette invece il termine del processo di catarsi emotiva. L’ottica moderna vede l’unità della coscienza di sé quale ultimo tassello del puzzle che consente all’uomo di scoprire l’occhio tramite cui osservare se stesso.
Affrontando la questione del principio delfico da un punto di vista empirico, Fonagy e Target sono riusciti a descrivere la funzione riflessiva come la capacità di riconoscere e di rappresentare i propri e gli altrui comportamenti come frutto di intenzioni, desideri e scopi. Questa facoltà non è innata, viene a determinarsi nell’esperienza dell’alterità che si realizza già nei primi mesi di vita all’interno del triangolo primario.

«Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge».

Sostenere la formazione della personalità del bambino significa offrirgli, al pari di uno specchio, la possibilità di cogliere negli occhi amorevoli di sua madre l’immagine di se stesso. “Penso, dunque esisto” non può funzionare come modello psicodinamico della nascita del Sé. «La mamma pensa a me come a qualcuno che pensa e dunque io esisto come essere pensante» è una formulazione probabilmente più veritiera e pregnante.

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