Non esprimere le emozioni uccide la psiche

Articolo di Andrea Marini

L’ampio spessore assunto dal costrutto dell’alessitimia quale rappresentante personologica della disregolazione degli affetti, getta nuova luce sulle fondamentali interazioni esistenti tra emozioni, cognizione e psicopatologia.
Secondo Anzieu, l’Io-pelle, quale involucro psichico, è «una rappresentazione di cui si serve l’Io del bambino, durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi se stesso come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo»28. La dipendenza fusionale e l’identificazione adesiva trovano presto la necessità di passare ad una progressiva desomatizzazione emozionale che permetta al bambino di riconoscere l’esistenza di un “me-stesso”. Sono ancora le cure della madre a fare la differenza. Quando l’handling e la rêverie genitoriale non forniscono al figlio l’immagine del «corpo come sacco»29, contenente in senso bioniano sensazioni bonificate dal fango dell’indifferenziazione, il bambino sviluppa un «contenitore interno difettoso»30. Una pelle strappata, deturpata, assassinata, inframezzata da buchi che ne interrompono la continuità. Si presenta così, come diretta conseguenza, una profonda correlazione tra alessitimia e psicopatologia.

Negli alessitimici si stabilisce uno «scollamento della componente fisiologica dell’attivazione emotiva dal sentimento soggettivo»31 e dall’elaborazione cosciente dell’esperienza.
L’incapacità di elaborare le emozioni è un fattore di predisposizione generale ai disturbi psicosomatici32. Lamento somatico e preoccupazioni ipocondriache costituiscono il nocciolo del pensiero operativo che determina un’attenzione eccessiva all’esterno piuttosto che all’interiore.
Considerato inizialmente solo esclusivo dei disturbi psicosomatici, il costrutto dell’alessitimia è stato poi allargato anche a molti altri campioni psicopatologici.
L’assunto di base di queste osservazioni è che i sintomi psicopatologici corrispondano a strategie alternative ed inefficaci di modulazione dei propri stati affettivi. Il soggetto, incapace di elaborare metacognitivamente l’attivazione emotiva, terrorizzato dall’incombenza distruttiva degli affetti informi e senza nome, struttura una serie di meccanismi di difesa primari, disfunzionali che ne caratterizzano il funzionamento morboso.
Nella valutazione di diverse popolazioni cliniche, si è supportata l’ipotesi secondo cui le caratteristiche alessitimiche costituiscano le basi predittive di una vasta serie di stati psicopatologici33. Rispetto ad altre dimensioni della personalità, è risultata più determinante nella possibilità di inferire il funzionamento psicopatologico della persona.
Come lo stesso professor P. Porcelli enuncia34, l’alessitimia costituisce un nucleo centrale transdiagnostico, raggiungendo in alcune popolazioni cliniche35 prevalenze altissime, anche del 70% – 80%36. In termini statistici quindi, parliamo quasi di una regola più che di un’eccezione.
In sintesi quindi, i disturbi, quali «l’ipervigilanza ansiosa sui sintomi corporei, la scarica della tensione attraverso l’atto impulsivo, la ricerca dell’iperstimolazione attraverso comportamenti compulsivi o tossicomanici»37, sono comportamenti patologici associati al funzionamento alessitimico.

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