Come fermare un killer prima che uccida

Articolo di Arianna Leone

Gli studi predittivi hanno un ruolo fondamentale nell’ambito della prevenzione e del contrasto criminale. I modelli previsionali permettono infatti di comprendere anticipatamente le dinamiche criminali.

Sono molte le aree di studio legate a questo tema:

  • diffusione geografica dei crimini
  • pericolosità del criminale
  • caratteristiche del profilo dell’offender
  • stile di attaccamento
  • miglioramento dei fattori preventivi

Abbiamo visto nel Primo Capitolo, che un’infanzia travagliata, il vissuto di una famiglia multiproblematica, abusi fisici e psicologici sono fattori che incidono sulla probabilità di diventare offender. È questo l’obiettivo di una ricerca di Behanan e Rejani (2015) [1], nella quale si cercano di comprendere le relazioni tra disfunzioni familiari, trauma, abuso e comportamenti criminali. Questo studio ha coinvolto 30 offender che al momento della ricerca erano in prigione. I partecipanti erano sottoposti a una serie di test psicometrici:

  • Childhood Traumatic Events Scale: Childhood Traumatic Events Scale di Pennebaker e Susman (1988) [2] al fine di rilevare la presenza di alcune esperienze traumatiche infantile come: morte, divorzio, violenza, abuso sessuale, malattia o altro. In questo strumento vengono considerate solo le esperienze che si sono verificate prima dell’età di 17 anni.
  • The Relationship Questionnaire di Bartholomew e Horowitz (1991) [3] è uno strumento che misura lo stile di attaccamento: sicuro, ansioso/ambivalente, evitante, attaccamento basato sul respingere.
  • Parental Authority Questionnaire (PAQ), si tratta di uno strumento di Buri (1989)[4] costituito di due parti di 30 domande ognuno su scala Likert a cinque punti che misurano rispettivamente l’autorità della madre e del padre. Il test è stato sottoposto ad Alpha di Cronbach per misurare la coerenza interna con risultati pari o superiori a .75, rivelando così un buon livello di attendibilità.
  • Self-Report Family Inventory è uno strumento costruito da Beavers (1990)[5] che misura le caratteristiche della famiglia in cui si è vissuti: salute/competenza, conflitto, coesione, leadership, espressività emozionale. Lo strumento è costituito da 36 item su scala Likert.

Lo studio ha rilevato che nell’80% dei soggetti vi era abuso e trauma infantile. Studi passati hanno inoltre affermato che l’abuso infantile è maggiormente predittivo del crimine nelle donne rispetto agli uomini[6] e nelle forme di maltrattamento multiplo[7]. Anche l’attaccamento ha un ruolo determinante, come vedremo, esso è predittivo di determinate azioni sulla scena del crimine[8]. Uno studio di McVay[9] ha mostrato che esiste una relazione cruciale tra stile di attaccamento e alcuni comportamenti violenti. Nello studio di Behanan è emerso che la maggior parte dei partecipanti aveva uno stile di attaccamento evitante.

Un diverso percorso che conduce all’abuso e maltrattamento infantile è quello che prevede il pensiero criminale come una variabile mediatrice della relazione tra queste due variabili[10].

Per poter studiare attentamente il fenomeno della previsione e prevenzione dei comportamenti criminali è necessario conoscere gli strumenti di rilevazione del comportamento, i loro principali vantaggi e svantaggi.

Un tema centrale nello studio della previsione del comportamento umano è legato alla complessità dello studio:

  • Gli studi sulla previsione dei comportamenti necessitano di analizzare un campione di partecipanti a lungo.
  • Nell’analisi del comportamento criminale ci può essere un lungo periodo tra l’esordio di una situazione problematica (ad es., stile di attaccamento disfunzionale, stile genitoriale inefficace, famiglia multiproblematica), lo sviluppo della personalità dell’offender e l’esordio del comportamento criminale.

SEATTLE, UNITED STATES – MARCH 14: Psychologist Dr Paul Ekman poses for a studio portrait on March 14th, 2008 in Seattle, Washington, United States. (Photo by Steven Dewall/Redferns)

Per questo motivo gli studi predittivi sono raramente presi in considerazione, mentre sono molto più spesso messi in atto studi postdittivi, ovvero, studi che, a seguito di un comportamento criminale, raccolgano informazioni sulla storia dell’offender. Tutto ciò implica in qualche misura un campionamento, un’analisi dettagliata di una parte del fenomeno. Difficilmente viene preso in considerazione un campione rappresentativo, si tratta infatti solamente dei casi riconosciuti effettivamente come criminali e solamente delle persone che si sottopongono alla rilevazione di alcuni aspetti. Strumenti come interviste, test psicometrici e tecniche proiettive condotte dopo un evento criminale, raccolgono solo una parte dell’informazione, lasciando da parte ciò che invece si verifica prima, ovvero quale sia lo stato del soggetto prima di compiere un atto criminale. Inoltre, gli strumenti citati in precedenza non sono immuni dall’errore di misurazione. Spesso il criminale a seguito dell’evento mette in atto tutta una serie di meccanismi, come la razionalizzazione, che modificano la percezione. Per questo motivo, è sempre consigliabile utilizzare contemporaneamente più metodi per bilanciare i rispettivi limiti di un metodo con i vantaggi di un altro strumento (principio della triangolazione[11]).

Quando si utilizza il metodo dell’intervista è importante avere uno strumento qualitativo ben codificato per l’analisi della stessa. Uno degli approcci più comunemente utilizzati per lo studio delle interviste è certamente l’analisi delle narrative di Canter. Lo studio delle narrative presuppone che le persone vivano le loro vite sotto forma di storia e pongono se stessi come protagonisti. Il modo in cui le persone si raccontano, le loro narrative possono essere analizzate nello specifico sotto forma di temi e ruoli. Il modo in cui si costruisce la storia può dare notevoli informazioni e può essere utilizzata per formulare previsioni sul comportamento futuro dell’offender e su altre caratteristiche. Canter scrive: “le narrative sono espresse in azioni e tracce lasciate alle spalle del crimine”[12]. Si può ipotizzare che lo studio degli aspetti soggettivi del modo in cui i killer seriali vedono le loro vittime possa aiutare a classificarli e comprenderli. Uno studio di Meloy[13] ha dimostrato che i risultati ai test proiettivi possano dare indicazioni specifiche sulle caratteristiche dell’offender. In particolare questo ricercatore ha rilevato che i bisogni di auto-rispecchiamento e di relazioni simbiotiche causati da esperienze traumatiche sono associate al fenomeno dell’omicidio seriale.

Le narrative possono essere studiate anche nell’ambito delle tecniche proiettive, questo tipo di strumento sottopone al soggetto uno stimolo ambiguo, volutamente destrutturato che deve essere interpretato. Se da una parte lo stimolo è ambiguo, dall’altra il compito dello psicologo è molto chiaro, si vuole capire come la persona strutturi la realtà partendo da qualcosa di destrutturato. L’obiettivo è proprio quello di capire come la persona strutturi la realtà. Anche in questo caso, è necessario che tali analisi siano standardizzate o quantomeno codificato al fine di non far aumentare l’errore statistico[14]

Un altro modo di analizzare il comportamento criminale per classificarlo, prevenirlo ed eventualmente prevederlo è l’analisi comportamentale. L’analisi dei comportamenti dell’offender, quando standardizzata e codificata può essere un’ottima modalità di analisi, in quanto risente meno dell’errore statistico. I metodi di analisi comportamentali necessitano dunque di un manuale di codifica del comportamento. Ogni comportamento è classificato sotto un particolare codice che lo descrive in modo dettagliato. Ogni classificazione comportamentale deve comprendere un solo comportamento sotto ogni codice al fine di ridurne l’ambiguità e deve essere il più possibile oggettivo. Il peso dell’interpretazione dell’analista sul processo di codifica deve essere il più basso possibile. Solitamente ognuno di questi codici comportamentali ha un set di requisiti da soddisfare per poter essere attribuito. Nell’ambito dello studio del comportamento criminale esistono molte applicazioni di tale metodo:

Metodi di analisi del comportamento non verbale: esistono molte classificazioni del comportamento non verbale, ma solo alcune di queste sono codificate e standardizzate. Esse vengono utilizzate in un’ampia gamma di situazioni per la prevenzione e comprensione del crimine. Infatti, possono essere associate a qualsiasi tipo di intervista nell’ambito forense, durante l’interrogatorio, durante l’analisi dell’attendibilità di un testimone, ma anche in situazioni legate alla sicurezza e alla prevenzione. Un esempio di strumento di prevenzione del crimine è il metodo Spotting Passenger Observation Tool (SPOT) costruito da Ekman e collaboratori al fine di prevenire i comportamenti violenti e terroristici negli aeroporti. Il metodo consiste nella divulgazione di metodi di osservazione del comportamento al fine di identificare passeggeri sospetti. Un secondo metodo di analisi del comportamento umano è chiamato Facial Action Coding System, si tratta di uno strumento standardizzato di codifica del comportamento facciale ideato da Ekman e Friesen nel 1978, successivamente rivisto ed ampliato da Ekman, Friesen e Hager nel 2002[15]. Si tratta di un atlante dei movimenti facciali del volto. Mediante l’aiuto di un elettromiografo, Ekman e collaboratori hanno isolato ben 44 Unità di Azione Facciale che sono state studiate e classificate all’interno del Manuale di codifica. Ogni unità facciale è descritta in dettaglio, indicando le strutture anatomiche coinvolte, i cambiamenti facciali che entrano in gioco quando un’azione muscolare viene attivata, i criteri per codificare un’espressione facciale. Sono inoltre presentate le sottili differenze che ci sono tra la stessa azione contratta nei cinque diversi livelli di intensità. Lo stesso muscolo, infatti, contratto fortemente o debolmente, determina cambiamenti più o meno visibili sul volto. Le azioni muscolari possono verificarsi anche contemporaneamente, le azioni facciali che si verificano assieme si influenzano vicendevolmente, complessificando l’analisi. L’uso di strumenti standardizzati di analisi facciale può consentire di decodificare le emozioni e gli stati di incongruenza. Una comparazione tra le espressioni facciali e il contenuto verbale delle stesse può far dedurre che il soggetto non creda a ciò che dice, per questo motivo il Facial Action Coding System può essere utilizzato per fare un’analisi della credibilità di sospetti, vittime e testimoni. Esistono inoltre strumenti di analisi del linguaggio del corpo come il Body Coding System, un sistema di Dael, Mortillaro e Scherer (2012) [16] che ha la finalità di codificare il comportamento gestuale e motorio. Le ricerche ad oggi sono in fase pionieristica ed è necessario validare tali strumenti per codificare informazioni nascoste. Il grande merito di tale strumento resta comunque la produzione di strumenti standardizzati di codifica del comportamento. Uno degli obiettivi a cui mira la ricerca in questo momento è l’analisi automatica di tali comportamenti al fine di identificare minacce alla sicurezza in azienda o in luoghi affollati, luoghi che possono essere obiettivo di attacchi terroristici. La prevenzione dei comportamenti violenti può di fatto passare dall’analisi del comportamento non verbale. Ad oggi però i principali strumenti automatizzati di analisi non hanno ancora un livello di attendibilità particolarmente alto, in quanto le macchine fanno difficoltà a distinguere le variazioni del volto dovute ad azioni facciali o a variazioni della luminosità o ancora a rughe fisse del volto. Diversi strumenti di codifica del comportamento facciale chiamati Facereader, sono in grado di decodificare le espressioni facciali, riescono efficacemente a farlo solamente in condizioni di luminosità ottimale e se il soggetto si pone frontalmente rispetto alla videocamera. Lo sviluppo di tali tecnologie è sicuramente auspicabile e promettente nell’area della comprensione e prevenzione dei comportamenti criminali.

Esistono inoltre strumenti standardizzati dell’analisi del contenuto come: Forensic Statement Analysis, Criteria Based Content Analysis, Statement Analysis, Scientific Content Analysis. Essi si completano nella loro efficacia quando sono associati ad un’intervista standardizzata come la IIE, la MITT .

La Psicologia Investigativa di David Canter, invece, utilizza l’analisi del comportamento che può essere dedotto sull’analisi della scena del crimine. Può essere dedotta una grande quantità di informazioni da un evento criminale, da fonti diverse:

  • Resoconti di testimoni e vittime
  • Interviste ed interrogatorio
  • Analisi della scena del crimine
  • Analisi dei tabulati telefonici

Tali informazioni possono essere aggregate e codificate all’interno di un sistema standardizzato. Tali sistemi permettono di classificare e raccogliere una notevole quantità di informazioni sull’offender, incrociare i dati e fare studi di classificazione e previsione.

 

Il concetto di Equazione AàC

Nell’ambito dello studio della previsione di comportamenti criminali è molto importante l’equazione AàC ideata da David Canter, un’equazione volta a connettere le azioni dell’offender con le sue caratteristiche. In questo modo diventa più facile costruire un profilo dell’offender su base statistica ma anche capirne il comportamento futuro (ad es., valutare la sua recidività). Le classificazioni  del comportamento criminale, da un punto di vista analitico, sono molto utili perché consentono di mettere in atto un assessment delle caratteristiche dell’offender e di fare ordine sulla grande diversità di variabili che possono entrare in gioco.

L’equazione AàC è un termine coniato dallo psicologo britannico David Canter per parlare della relazione tra azioni compiute sulla scena criminis e le qualità del criminale. Tali equazioni servono proprio a definire il profilo di personalità del criminale, formulando ipotesi sulla sola base delle azioni dedotte. È chiaro che il valore statistico di queste equazioni è vari sulla base della relazione percentuale tra azione e caratteristica. Maggiore è il numero di azioni inserite nel modello di analisi, maggiore sarà il valore statistico del profilo costruito e lo stesso vale per il valore predittivo. In questo paragrafo saranno mostrati i principali dati di ricerca su omicidi singoli, omicidi seriali e reati sessuali che hanno al loro interno l’applicazione della tecnica AàC.

Quattro serial killer sono stati attivi nel Regno unito tra il 1982 e il 1991 e tra il 1982 ed il 1991 ci sono state 196 vittime di omicidio plurimo in Inghilterra e Galles (Gresswell e Hollin, 1994) [17].

L’omicidio seriale negli Stati Uniti ha rappresentato l’1,7% degli omicidi tra il 1940 e il 1985, successivamente questo tasso è quasi raddoppiato (3,2%) nel range temporale tra il 1970 e il 1993 (Jenkins, 1988) [18].

Hickey (1997) [19] ha condotto una delle misurazioni più grandi sulla prevalenza dei serial killer negli Stai Uniti a lungo termine, raccogliendo un campione molto ampio dal 1800 in poi. Ha notato che nel periodo degli anni ‘60 e ‘70 del Novecento il numero di serial killer è aumentato notevolmente. Hickey ha contato dalle 2526 alle 3860 vittime uccise da 399 serial killer nel periodo compreso tra il 1800 e il 1995 e dalle 974 vittime alle 1398 nel periodo dal 1975 al 1995. Questo significa che il valore è compreso tra 49 e 70 vittime per anno, va inoltre considerato che tale valore non conta casi dubbi o non accertati.

Uno studio di Holmes e DeBurger (1988)[20] ha affermato invece qualcosa di diverso, ovvero che ci siano tra le 3500 alle 500’ vittime di killer seriali ogni anno negli Stati Uniti e che siano loro la principale fonte di casi non risolti o di casi di “persone scomparse”, resta tuttavia difficile tenere per certa questa ipotesi, proprio per la scarsa presenza di dati, per questo si tratta di un’ipotesi spesso criticata.

Altri studi si sono focalizzati invece sulle caratteristiche della vittima. Di solito si tratta di donne caucasiche, giovani e vulnerabili, l’uccisione avviene tra persone sconosciute (Egger, 1998)[21].

La ricerca di Kraemer e collaboratori (2004)[22] mostra che si tratta di donne (67% dei casi) caucasiche (71% dei casi) e che abbiano una media di 33 anni. La proporzione delle etnie di appartenenza delle vittime negli Stati Uniti è simile a quella della popolazione generale statunitense (ovvero, non ci sono differenze significative tra i due campioni).

Gli obiettivi principali dei serial killer sono autostoppisti, donne che vivono da sole, prostitute, giovani ragazzi e persone anziane (Fox e Levin, 1994) [23] e il 24% dei killer seriali hanno ucciso almeno un bambino.

Nella maggioranza dei casi gli intervalli degli omicidi hanno range temporali molto diversi che spaziano tra alcuni giorni o, in alcuni casi addirittura anni. Uno schema comune prevede che tra il primo omicidio e i successivi passi circa un anno, mentre successivamente l’intervallo temporale diminuisce e si compiono circa 3-4 omicidi nel secondo anno di attività.

Lo stesso tipo di analisi può essere condotto anche su crimini di tipo diverso. Una lunga letteratura si è occupata di analizzare la violenza sessuale. Qui di seguito verranno riassunti alcuni studi in questo settore.

Una ricerca di Davies, Wittebrood e Jackson (1997)[24] ha studiato i dati di 210 casi risulti di violenza sessuale – mediante un’analisi di regressione lineare logistica, una procedura statistica in grado di stabilire il valore di alcune variabili predittrici (in questo caso le azioni sulla scena del crimine) rispetto a variabili dette criteri (in questi caso, le caratteristiche dell’offender).

Un primo risultato statistico di valore per questa ricerca è che il criminale che mette in atto la violenza sessuale verso una persona sconosciuta, nel 85% ha commesso altri crimini tracciati dalla polizia, i reati precedenti sono di tipo diverso.

L’approccio della confidenza è maggiormente associato agli offender che violentano una volta. Questo tipo di metodo è più frequente in questo tipo di offender ed ha due volte e mezzo di probabilità in più di avere un approccio di confidenza, mentre lo stupratore seriale usa più frequentemente l’approccio della sorpresa.

Colpire la vittima due o tre o più volte è un indicatore che può essere usato ai fini investigativi, in questi casi l’offender ha un probabilità tre volte superiore di essere stato registrato dalla polizia per precedenti crimini violenti.

Lo stupro che si verifica con forzatura della serratura è un indicatore notevole, perché indica un’esperienza precedente dello stupratore nel furto con scasso, in questi casi la probabilità che l’offender sia una persona precedentemente condannata per furto con scasso è cinque volte superiore.

Il fatto di derubare la vittima è statisticamente associato a precedenti condanne in una grande varietà di reati come il furto con scasso, reati alla proprietà, reati legati allo spaccio di droga, sentenza di custodia cautelare.

La variabile riferimento alla polizia indica una probabilità maggiore di quattro volte di essere stato in carcere, cinque volte e mezzo di avere una condanna, due volte e mezzo di avere una condanna per violenza rispetto a chi non ha messo in atto questo comportamento.

Se il violentatore non mette in atto alcuni comportamenti di precauzione prima di partire (ad es., far lavare la vittima), dimostra una scarsa consapevolezza forense e questo è più probabile negli stupratori al primo crimine.

I comportamenti di precauzione relativi alla visibilità dello stupro sono più frequenti – per gli stessi motivi – nel caso dello stupratore al primo crimine.

Una delle variabili più predittive di precedenti condanne per lo stupro è la distruzione del seme, si tratta di una pratica quattro volte più frequente in caso di precedente condanna.

Se sulla scena del crimine non si ritrovano impronte digitali, lo stupratore dimostra consapevolezza forense e quindi ha circa 4 volte più probabilità di essere una persona che ha messo in atto furto con scasso in precedenza.

Anche lo studio di Hakkanen, Lindlof e Santtila (2004)[25]  , che ha analizzato il comportamento di 100 violenze sessuali verso vittime sconosciute, ha trovato che il furto dello stupratore correla positivamente con precedenti condanne per reati contro la proprietà. Si tratta di una ulteriore conferma che questo tipo di indicatore può probabilmente velocizzare le indagini cercando persone con precedenti condanni verso questo tipo di reati.

Uno studio di Knight e collaboratori (1998)[26] condotto su un gruppo di 116 stupratori seriali analizzati dalla Behavioral Science Unit dell’Accademia dell’FBI e 254 stupratori dell’MTC ha mostrato che ci sono degli interessanti risultati predittivi nell’ambito dell’antisocialità adulta e nell’aggressione espressiva. Inoltre, il dominio del sadismo, dell’offesa pianificata e la relazione con la vittima hanno una elevata coerenza con la presenza di crimini ripetuti nel tempo, per cui tali variabili possono essere di fatto predittivi della continuità del crimine.

Uno studio di Kocsis, Cooksey e Irwin (2002) ha studiato la situazione australiana con la tecnica dello scaling multidimensionale in un campione di 62 violenze sessuali. Lo schema comportamentale della brutalità (violenza, sadismo) correla con determinate caratteristiche:

  • Età maggiore
  • Avere cicatrici
  • Avere una relazione coniugale
  • Non prende oggetti dalla scena del crimine
  • Tende a non confessare

Lo schema comportamentale impulsivo e violento correla con le seguenti caratteristiche:

  • Età inferiore
  • Minore probabilità di avere cicatrici o tatuaggi
  • Minore probabilità di avere un partner.

Uno studio di Santtila, Junkkila e Sandnabba (2005)[27] ha fatto un’analisi correlazionale su un campione di 43 stupratori seriali. In questo caso è stato studiato il tipo di coinvolgimento dello stupratore suddividendo il campione in stupratori espressivi e ingannevoli. Lo stupratore con coinvolgimento espressivo solitamente abita in un luogo vicino alla scena del crimine, per cui sarebbe utile far partire le investigazioni in zone vicine alla scena da un punto di vista geografico. Indicatori sociodemografici più frequenti del coinvolgimento ingannevole sono l’assenza di un lavoro e i problemi con l’alcol.

Uno dei dati importanti sul comportamento dei violentatori seriali è che solitamente essi hanno messo in atto almeno uno stupro in un raggio di un chilometro da casa propria, questo tipo di informazione può essere molto utile sul piano del profilo geografico. Inoltre, questo tipo di comportamento mette a repentaglio la vita dell’offender. La teoria di Bratingham e Bratingham (1984) che prevede una zona cuscinetto attorno alla casa di residenza (buffer zone, tale zona è lo spazio in cui gli offender tendono a non mettere in atto crimini per non essere scoperta) e nel caso degli stupratori seriali tale distanza media è pari a 2 km. Inoltre, i dati sono coerenti con la teoria del movimento centrifugo, per cui le offese tendono statisticamente a decrescere man mano che ci si allontana dalla casa di residenza dell’offender. Il comportamento dell’offender tende ad essere piuttosto suscettibile a variazioni in base ad alcune su caratteristiche demografiche, i comportamenti sulla scena del crimine, gli aspetti della sua vita criminale. Confrontando il comportamento geografico del violentatore, rispetto al violentatore seriale è stato osservato che le distanze medie percorse dal violentatore seriale sono maggiori rispetto al violentatore semplice che compie il crimine una volta. Uno degli studi più importanti è certamente quello condotto da Canter e Gregory (1994)[28] che hanno analizzato il comportamento di 45 offender britannici accusati di violenza sessuale.

Nel campione esaminato bisogna considerare che le differenze razziali possono di fatto essere correlate ad alcune differenze sociali, in quanto non è stato operato un bilanciamento nel campionamento in termini di razza e classe sociale, né è stato parzializzato l’effetto della variabile differenza sociale.

Vi è una differenza nella distanza percorsa da violentatori giovani o più anziani, che può essere un indicatore di maggiore impulsività versus pianificazione dell’offesa. I giovani, di fatto, percorrono distanze più brevi, sia per una maggiore impulsività, sia perché hanno mediamente meno accesso alle automobili. Dall’analisi dei dati sono emerse informazioni interessanti per quanto concerne la relazione tra comportamenti realizzati ed uso di oggetti per immobilizzare la vittima e la distanza percorsa dallo stupratore. Il comportamento ritualizzato e l’uso di strumenti per bloccare la vittima è statisticamente associato a maggiori distanze. La manifestazione di questo tipo di comportamento è spesso associato a specifiche fantasie sessuali ed è coerente con l’ipotesi per cui le lunghe distanze siano associate alla pianificazione ed organizzazione. Una persona compie lunghe distanze se lo stimolo è più ricercato e tipizzato, proprio come accade in alcuni crimini seriali, in cui è necessario che la vittima debba avere determinate caratteristiche o quando la violenza deve essere messa in atto secondo una ritualità specifica.

Inoltre, maggiori distanze percorse per portare a termine uno stupro è statisticamente associata ad una maggiore esperienza del criminale in altri tipi di crimini. È emersa una relazione significativa tra distanza ed esperienza passata in crimini come il furto con scasso. Questo tipo di informazioni sembra riflettere una motivazione criminale più generalizzata ed una maggiore esperienza nel perpetuare il crimini non sessuali.

 

[1] S.E. Behanan, T.G. Rejani, Family Dysfunction and Childhood Abuse and Trauma among Offenders, The international Journal of Indian Psychology, vol.2, n.4, pp. 2349-3429.

[2] J. W. Pennebaker, J. R. Susman, Disclosure of traumas and psychosomatic processes. Social Sciences and Medicine, 26, pp.327-332, 1988.

[3] K. Bartholomew, L. M. Horowitz, Attachment styles among young adults: a test of a four category model, Journal of Personality and Social Psychology, 61, 226-244, 1991.

[4] J.P. Buri, An instrument for the Measurement of Parental Authority Prototypes, Paper presented at the annual meeting of the Midwestern psychological association, 1989

[5] W.R. Beavers, The Beavers Systems Model of Family Assessment. In C.N. Ramsey (ed). Family Systems in Medicine. New York: Guilford Press, 1990

[6] C.S. Widom, H.R. White, Problem behaviours in abused and neglected children grown up: prevalence and co-occurrence of substance use, crime and violence. Criminal Behaviour and Mental Health, 7, pp.287-310.

[7] J. Currie, E. Tekin, Understanding the cycle: childhood maltreatment and future crime. Journal of Human Resources, 42, 509-549..

[8] Godwin

[9] K.D. McVay, Using attachment theory to understand intergenerational transmission of intimate partner violence and implication for use in treatment and policy reform, Master Thesis in Public Health 2012

[10] L.E. Cuadra, A.E. Jaffe, R. Thomas, D. DiLillo, Child maltreatment and adult criminal behavior: does criminal thinking explain the association? Child Abuse & Neglect, 38, pp. 1399-1408, 2014.

[11] N.K. Denzin, The Research Act, McGraw-Hill, New York (2nd ed.), 1978.

[12] D. Canter, R. Heritage, K.K. Johannessen, Offender Profiling, Second interim report to the Home Office, Review of pilot studies, University of Surrey, November 1989.

[13] J.R. Meloy, Violent and homicidal behavior in primitive mental states, Journal of the American Academy of Psychoanalysis, 16, pp. 381-394, 1988.

[14] W.K. Fleisher, Effective Interviewing and interrogation techniques, 3rd Edition. Academic Press.

[15] P. Ekman, W.V. Friesen, J. C. Hager, The Facial Action Coding System Manual. 2ed. A Human Face: Salt Lake City.

[16] N. Dael, M. Mortillaro, & K.R. Scherer, The Body Action and Posture coding system (BAP). Development and reliability. Journal of Nonverbal Behavior, 36, 97-121..

[17] D.M. Gresswell, C.R. Hollin, Multiple murder a review. British Journal of Criminology, 34, 1-14, 1994

[18] P.  Jenkins, Serial murder in England 1940-1985. Journal of Criminal Justice, 16, 1-5, 1988.

[19] E. Hickey, Serial Killers and their victims, 2nd Ed, Brooks/Cole, Pacific Grove, CA.

[20] R.M. Holmes e J. DeBurger Serial murder, Sage, Newbury Park, 1988.

[21] S.A. Egger, The killers among us: an examination of serial murder and its investigation. New Jersey: Prentice Hall. 1998.

[22] G.Q. Kraemer, W.D. Lord, K. Heilbrun. Comparing single and serial homicide offences, Behavioural Sciences and Law, 22, 325-43.

[23] J.A. Fox, J. Levin, Overkill: Mass Murder and Serial Killing Exposed, New York Plenum

[24] D.A. Davies, K. Wittbrood, J.L. Jackson. Predicting the criminal antecedents ofa stranger rapist from his offence behaiour. Science Justice, 27, 161-70.

[25] H. Hakkanen, P. Lindlof, P. Santtila. Crime scene actions and offender characteristics in a sample of Finnish stranger rapes. Journal of investigative psychology and offender profiling, 1(1), 17-32, 2004.

[26] R.A. Knight, J.I. Warren, R. Reboussin, B.J. Soley. Predicting rapist type from crime scene characteristics. Criminal Justice and Behavior, 25, 46-80.

[27] P. Santtila, J. Junkkila, N.K., Sandnabba, Behavioral linking of stranger rapes. Journal of Investigative Psychology and offender profiling, 2(2), pp. 87-103.

[28] D. Canter, A. Gregory, Identifying the residential location of serial rapists. Journal of the Forensic Science Society, 24, 169-75.

Scrivi a Igor Vitale