Psicologia Criminale: nella mente di Adolf Hitler

Articolo di Arianna Leone

Il nome di Adolf Hilter porta l’attenzione alle stragi e ad i campi di concentramento nazisti dove milioni di ebrei sono stati sottoposti a torture, terrore e la morte. Sono molte le teorie che hanno cercato di analizzare la personalità di Hitler ma anche i processi psicosociali coinvolti nell’avvenimento.

Ci sono state molte teorie che hanno cercato di comprendere il fenomeno, spesso centrando il tutto sulla figura di Hitler. Uno dei primi studi sulla personalità di Hitler è stato condotto da Carl Jung. A fine degli anni Trenta, infatti, il famoso psicologo ha incontrato ed osservato il comportamento di Adolf Hitler e di Benito Mussolini. Jung, comparando le due figure aveva distinto Mussolini come un uomo vero, genuino, mentre la figura di Hitler lo intimoriva fortemente. Durante l’interazione, infatti Hitler appariva di cattivo umore. Jung lo ha definito come asessuato e disumano, lo descrive come una persona con un solo obiettivo: istituire il potere del Terzo Reich per creare una nazione dai poteri forti che avrebbe affrontato tutte le minacce percepite da Hitler e tutti gli affronti che la Germania aveva ricevuto nella storia.

Adolf Hitler

Una seconda interpretazione di personalità deriva da Langer autrice che fornisce una valutazione di tipo psicoanalitico. Langer[1] aveva utilizzato solamente fonti disponibili fino al 1943. La diagnosi era quella di un complesso del messiah a limite tra nevrosi e psicosi, con tendenze masochistiche, una forte presenza di perversioni sessuali ed un alta probabilità di omosessualità. La Langer ha anche affermato che Hitler avesse diverse tendenze schizofreniche e che una delle più probabili fini di Hitler sarebbe stato il suicidio. Secondo questa autrice una delle motivazioni fondamentali nella vita di Hitler è stata sviluppata quando è stato ricoverato all’età di 29 anni nel 1918 all’ospedale di Pasewalk in Pomerania (Germania) quando durante la Prima Guerra Mondiale si era sul fronte russo.

L’ospedale di Pasewalk

 

Hitler e le truppe erano state attaccate con l’iprite. Per diversi teorici, il vissuto di Hitler in risposta a questo evento ha scatenato lo sviluppo dell’antisemitismo di Hitler ed è stato determinante per la formazione della sua psicopatologia. È interessante il riferimento di Langer che mostra che Hitler fosse stato esposto solamente a una bassa quantità di iprite, troppo bassa per causare la cecità e il mutismo di cui Hitler parla nel Mein Kampf. L’autrice infatti afferma con certezza che si trattasse di sintomi di natura isterica. In qualche misura Hitler stava esagerando i suoi sintomi. Hitler, nel contesto dell’ospedale ebbe una visione di ispirazione divina nella quale sarebbe stato scelto dalla Provvidenza per compiere una grande missione. Le interpretazioni in questo senso sono molteplici.

Per definire la psicopatologia di Hitler sono stati utilizzati molti termini come: esaurimento nervoso, nevrosi isterica, episodio allucinatorio, oppure, come afferma Hitler stesso una visione della provvidenza. Nel 1919 si ipotizzò una schizofrenia data la frequenza di allucinazioni ed illusioni.

Anche il noto psicologo Murray, autore del test proiettivo TAT, ha formulato in passato una valutazione psicologica di Hitler per l’Ufficio dei Servizi Strategici usando le stesse fonti di Langer. Murray scrisse uno studio piuttosto approfondito della personalità di Hitler. Tale studio aveva sia la funzione di portare avanti la scienza del comportamento a la psichiatria, ma soprattutto quello di scoraggiare altri comportamenti simili tramite la documentazione accurata dei problemi psicologici.

Secondo Murray il tipo di personalità di Hitler si era sviluppato in risposta a problemi e deficit sviluppati in età precoce, il suo comportamento era di fatto un tentativo di rivincita alle umiliazioni percepite, agli insulti e agli affronti al suo orgoglio e all’orgoglio immaginato della Germania. Secondo Murray, la gran parte della personalità di Hitler può essere definita normale ad eccezione di alcune sfaccettature molto accentuato. Secondo Murray, Hitler ha messo in atto tutti i classici sintomi della schizofrenia inclusa la ipersensibilità, la paranoia, gli attacchi di panico, la gelosia irrazionale, i deliri di persecuzione, l’onnipotenza, la megalomania e il messianismo. Inoltre, l’estremo livello di paranoia di Hitler era associato a dissociazione isterica (un pensiero dunque simile a quello della Langer).

Resta dunque da spiegare come abbia fatto Hitler a salire al potere, considerata la sua personalità, in fondo, ricca di diverse fragilità. Secondo Murray, la spiegazione si può dare in merito al fatto che queste caratteristiche, comunque presenti, si siano esacerbate notevolmente a seguito del novembre del 1942, periodo in cui Murray stesso formulò una previsione di suicidio. Inoltre, secondo Murray, Hitler aveva parecchi sintomi ma allo stesso tempo era in grado di controllarli notevolmente. Il grande supporto da parte della nazione inoltre permise ad Hitler di sostenere e portare avanti la sua ideologia.

Altra interpretazione è stata formulata da Fromm[2] che ha attribuito ad Hitler una caratteristica di necrofilia e di aggressività maligna. Secondo Fromm, Hitler era caratterizzato da una forma di personalità anale determinata da un aumento del narcisismo, da una dissociazione dagli altri e dalla distruttività. Fromm ha affermato che tali caratteristiche fossero sempre presenti in Hitler, ma che sono state esacerbate da alcune circostanze di vita, come la presenza della figura autoritaria del padre. Le caratteristiche di narcisismo sono state messe alla prova dagli insegnanti, dal padre e da una società molto restrittiva che lo aveva indotto a situazioni fallimentari ed umilianti più volte. Inoltre, secondo Fromm, Hitler soffriva del complesso di Edipo ed aveva trasferito tali sensazioni edipiche dalla madre alla nazione tedesca, al fine di spostare il proprio conflitto con la madre in un conflitto armato. Hitler invece rifiutava la figura del padre, che voleva inconsciamente uccidere.

Un’altra interpretazione deriva da Taylor[3], che considera Hitler come responsabile dell’Olocausto, ma che ha minimizzato le ipotesi a proposito della sua psicopatologia. Certamente anche Taylor pensò che Hitler fosse un fanatico, ma tendeva a vederlo semplicemente come un classico uomo di stato. Nella visione di Taylor, Hitler aveva obiettivi di stato “tradizionali”, ovvero, l’espansione del territorio e l’influenza politico-finanziari, almeno fino al 1939. Se si fa un’analisi dei discorsi di Hitler, è notevole quanto il tema principale sia il nazionalismo tedesco ed ancora di più il suo anti-semitismo: “Stiamo per distruggere gli ebrei”, “gli ebrei hanno ascoltato con risate le mie profezie sul fatto che avrei raggiunto la leadership di stato, e poi, tra le altre cose, avremo una soluzione per il problema degli ebrei”.

Dawidowicz (1998)[4] ha attributo ad Hitler la motivazione ad uccidere gli ebrei presso nel periodo dir ricovero a Paswalk. Altri autori come Heston ed Heston (1980) si focalizzano, invece, sui cambiamenti caratteriali di Hitler, specialmente nell’ultimo periodo in cui faceva uso di sostanze per via orale ed iniezioni di anfetamine.

C’è anche un gruppo di teorici dell’Olocausto che, per vari motivi, credono che il legame tra Hitler e l’Olocausto, sebbene Hitler sia colpevole, non possa essere spiegato. Secondo Trevor-Roper (1998) Hitler rimane un mistero. Bullock (1962) ha scritto: “più studio Hitler, più trovo difficile la sua comprensione”. Rosenfeld (1985) ha scritto: “non ci sono rappresentazioni di Adolf Hitler che sembrano spiegarlo in modo soddisfacente.

Mayer (1993) ha notato che nel caso di leadership negative, pericolose si creano tutta una serie di persone che giustificano i comportamenti del leader correlandoli ad obiettivi lodevoli. Mayer ha provato a costruire proprio una profilo di personalità del leader pericoloso su base psicologica. Creare questo profilo ha proprio l’obiettivo di identificare con base di consenso internazionali, quali siano le leadership che violano i diritti internazionali. Secondo Mayer definire o meglio diagnosticare i leader pericolosi può offrire molte possibilità di intervento come il contenimento internazionale e l’isolamento.

La proposta di Mayer[5] per il disturbo del leader pericoloso comprende tre grandi categorie di comportamento:

  • Indifferenza, manifestata dall’omicidio di rivali, di membri della propria famiglia, di cittadini e genocidi
  • Intolleranza, manifestata dalla censura della stampa, dall’uso degli agenti segreti in modo illecito, dalla tortura
  • Grandiosità, manifestata analizzando se stessi con la potenza militare, caratterizzata dalla sovrastima del potere militare, dall’identificazione con la propria religione e con il nazionalismo.

Mayer in questo senso ha investigato queste tre categorie comparando Hitler Stalin e Hussein con i loro leader avversari ovvero Churchill, Eisenhower e Bush. Tramite questa analisi ha riscontrato che Hitler, Stalin ed Hussein avevano tutti i criteri analizzati, mentre gli altri leader avevano solo un piano di propaganda.

Un approccio più recente e controverso nella comprensione di Hitler è portato avanti da Goldhagen (1996)[6], il quale non si è focalizzato sulla psicopatologia di Hitler, ma sui processi sociali e sulla particolare situazione della Germania nel periodo in cui Hitler è salito al potere.  Secondo Goldhagen, Hitler è stato un facilitatore dell’irresistibile forza antisemita che era già presente nella Germania. Per cui, secondo Goldhagen, non è tutto dovuto alla presenza di un istigatore carismatico. L’autore non è d’accordo con la teoria di Himmelfarb per cui “Se non ci fosse stato Hitler, non ci sarebbe stato l’Olocausto”: nella Germania c’era già il seme antisemita che è stato solo facilitato da Hitler, ma che sarebbe esploso comunque in altre forme.

Ci sono anche studi psicologici condotti su nazisti che hanno utilizzato il Rorschach come strumento di analisi della personalità e non hanno rivelato alcun tratto patologico (Zillmer, Harrower, Ritzler, & Archer, 1995)[7]. In uno studio su 21 nazisti, l’unico soggetto che variava parecchio dalla media era un soggetto con un QI molto più alto della media (supera il 95esimo percentile).

[1] W.C. Langer (1943/1972). The mind of Adolf Hitler. New York, NY: Basic Books.

[2] E. Fromm, The anatomy of human destructiveness. New York: Henry Hotl & Company, Inc.

[3] A.J.P. Taylor, (1961/1982). The origins of the Second Wolrd War. New York, NY:Macmillan

[4] L.S. Dawidowicz, Blaming Adolf Hitler, in R. Rosenbaum, Explaining Hitler (pp. 369-395). NewYork, NY: HarperPerennial.

[5] J.D. Mayer, The emotional madness of the dangerous leader. Journal of Psychohistory, 20, 331-348.

[6] D.J. Goldhagen, Hitler’s willing executioners: Ordinary Germans and the Holocaust, New York: Knopf.

[7] E.A. Zillmer, M. Harrower, B.A. Ritzler, R.P. Archer, The quest for the Nazi personality: A psychological investigation of Nazi war criminals. Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, Inc.

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