psicologia della menzogna

Te lo leggo in faccia: come scoprire i bugiardi secondo la psicologia

Articolo di Cecilia Marchese

La menzogna “visibile”

Studi, ricerche ed elaborati esperimenti scientifici svolti nel campo del comportamento ingannevole hanno consentito di studiare l’attivazione del nostro corpo durante l’elaborazione ed esplicitazione di condotte e messaggi menzogneri relativamente a due livelli:

  • uno “visibile”, cioè esteriore, rilevabile dalla misurazione dell’alterazione di alcuni parametri fisiologici ed epidermici attraverso l’utilizzo delle così dette tecniche poligrafiche. A questo livello appartengono anche gli studi sul comportamento non verbale e sulle microespressioni facciali, rintracciabili attraverso l’osservazione attenta del soggetto disposto alla decodifica.
  • l’altro che definiremo “invisibile”, poiché relativo all’attivazione neurologica di alcune aree cerebrali, attivazione non accertabile mediante osservazione superficiale ma esclusivamente attraverso l’utilizzo di una strumentazione ad hoc (tecniche di scannerizzazione del cervello) in grado di fornire immagini del funzionamento encefalico durante la messa in atto di un comportamento ingannevole.

Il volto parla: le espressioni facciali e la loro interpretazione

Tra le componenti espressive che contribuiscono alla comunicazione delle emozioni, in particolare le espressioni facciali sono considerate come specifici segnali comunicativi: il volto costituisce, infatti, un canale privilegiato di socializzazione in quanto possiede un elevato valore emotivo e consente di decifrare le intenzioni altrui (Balconi, 2006).

 

Queste microespressioni hanno origine dal conflitto tra l’espressione istintiva che si viene a creare in tempi rapidissimi sul volto di chi mente e la reazione razionale che tende a sopprimere quegli elementi dell’espressione facciale che potrebbero rivelare la menzogna.

 

Come rivela Morris , il toccarsi il naso ed altre azioni 6 analoghe sono il riflesso di una scissione forzata tra pensieri ed azioni; ciò che si nasconde dietro la fuga d’informazione non-verbale, dunque, non è semplicemente la menzogna ma un conflitto tra l’interiore e l’esteriore, una dissonanza tra pensiero ed azione che indica che il nostro interlocutore sta nascondendo qualcosa a noi e/o a se stesso
(citato in Mastronardi, 2012).

Nel suo contributo “Expression of emotion in man and animals” Darwin (1872) ha esplorato lo sviluppo delle espressioni facciali i
termini filogenetici, la loro valenza culturale, il grado di universalità ed i correlati biologici sottostanti la mimica. E’ a partire dagli studi darwiniani che è stata rilevata una rinascita di interesse intorno alla mimica emotiva.

Su questa scia Izard ha infatti affermato che l’espressione facciale di alcune emozioni sia di base innata. Anche nei bambini molto piccoli, infatti, è possibile riscontrare un’emergenza precoce di tali espressioni, nonché la stabilità morfologica di alcuni pattern facciali (citato in Balconi, 2006).

Molto verosimilmente possiamo affermare che il riconoscimento delle emozioni del viso è innato (ereditario) ed universale (transculturale). Specificatamente il lobo temporale e la corteccia prefrontale sarebbero coinvolti nella percezione, nella discriminazione e nel riconoscimento dell’espressione facciale.

E’ possibile 8 individuare specifici correlati cerebrali, corticali e sottocorticali, dell’elaborazione del volto? Alcuni studi PET (tomografia ad emissione di positroni) 9 hanno evidenziato la specificità corticale nella decodifica delle emozioni.

In tal senso è possibile ipotizzare la presenza di un meccanismo cognitivo dedicato e specifico per il volto. Grazie all’impiego della PET è emerso che un area particolarmente rilevante nell’elaborazione del volto è la corteccia orbitofrontale. Alcune ricerche hanno dimostrato come danni orbitofrontali siano associati alla compromissione della capacità di identificare la mimica emotiva; altri hanno sottolineato come questa sia attivata in risposta alla presentazione di volti emotivi rispetto a volti neutri (Balconi, 2006). Le emozioni spontanee sono controllate da circuiti neurali specifici, diversi da quelli che controllano i movimenti facciali volontari (la paresi facciale spontanea non impedisce i movimenti mimici volontari ma impedisce l’espressione di un’emozione improvvisa).

Da studi di lesione cerebrale e di neuroimmagine è emerso che la codifica delle espressioni facciali è basata sulle abilità dell’emisfero destro. (Carlson, 2003). Anche se attualmente non appare plausibile ipotizzare l’esistenza di una corrispondenza uno ad uno tra espressioni facciali e aree corticali, alcune dimensioni specifiche appaiono essere critiche nell’attivare alcuni meccanismi cerebrali. In sintesi è stato rilevato che le espressioni facciali delle emozioni non svolgono esclusivamente funzioni emotive ma al contrario possono essere ricondotte a funzioni differenti: un ampio dominio delle informazioni può essere comunicato attraverso il display mimico. Tra le altre le espressioni facciali ci consentono di comunicare e di stabilire relazioni con gli altri individui operanondo in congiunzione con il linguaggio così come con altri aspetti della comunicazione non verbale.

Corso Comunicazione Non Verbale

 

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