depressione post partum

Depressione Post Partum: durata, sintomi, cosa fare

La gravidanza viene definita come il periodo necessario allo sviluppo del feto nei mammiferi, dal concepimento al parto. Nella donna la durata della gravidanza risulta essere pari a 280 giorni. Lo stato di gravidanza nella donna genera una serie di cambiamenti psico-fisici che brevemente si possono riassume in: cambiamenti dell’aspetto fisico correlati all’aumento del peso, alterazioni dello stato di benessere ed aumento della soglia ansiogena a partire dal quarto mese. La vita sessuale e riproduttiva di una donna è costellata da termini quali menarca, menopausa, ciclo mestruale, ovulazione, gravidanza e parto.

depressione post partum

Tali eventi sono accompagnati da numerosi fluttuazioni ormonali che implicano marcate alterazioni a livello psichico e fisico; i quali possono sfociare in disfunzioni neuro-endocrine nonché patologie come la depressione post-partum.

La depressione post-partum è una condizione psicologica definita nelle prime quattro settimane dopo la nascita dell’infante. Le tempistiche di insorgenze della sindrome post-partum non sono del tutte delineate, in quanto in numerosi casi la depressione post-partum insorge un anno dopo la nascita del bambino.

Analogamente ad altre tipologie di depressione, la sindrome post-partum è caratterizzate da assenza di appetito, senso di colpa, disturbi sociali e distorsione della realtà. Le analogie sintomatologiche rendono difficile l’identificazione di tale patologia. In passato, numerosi fattori di rischio vennero studiati ponendo l’attenzione in particolar modo sui soggetti affetti da disturbi psicologici, caratterizzati da disagi economici, nonché soggetti tossico-dipendenti
(Josefsson A, Sydsjö G,2000). Numerose cause dell’insorgenza della sindrome post- partum furono riscontrate anche nel verificarsi di gravidanze non desiderate, nell’abbandono del partner o nell’insorgenza di complicazioni post-partum.

Nonostante il fenomeno della depressione post-partum fosse conosciuto e studiato fin dai primi decenni del 1900, solo negli ultimi decenni è stata focalizzata l’attenzione sulle cause biologiche e pertanto sui disturbi neuro-fisioendocrini che determinano l’attuarsi di tale scompenso; ponendo l’attenzione in particolar modo sulle possibili risoluzioni farmacologiche. Il seguente elaborato si focalizza sulle disfunzioni neuro-endocrine dei soggetti affetti dalla sindrome post-partum; sulla variazione delle concentrazione ormonali e in particolar modo sull’effetto dell’ossitocina. È stato interessante notare, infatti, che nelle donne nel periodo postpartum si verifica un importante incremento dei recettori dell’ossitocina; tale fenomeno si associa all’esordio del comportamento materno (Insel TR, Shapiro,
1992). L’importanza dell’ossitocina nel processo di attaccamento materno ha trovato maggiore rilevanza quando si è notato che iniezioni di tale ormone in prossimità delle cellule del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (PVN), produttrici esse stesse di questo neuropeptide, sono in grado di indurre l’intero complesso dei comportamenti materni. Le ricerche scientifiche attuali, inoltre, sono incentrate non solo sul delineare gli aspetti neuroendocrini che sottendono al comportamento materno e gli eventuali scompensi in donne affette da sindrome post-partum, ma soprattutto sui riscontri educativi dell’infante, auspicando alla ricerca nonché al perfezionamento delle terapie farmacologiche finalizzate alla risoluzione di tali disturbi. Gli studi attuati nell’ambito della moderna neurobiologia, in stretta collaborazione con l’endocrinologia, hanno sottolineato che la depressione post-partum insorge in particolar modo nel momento in cui manca il così detto attaccamento madre-figlio.

L’ontogenesi del sistema di attaccamento; secondo lo psicologo Bowlby, può essere suddivisa in tre fasi (Bowlby;1983):

  1. la prima fase (orientamento e pattern di riconoscimento), corrisponde al periodo che va dalla nascita ai primi sei mesi di vita. Alla nascita i bambini non sono in grado di distinguere le persone tra loro, ma reagiscono intensamente al contatto umano; verso la quarta settimana rispondono con un sorriso al volto umano, evocando, di riflesso, il sorriso negli altri; al terzo mese ha inizio la relazione di attaccamento;
  2. la seconda fase (attaccamento “set-goal”), va dai sei mesi ai tre anni, periodo in cui compare “l’ansia per l’estraneo” e in cui lo scopo programmato del bambino (set-goal appunto) è mantenersi sufficientemente vicino alla madre che diventa la base sicura per le esplorazioni, e manifestare proteste per la separazione o in caso di pericolo;
  3. la terza fase (formazione di una relazione reciproca) inizia con il terzo anno di vita e si caratterizza per un pattern relazionale più complesso in virtù dell’avvento del linguaggio, il bambino comincia a pensare ai genitori come a persone separate, con propri scopi e progetti e a escogitare modi per influenzarli.

L’insorgenza di un comportamento di attaccamento o di maggiore cura della prole e pertanto l’attuarsi delle fasi precedentemente descritte è dettata dalla presenza o meno di cambiamenti neuro-endocrini che si individuano in alcune specie. In particolare il comportamento materno dei mammiferi è estremamente variabile. In natura esistono specie con minimi comportamenti di accudimento come i topo-ragni e i conigli che trascorrono soltanto pochi minuti al giorno con la prole, di contro vi sono specie, compresi molti primati, che manifestano comportamenti di accudimento durante tutto il ciclo di vita (Numan M.1994). Tra questi due estremi troviamo numerose specie in cui il comportamento materno è ristretto al periodo del post-partum, con un inizio e una fine ben definiti. Esse offrono pertanto l’opportunità di studiare i meccanismi neuronali che ne sono alla base, nonché i corrispettivi netti cambiamenti del quadro ormonale che ne dettano tali azioni.

Articolo di Carmen Marino

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