I segreti di Ipnosi e Magnetismo Animale Spiegati

Il magnetismo, oltre a mettere in discussione i presupposti della medicina tradizionale materialistica, faceva dipendere la capacità di guarigione non solo dalla competenza e dalla conoscenza specialistica acquisita in un percorso di formazione ufficiale, ma dal carisma del magnetizzatore che minacciava di diventare un punto di riferimento più autorevole e apprezzato rispetto ai medici, sia presso il popolo che presso gli ambienti nobiliari e alto-borghesi parigini. Mesmer si era trasferito a Parigi nel 1778, dopo essere stato attaccato a Vienna dalla medicina ufficiale (Zweig, 1931).

A Parigi, il suo successo fu enorme e la sua fama era quella di guaritore miracoloso. Presto però, venne sottoposto a verifiche scientifiche, sotto la pressione delle lamentele della lobby dei medici alla corte del Re di Francia.

Le indagini furono svolte da una commissione di scienziati nominata da Luigi XVI nel 1784, che decretarono che non esisteva alcun magnetismo animale.

I commissari d’inchiesta attribuirono le guarigioni all’ascendente che Mesmer esercitava sui pazienti e alla fervida immaginazione di questi ultimi (Perussia, 2013).

Franklin, autorevole scienziato, presidente della Commissione, giudicò con parole dispregiative la relazione di dipendenza tra terapeuta e paziente, spiegando che le guarigioni erano dovute all’“immaginazione del malato immaginario”.

La teoria di Mesmer fu considerata non essere valida scientificamente.

I commissari, inoltre, misero in luce l’immoralità della relazione che poteva essere sfruttata dal medico per soddisfare i suoi istinti sessuali approfittando delle sue pazienti (Gulotta, 1980).

Il magnetismo mesmeriano era considerato quindi una forma di seduzione ritenuta pericolosa. Il metodo perse credibilità e ci fu chi lo trasformò presto in una forma d’esibizione teatrale (Zweig, 1931).

Indirettamente però, fin dall’inizio, le critiche rivolte al mesmerismo ne riconobbero il potenziale terapeutico. Se infatti i pazienti guarivano grazie all’abbandono quasi mistico all’autorità del medico, allora la relazione paziente-terapeuta poteva assurgere a fattore curativo.

In effetti, quando Mesmer interrompeva la relazione con i pazienti, spesso questi ripresentavano i sintomi.

I membri della regia commissione non negarono in assoluto che il mesmerismo avesse degli effetti terapeutici, ma li attribuirono all’immaginazione (Ellenberger, 1970).

Tutte le tecniche utilizzate da Mesmer altro non erano che mezzi attraverso i quali l’immaginazione dei soggetti, guidata dalla suggestione del magnetizzatore, faceva raggiungere al sistema nervoso uno stato tale da farli guarire.

Negli stessi anni, Armand-Marie-Jacques de Chastenet, marchese di Puységur (1784), un allievo di Mesmer, si dedicò all’approfondimento del magnetismo e continuò a praticarlo, giungendo casualmente alla scoperta del “sonnambulismo artificiale”, una condizione psicologica simile allo stato ipnotico in cui cadevano i pazienti curati col magnetismo.

Il marchese magnetizzò un grande olmo posto al centro della piazza del suo paese così, le persone che vi si sedevano attorno, venivano mesmerizzate cadendo in una “crisi perfetta” che non prevedeva alcuna convulsione, bensì uno stretto rapporto con il magnetizzatore e amnesia post-ipnotica (Ellenberger, 1970).

Come gran parte degli aristocratici dell’epoca il marchese possedeva un gabinetto di fisica, nel quale si dilettava con esperimenti di magnetizzazione. A differenza di Mesmer, era meno teatrale e usava molto la parola.

Durante una seduta di magnetismo, osservò un suo umile contadino entrare in uno stato di sonno apparente, senza che si presentassero le consuete crisi convulsive presenti nella mesmerizzazione. Il contadino era più attento e vigile che durante la veglia, la sua intelligenza era brillante, la sua mente straordinariamente lucida, sembrava possedesse improvvisamente un maggior numero d’informazioni, una maggiore conoscenza e, sebbene all’apparenza fosse profondamente addormentato, rispondeva prontamente alle domande e agli ordini di Puységur.

In questo stato, comparivano ipermnesie, il paziente ricordava eventi anche lontani nel tempo e che sembravano sepolti, e regressioni d’età, si ripresentavano emozioni infantili oppure abilità dimenticate.

Si erano riscontrati anche casi di glossolalia, che la chiesa aveva sempre tacciato di possessione demoniaca, retaggio invece di una conoscenza passiva che in stato di sonno apparente diveniva attiva. Tornando allo stato vigile, i pazienti non avevano consapevolezza di questi contenuti (Puységur, 1784).

Visti gli effetti benefici, Puységur continuò ad indurre questo stato che chiamò “sonnambulismo artificiale”, dato che per alcuni aspetti ricordava quello naturale.

Il magnetismo di Mesmer risultò, così, profondamente modificato, non si presentavano più le crisi convulsive, ma si giungeva comunque ad una remissione dei sintomi. Fondamentale sembrava fosse il contatto verbale tra magnetizzatore e magnetizzato. Il vero agente curativo per Puységur non risultava più il fluido magnetico, bensì il potere e l’intenzione dell’ipnotista, unito alla sua volontà e a quella del paziente nel voler guarire (Gulotta, 1980).

Il sonnambulismo, come il magnetismo, ricevette numerose critiche, in quanto secondo i medici accentuava lo stato morboso dei pazienti, cronicizzandolo, e poteva essere assunto come indicatore di una grave affezione del sistema nervoso assimilabile alla follia; inoltre, rispetto al mesmerismo, accentuava la dipendenza e il rischio di manipolazione da parte del terapeuta.

In effetti, Puységur stesso riconobbe una sorta di “dipendenza infantile” dei pazienti nei suoi confronti. Essa era dovuta alla regressione d’età a cui si assisteva durante il sonnambulismo indotto, che riproduceva la relazione madre-figlio. Tale dipendenza poteva però essere interrotta dal terapeuta durante le sedute ipnotiche, spingendo l’individuo a rivivere esperienze infantili connotate da una forte emotività (Loriedo, 2006a).

Puységur, ancora più di Mesmer, anticipò il transfert freudiano e il rapport ericksoniano.

L’Abate portoghese José Custódio de Faria (1746-1819), nacque a Goa in India, allora colonia del Portogallo e approdò a Parigi professandosi bramino indiano.

Egli rielaborò i principi di Mesmer e di Puységur, aprendo a Parigi nel 1813, una scuola di “sonno lucido”.

Il sacerdote portoghese, rifiutava qualsiasi teoria fluidista e usava suggestioni verbali invece di toccare il paziente, per farlo cadere in una sorta di sonnambulismo lucido.

La presenza del pubblico era parte integrante della sua performance, e anche se già il marchese di Puységur aveva magnetizzato alcune persone di fronte ad un pubblico di medici, l’ipnosi ora si era trasformata in una vera e propria forma di spettacolo, per cui si pagava un biglietto d’ingresso.

I pazienti venivano fatti sedere e bruscamente veniva ordinato loro di addormentarsi senza alcun rituale preparatorio. Essi subito cadevano in trance (Perussia, 2013).

L’Abate stesso in gioventù era stato suggestionato, il giorno in cui l’emozione l’aveva bloccato e reso incapace di tenere un sermone di fronte alla regina del Portogallo Maria I nella cappella del Palazzo Reale di Queluz. Incapace di parlare di fronte alla folla, Faria riuscì a proferir parola solo quando suo padre gli sussurrò all’orecchio in konkani: “Sono tutti ortaggi. Taglia questi ortaggi!” (Moniz, 1925).

Sbloccatosi istantaneamente, parlò con disinvoltura al suo pubblico e, soprattutto, comprese il potere di quello che sarebbe stato il fulcro del suo lavoro futuro: la suggestione verbale nell’ipnosi.

La sua fortuna in ambito teatrale s’interruppe una sera, quando un attore si finse sonnambulo e lo screditò davanti a tutto il suo pubblico, sottolineando la facilità della simulazione (Ellenberger, 1970).

L’Abate calunniato si ritirò dalla scena. Le sue riflessioni successive all’abbandono del palcoscenico, lo fecero arrivare alla conclusione che la riuscita dell’ipnosi, dipendesse unicamente dalla capacità di concentrazione del paziente sulle suggestioni che gli venivano proposte dal terapeuta, ossia dal suo grado di suggestionabilità (Weilbacher, 2015a).

Secondo Faria (1819) lo stato sonnambolico non era dovuto alla possibilità di controllo di un essere umano su un altro, come sosteneva Puységur, ma a caratteristiche presenti in alcuni soggetti.

Non tutte le persone risultavano ugualmente suggestionabili, soltanto alcune potevano beneficiare dello stato di trance, poiché maggiormente predisposte a recepire gli ordini che venivano impartiti loro (Loriedo, 2006a).

Faria introdusse a questo proposito, il concetto di “epopti naturali”, indicando una categoria di persone predisposte al “sonno lucido” (Ellenberger, 1970).

Nulla veniva dal magnetizzatore, se non l’aiuto che forniva al soggetto affinché esso si concentrasse sulle suggestioni proposte, tutto, invece, dipendeva dalla sua immaginazione. Non esisteva alcun fluido ma tutto avveniva nella mente di colui che per sua predisposizione cadeva in trance (Godino & Toscano, 2007).

A differenza di Faria, sostenitori del fluido magnetico furono gli inglesi, John Elliotson (1791-1868) e il suo allievo, James Esdaile (1808-1859), quest’ultimo utilizzava l’ipnosi come anestesia per eseguire sui suoi pazienti operazioni chirurgiche importanti, come l’amputazione di arti o la rimozione di tumori. La mesmerizzazione accelerava la guarigione e diminuiva le complicazioni post-operatorie. Esdaile, in India, a metà del XIX sec. operò 3155 persone, e portò la mortalità chirurgica dal 50% al 5% (Godino & Toscano, 2007).

I pazienti potevano essere operati senza sentire alcun dolore in un periodo in cui non veniva ancora utilizzato l’etere come anestetico (Brann, Owens, & Williamson, 2012).

Un altro importante esponente della storia dell’ipnosi fu James Braid (1795-1860), spesso considerato il padre dell’ipnosi, termine che deriva dal greco hypnos e significa “sonno”, abbreviazione dell’espressione neuro-ipnosi un neologismo coniato da Braid che significava “sonno nervoso”, cioè una condizione particolare del sistema nervoso che può essere indotta artificialmente (Braid, 1843).

Braid era un chirurgo oculista di Manchester. Egli venne a contatto col magnetismo assistendo ad uno spettacolo teatrale di Lafontaine, e sebbene fosse completamente scettico riguardo al mesmerismo in generale, fu colpito da un fenomeno che riconobbe come genuino essendo lui un chirurgo oculista: l’incapacità di riaprire gli occhi da parte del soggetto mesmerizzato.

Braid, quando tornò la notte seguente a rivedere lo spettacolo, fu certo di avere scoperto la causa di tale fenomeno, ma non ne fece parola con nessuno, poiché prima voleva accertarsi della veridicità della sua ipotesi.

Fu così che cominciò subito a condurre degli esperimenti nel tentativo di dare una valenza scientifica a ciò a cui aveva assistito e, in breve, poté affermare con certezza che era la fissazione degli occhi a produrre il fenomeno ipnotico, come egli stesso lo denominò,  demistificando il mesmerismo.

La fissità dello sguardo, paralizzando i centri nervosi centrali e periferici dell’occhio, rompeva l’equilibrio del sistema nervoso. Il soggetto non poteva più aprire gli occhi perché i muscoli elevatori delle palpebre erano fisicamente paralizzati, a causa proprio del protrarsi dello sguardo fisso (Braid, 2009).

Egli era convinto che il fenomeno ipnotico fosse determinato dalla fissità dell’attenzione su di un solo punto, ciò portava ad un sovraccarico a livello del sistema nervoso che finiva con lo stancarsi (Perussia, 2013).

Braid sottopose più persone ad uno stesso esperimento; faceva fissare loro un oggetto brillante, generalmente il suo orologio, tenendolo tra il pollice, l’indice e il medio della mano sinistra, ad un altezza di 20-40 centimetri rispetto alla loro fronte per far produrre il massimo sforzo possibile ai loro occhi e alle loro palpebre.

L’ipnosi avveniva più rapidamente e intensamente se gli occhi erano mantenuti verso l’alto in posizione di strabismo. Le pupille del paziente dapprima si contraevano e poi si dilatavano alternativamente.

Il terapeuta, dopo aver constatato la persistenza di questo fenomeno per un numero considerevole di volte, faceva passare l’indice e il medio della mano destra, separati e ben distesi, dall’orologio agli occhi del paziente, che si chiudevano con un movimento vibratorio. Dopo una decina di secondi appurava la rigidità degli arti del soggetto e, spostandoli con delicatezza, verificava se erano bloccati in una posizione.

Se ciò non avveniva, chiedeva al paziente di stendere gli arti. A questo movimento, infatti, sarebbe seguito il loro irrigidimento.  In concomitanza a ciò la frequenza cardiaca aumentava notevolmente. Per questo, per alcune patologie, lo stesso Braid controindicava l’ipnosi.

Il soggetto quindi cadeva dapprima in uno stato di esaltazione di tutti gli organi di senso (eccetto la vista), delle sensazioni di caldo e di freddo, e dei movimenti muscolari acquisendo una forza straordinaria.

Poco dopo, quest’esaltazione si tramutava in un profondo torpore, maggiore di quello che si ha nel sonno da cui però, il paziente si risvegliava molto facilmente poiché erano sufficienti a destarlo un soffio di vento o un brusco movimento del medico (Braid, 2009).

Braid fu il primo a parlare di monoideismo e, nel 1847, sostituì questo termine a quello d’ipnosi. Egli si rese conto infatti, che il fenomeno ipnotico, lungi dall’essere paragonabile al sonno e al potere dell’ipnotista sull’ipnotizzato, era invece legato alla fissazione della persona su una singola idea e alla sua sovra-eccitazione sensoriale e attentiva, quando era in stato di trance (Loriedo, 2006a).

Il tentativo di Braid di sostituire “ipnosi” con “monoideismo” non andò a buon fine, in quanto il termine ipnosi era ormai di uso comune e rimase per sempre nella storia.

Come aveva già sostenuto l’abate Faria, anche secondo Braid, tutto avveniva nella mente dell’ipnotizzato, senza l’intervento di alcuna forza esterna. Se i primi grandi magnetizzatori, quindi, pensavano al fenomeno ipnotico come dovuto ad un’azione interpsichica, Braid lo vedeva come dovuto unicamente ad un’azione intrapsichica.

Egli osservò che concentrando intensamente l’attenzione su un’idea, i movimenti respiratori rallentavano aumentando la concentrazione di anidride carbonica nel sangue: ciò portava all’inibizione neurale e spiegava il fenomeno ipnotico. Questa spiegazione non è mai stata completamente scartata, sebbene da sola non basti a spiegare ciò che accade a livello neurologico quando si induce uno stato di trance (Godino & Toscano, 2007).

Braid era convinto che l’ipnosi potesse essere una valida cura a molti problemi, dal mal di testa, alle palpitazioni cardiache, dall’epilessia, ai reumatismi, dalla paralisi, alle distorsioni; era invece controindicata per chi soffriva d’ipertensione o era stato soggetto a colpi apoplettici o ad aneurisma.

Braid ipnotizzò animali e bambini, e fu il primo ipnotista che fece aumentare le dimensioni del seno ad una donna (Braid, 1853).

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