psicologia aggressività

Aggressivi si nasce o si diventa?

Articolo di Erika Bruno

Il tema dell’aggressività richiama l’attenzione, innanzitutto, su concetti quali l’agonismo e la capacità di dominare sentimenti potenzialmente pericolosi, quali la rabbia e l’ostilità. I manuali di psicologia definiscono l’aggressività, con valenza negativa, come “una reazione che produce stimoli lesivi su un altro organismo, sul piano fisico (colpire, ferire), materiale (derubare), psicologico (minacciare, insultare…)”2.

Occorre, tuttavia, superare l’idea per cui l’aggressività debba essere intesa sempre in termini di prevaricazione dei diritti altrui, dato che il termine in sé sta ad indicare “un movimento in avanti, che non necessariamente implica l’intenzione di danneggiare qualcosa o qualcuno” 3 (Muratori, 2005). Il termine latino ‘ad-gredior’, che letteralmente vuol dire ‘andare verso’, nel suo significato originario rappresenta un movimento verso qualcosa o qualcuno: la sua funzione è, quindi, quella di muovere la persona verso una meta, un oggetto o un’altra persona. Uno dei primi studi sistematici sulle forme di aggressività è stato quello di Peter-Paul Heinemann, il quale ha studiato il fenomeno delle ‘aggressioni organizzate in bande’, o mobbing (termine utilizzato nei paesi scandinavi per indicare fenomeni violenti agiti da gruppi di pari, per età e status sociale): con riferimento ad un gruppo di individui che attacca e molesta un altro soggetto, diverso magari nell’aspetto, nel modo di parlare…” 4. L’utilizzo della giusta dose di forza, fisica o mentale, risulta indispensabile per un sano sviluppo: è ciò che facciamo fin da molto piccoli, perchè spinti dal desiderio imperante di esplorare l’ambiente. Occorre, però, considerare anche l’uso di un’aggressività negativa, perchè non finalizzata, bensì agita come atto contrario ai diritti della persona, al rispetto del patrimonio comune, dove le norme che regolano il comportamento sociale vengono violate. Si parla, in questi casi, di delinquenza, o antisocialità. La violenza può essere agita anche in termini meramente strumentali, come quando un individuo, anche molto giovane, si impegna in attività delinquenziali, volontariamente, per ricavarne dei vantaggi, in termini di beni materiali e di prestigio sociale. Questa modalità di agire l’aggressività, detta ‘proattiva’ presuppone il possesso di determinate abilità sociali. Caprara5, e collaboratori, hanno definito tale forma di aggressività ‘ostile’, in quanto agita per affermare la propria dominanza.

 

Il comportamento aggressivo è, da tempo, oggetto di studi multidisciplinari che hanno condotto a teorizzazioni o ipotesi interpretative differenti, oltre che spesso francamente discordanti tra loro.
In letteratura ricorrono, sostanzialmente, due concetti antitetici e alternativi:

  • l’aggressività come comportamento innato, istintivo o congenito;
  • e acquisito/appreso.

I fautori dell’una e dell’altra teoria si sono a lungo contrapposti sostenendo, nel determinismo del comportamento umano, la prevalenza dell’istinto o, all’opposto, dell’ambiente.
L’antinomia istinto/ambiente è stata, tendenzialmente, superata con l’introduzione dell’ipotesi ‘correlazionista’.
In questa prospettiva non è più possibile pensare il comportamento umano solo come istinto o solo in quanto appreso, bensì come il risultato dell’integrazione di fattori genetici e ambientali insieme.
Parallelamente allo sviluppo cognitivo e al processo di socializzazione, nella fase preadolescenziale si rafforza il concetto di ‘giudizio morale’, che è la capacità di assumere una posizione critica sui propri e altrui comportamenti. Emergono esigenze nuove e bisogni cognitivi urgenti, in termini di autonomia, di autostima ed autorealizzazione, dal cui soddisfacimento dipende la futura fiducia in se stessi, o al contrario, l’impossibilità di realizzarsi come individuo ben integrato.
Goleman ha teorizzato il concetto di ‘crescita emozionale’ con riferimento all’età dei soggetti in fase evolutiva, strettamente collegata alla maturazione biologica ed emotiva, che può prendere il sopravvento sulla parte razionale, influenzando il comportamento6.
La trasgressione preadolescenziale, come strumento di difesa e di regolazione degli scambi sociali, quindi, è mirata all’elaborazione di un’identità personale e alla regolazione del conflitto con i genitori rispetto alla questione delle norme.
Bergeret ha distinto tra ‘violenza fondamentale’ (innata), “attitudine fondamentale prettamente difensiva del Sé, e ‘violenza antisociale’ che, al contrario, si manifesta come forma delinquenziale di espressione di Sé, ed è agita per arrecare offesa o distruggere”7.
Il rischio è che il sistema normativo interno, ancora fragile, non trovi un’adeguata autorità contro cui trasgredire e lottare, sfociando in un deficit nel percorso di sviluppo psico-sociale, perchè il ragazzo non potrà esprimere efficacemente la propria forza interiore, sperimentando, al contrario, la frustrazione di un importante bisogno fisiologico.

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