famiglia violenza psicologia

Come l’educazione di famiglia può contrastare la violenza

Articolo di Erika Bruno

La famiglia è ambito privilegiato di sperimentazione della cosiddetta “prima socializzazione”. Essa esercita una evidente influenza nella formazione della personalità individuale, con una peculiare funzione intermediaria. Un’adeguata ‘funzione genitoriale’ porta allo sviluppo di una personale capacità interpretativa, rispetto all’ambiente esterno, oltre che di reazione ad esso, con esiti positivi ai fini del futuro inserimento sociale.

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Il comportamento ‘organizzato’ in devianza può, in età adulta, sfociare in vero e proprio disadattamento sociale, espressione di un’incapacità del soggetto di rispondere adeguatamente agli stimoli provenienti dall’ambiente.
Gravi problemi relazionali e personali, anche riferiti alla relazione d’attaccamento con la figura primaria e al clima familiare sperimentato, influenzano la condotta futura e, nei casi più gravi, portano ad un intimo conflitto col Sè. L’analisi dei fattori che incidono sul fenomeno della violenza in età evolutiva, e lo determinano, richiama una molteplicità causale di elementi che intervengono, rivelando la presenza di caratteristiche personali e ambientali nel definire il rischio psicosociale.

I correlati più significativi del fenomeno sono stati individuati nelle strategie di relazione familiare, oltre che nel temperamento dei minori coinvolti. Componenti stabili, come un maggiore ricorso all’aggressività in famiglia, oltre a determinate caratteristiche ambientali, possono portare al comportamento aggressivo in risposta a condizioni di sviluppo disagiate. Tali fattori sembrano interagire tra di loro fino ad influenzare i processi di autoregolazione e autodeterminazione che, normalmente, governano la personale capacità di modulare la condotta.
Riguardo la funzione genitoriale, appare fondamentale la modalità con cui vengono gestiti i ruoli, relata al clima familiare sperimentato – in termini di sostegno, calore, incoraggiamento e capacità normativa – fattori che determinano, in gran parte, la possibilità per il ragazzo di sviluppare adeguate abilità relazionali, che non prevedano l’uso privilegiato della violenza come modalità principale di espressione del sè.
Stabilire norme chiare e valori coerenti può essere difficile, ad esempio, qualora ci sia un cronico conflitto coniugale, manca un adeguato dialogo tra le figure di riferimento del nucleo familiare, con conseguente tendenza nel figlio ad avvertire personalmente il senso di colpa e l’insicurezza per la situazione.
Un rapporto genitori-figli sano consiste in un equilibrio tra affettività e norme, intesi come qualità della comunicazione interna e sistema di valori trasmesso.

Il sistema familiare va valutato, come sistema comunicativo-relazionale, in base a quattro aspetti fondamentali:

  1. dimensione affettiva (coesione);
  2. dimensione comunicativa (gestione dei conflitti);
  3. dimensione educativa (regole stabilite);
  4. dimensione organizzativa (adeguato controllo)

 

Smith, e collaboratori, considerano l’ambiente familiare fondamentale, rispetto al clima interno sperimentato, o coesione, e alla gestione del “potere” rispetto al figlio, comprese le conflittualità. La qualità della relazione di ‘attaccamento’ con la figura primaria di riferimento viene ritenuta fondamentale dagli esperti dello sviluppo: vuol dire aver sperimentato un primo legame affettivo ‘sicuro’, caratterizzato da una ‘sincronia’ tra le richieste di attenzione del bambino e la sollecitudine nella risposta materna.
Bowlby sottolinea il ruolo delle prime cure materne ai fini di un sano sviluppo: in questa prospettiva, l’eventuale indifferenza materna, in particolare durante la prima infanzia, rappresenta un fattore di rischio per la futura condotta del figlio9. L’insensibilità affettiva, il senso di abbandono e incuria portano con sè, infatti, vissuti di rabbia e sofferenza profondi. Allo stesso modo, anche vivere il legame con una madre nevrotica, o ansiosa, può condizionare il futuro adattamento.
L’inserimento, una volta adulti, nel circuito della delinquenza può essere l’esito di modelli genitoriali inadeguati, come l’eventuale coinvolgimento di un genitore in ambienti criminali, a causa dell’inevitabile processo di identificazione con le figure di riferimento (socializzazione primaria).
Secondo la letteratura presente sull’argomento, l’ambiente familiare sperimentato, se negativo, può favorire condotte violente, che possono essere agite per apprendimento o rivalsa. Nel primo caso, il ragazzo adotta una modalità di comportamento appresa in famiglia, con gli esempi (negativi) dei genitori; mentre, nel secondo caso, l’aggressività è agita dal ragazzo come tentativo di scaricare, in altri contesti, una violenza subita in famiglia.

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