hikikomoria italia psicologia

Hikikomori in Italia: sintomi, statistiche, epidemiologia

Nonostante sia stato considerato per diverso tempo un disturbo a carattere esclusivo del Giappone, come dimostrato da ricerche successive, il ritiro sociale è un comportamento che progressivamente ha subito una divulgazione singolare anche in Occidente. Sono stati registrati casi di isolamento dalla comunità da parte dei giovani anche nel resto del continente asiatico, come in Corea Del Sud e nella Repubblica di Cina, Taiwan. La diffusione ha avuto luogo anche in Australia e Stati Uniti; ricerche contemporanee mostrano come la propagazione del fenomeno non ha risparmiato i più importanti Paesi europei quali Francia, Regno Unito, Spagna ed Italia. A tal proposito, sono da segnalare recenti inchieste risalenti entrambi al 2014 in Italia ed in Spagna, ricercate attraverso il motore di ricerca scientifica Google Scholar.

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La prima ha coinvolto l’Unità Funzionale Salute Mentale di Arezzo incaricata da alcuni genitori che hanno segnalato la propensione dei figli, alunni membri di una scuola media del luogo, al non frequentare per un considerevole periodo l’istituto. Gli adolescenti su cui è stata impostata la ricerca erano caratterizzati da un complesso di sintomi similari a quello dei giovani hikikomori giapponesi. E’ stato somministrato un questionario a 109 docenti, costruito per stabilire se si fosse verificata l’assenza di alcuni studenti di almeno 40 giorni dalla scuola. I risultati illustrano che 27 studenti su un campione di 2694 pari all’1% della popolazione scolastica appartenente alla scuola secondaria di primo grado non hanno frequentato l’istituto per il lasso di tempo prestabilito, la maggioranza è composta da maschi di età compresa tra i 12 e i 16 anni, il percorso scolastico è regolarmente contrassegnato da non ammissioni alla classe successiva.

Gli studenti non manifestano secondo il punto di vista del corpo docente uno scarso livello di autovalutazione, insieme all’ambito relazionale tra coetanei che non risulta essere intaccato, dunque non può essere rilevato un rapporto causale tra la qualità dei rapporti sociali e l’inizio del ritiro sociale adolescenziale a differenza dei dati concernenti la motivazione all’apprendimento scolastico che risulta pari al 48,1%, quindi è plausibile una correlazione tra le due variabili. Un elemento inaspettato è stato quello in riferimento al ruolo del contesto famiglia che non risulta essere correlato con lo sviluppo di questo comportamento, diversamente dalla cultura giapponese in cui il nucleo familiare è restio a chiedere un sostegno terapeutico.

Il fenomeno esaminato in Italia, al contrario, rileva un cospicuo coinvolgimento familiare, che ne determina la protezione e la prevenzione nei confronti del ritiro. L’età media dell’esordio del disagio è di circa 14 anni.13 Un altro studio14 condotto nello stesso anno, oltre ad aver mostrato l’esistenza del fenomeno in Spagna, ha illustrato la presenza di un’elevata comorbilità con altre psicopatologie ed afferma pertanto che la condizione di hikikomori non sia riconducibile ad una nuova diagnosi, bensì rappresenterebbe una sindrome associata ad altre patologie psichiatriche aderenti all’area psicotica ed ansiogena. La condizione di hikikomori “puro” è una rarità in psicologia. E’ stata effettuata l’analisi su un campione costituito da 200 soggetti tenendo conto dei dati socio-demografici e clinici, gli strumenti utilizzati sono stati: la scala di gravità indicata con la sigla “SPI”, la valutazione globale del funzionamento “GAF”, la clinical global impression “CGI”.

Ancora una volta i risultati hanno confermato la tendenza all’isolamento sociale da parte di individui di sesso maschile, l’età media dell’esordio è circa a 40 anni ed il periodo medio socialmente ritirato è di 3 anni. Gli strumenti hanno descritto un’alta compromissione del funzionamento sociale ed una bassa sinergia dei partecipanti al trattamento terapeutico.

Lo studio compiuto propone un’argomentazione in contrasto con la definizione sopraccitata derivata dalla ricerca del Ministero della Salute e delle Politiche Sociali del Giappone che non considera l’hikikomori una sindrome costituendo quindi un inedito punto di vista per la questione diagnostica. Un’ulteriore conferma della crescita del fenomeno sociologico noto come hikikomori, proviene da una recente analisi svolta in Ucraina16 e pubblicata nell’Aprile di quest’anno, avente l’obiettivo di descrivere le peculiarità epidemiologiche e psicopatologiche di chi manifestasse il disagio. E’ stata posta a verifica empirica l’anamnesi dei soggetti coinvolti, che sono stati divisi in gruppo sperimentale e gruppo di controllo. Il primo ha visto il posizionamento di individui che soddisfacevano i criteri sintomatologici dell’hikikomori, il secondo ha incluso soggetti ritenuti sani in chiave psicologica. L’indagine è stata condotta attraverso l’utilizzo di diversi strumenti di ricerca tra cui il M.I.N.I 7.0 (Mini International Neuropsychiatric Interview), la TAS-20, scala di misura per la presenza ed il livello di alessitimia, intesa come incapacità individuale di fornire una descrizione semantica delle proprie emozioni; si è approfondito inoltre il percorso di vita dei soggetti tramite l’ausilio del LEQ, il questionario sull’esperienza di vita, insieme all’opinione dei partecipanti concernente la loro percezione verso la qualità della vita condotta attraverso la scala di Chaban, il CQLS; tra le variabili esplorate è stata inclusa anche la possibile inclinazione all’ostilità misurata con l’inventario di ostilità di Buss-Durkee, il BDHI.

Il quadro emerso designa che il 65,4% del gruppo hikikomori presenta una diagnosi psichiatrica aggiuntiva a differenza del 34,6% che, al contrario, non era in possesso di un’altra condizione psicopatologica. I disturbi più comuni rientrano nel secondo asse del DSM-5 e riguardano i disturbi di personalità, importanti anche il disturbo post traumatico da stress, il disturbo depressivo maggiore, sintomi appartenenti al disturbo ossessivo compulsivo ed in misura minore un’incidenza di bulimia nervosa. Diversi partecipanti hanno riferito di essere stati vittima di un trauma precoce durante l’infanzia, oltre ad avere un alto grado di irritabilità, risentimento, paranoia ed una bassa qualità della vita.

E’ stata mostrata una correlazione rilevante tra il deficit alessitimico ed il fenomeno di ritiro. L’esordio della predisposizione alla chiusura sociale avviene in adolescenza. Si osserva dalle ricerche consultate che, come specificato inizialmente, vi sia stata un’accentuazione del fenomeno anche in Occidente. Le ipotesi sono molteplici, da reiterati atti di bullismo compiuti dai coetanei nei confronti degli adolescenti che decidono di porre fine alle relazioni sociali, al rapporto tra l’adolescente e la famiglia di origine. Le inchieste effettuate mostrano che il più delle volte è presente un alto grado di comorbidità, costituito dalla compresenza di più disturbi. Non è ancora possibile individuare chiaramente i fattori causali della tendenza all’isolamento. Un ruolo essenziale è rivestito da un quadro depressivo che è emerso dai risultati, ciò non è sufficiente per dimostrare l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra depressione e lo sviluppo del disagio hikikomori. Vi sono stati dati inaspettati, quali la presenza di diagnosi di un DCA17, la bulimia nervosa e l’inizio del ritiro degli hikikomori spagnoli, in netto ritardo rispetto all’andamento generale degli altri Paesi. Il fenomeno risulta essere presente anche in Italia, dove si rilevano dati incoraggianti per quanto concerne il ruolo genitoriale, decisamente importante in campo di prevenzione della tendenza. La percezione delle famiglie verso il supporto terapeutico è più che positiva, a differenza di quanto avviene in Giappone. Nel prossimo capitolo si è tentato di illustrare la possibile genesi del fenomeno ed i diversi progetti psicoterapeutici atti a comprenderlo e contrastarlo.

Articolo di Valerio Bruno

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