solitudine hikikomori

Hikikomori in Italia: meccanismi di difesa e strategie di intervento

L’hikikomori vive costantemente una forte ambivalenza.

Il soggetto che sceglie l’isolamento è vittima di una sofferenza urbana elevata, egli si ritrova nella sua stanza che da rifugio diviene una prigione di carta dalla quale una parte del suo sé intende uscire e ritrovare un posto nel mondo, ma un’altra è enormemente attratta dalle quattro mura che proteggono la sua persona, in quanto lì non può essere sfiorato né giudicato, il pericolo di subire ferite narcisistiche che intacchino il falso sé ricostruito è ridotto ai limiti del possibile. L’individuo che ha scelto il ritiro è una persona che ha tentato di adeguarsi alla società, senza essere in grado di riuscire nel suo intento, poiché non si sente pronto a competere con i ritmi di una vita sempre più celere e “tecnoliquida”28, ossia imperniata dalla condivisione rapida del proprio percorso esistenziale che vede il Web come un continuo intermediario tra la realtà concreta ed il virtuale. Una competizione che, come specificato, è considerata persa da chi sceglie come risoluzione definitiva il ritiro, equiparabile ad un meccanismo di difesa dell’io, secondo una prospettiva psicoanalitica o un’errata strategia di coping, seguendo un modello cognitivo-comportamentale. Nell’hikikomori si può riscontrare anche un ricorso alla razionalizzazione e, sotto alcuni aspetti, alla proiezione. Il controllo dell’io del soggetto che possiede tale organizzazione psichica fa utilizzo massimamente di meccanismi di difesa primari, dunque arcaici e primitivi.

I suddetti meccanismi di protezione del sé sono stati studiati da diversi psicoanalisti, una recente esposizione è stata compiuta da Nancy McWilliams la quale ha delucidato le dinamiche subconscie che li costituiscono. Il ritiro primitivo è descritto come extrema ratio, utilizzata dal soggetto, per darsi alla fuga da un’angoscia che egli non è più in grado di gestire. Può aver luogo in vari modi tra cui trascorrere ore al computer ed ai videogiochi, immergersi nella lettura ma anche in forme più gravide di conseguenze come l’uso di droghe. Tra le cause del ritiro si possono evidenziare situazioni traumatiche e ponderose trascuratezze emotive. La razionalizzazione è un meccanismo difensivo a carattere secondario attuato principalmente nel momento in cui si forniscono giustificazioni per condotte che l’io dell’individuo ritiene inaccettabili, ad esempio un marito che percuote la propria coniuge poiché, dal suo punto di vista, ha commesso qualcosa di sbagliato. Una forma di razionalizzazione si ritrova nell’hikikomori, poiché discorsi quali:”E’ la società che non mi accetta, mi ritiro in quanto non sono compreso”, sono frequenti tra le motivazioni che li spingono all’isolamento, tali razionalizzazioni si congiungono ad un meccanismo proiettivo, perché in realtà è la persona che prende la decisione di isolarsi e non intende tollerare le convenzioni sociali, giudicandole fondate perlopiù sull’ipocrisia e sull’utilizzo di maschere di cera.

Il ritiro psichico è la principale difesa utilizzata dall’hikikomori. Un interessante approfondimento italiano è stato espresso da recenti ricerche pubblicate da De Masi che hanno descritto efficacemente il ritiro psichico, tra le difese più sottovalutate e quindi poco studiate in ambito accademico. Il ritiro psichico è una modalità di salvaguardia dell’io catalogata in psicoanalisi tra i meccanismi di difesa primari, che si strutturano durante la prima infanzia. I ritiri della psiche essendo collocati tra i meccanismi difensivi basici, qualora impiegati morbosamente, possono determinare effetti potenzialmente disadattivi nell’esistenza psichica e relazionale, il ritiro come concepito dall’autore, si propone come una contrapposizione ad una congetturazione fornita da Steiner31 a suo parere limitativa, in quanto quest ultimo concepisce il ritiro come una difesa dalle angosce schizoparanoidee e depressive, un’area di temporaneo indugio in cui il soggetto è libero di poterne entrare come di uscirne. Il ritiro invece è rappresentato da De Masi come una vera e propria fuga del bambino in una dimensione alternativa rispetto alla realtà esterna, costruito utilizzando canali sensoriali mettendo da parte quelli psichici. Nel corso dell’infanzia, il bambino creerebbe tramite i cartoni animati un mondo idealizzato in cui la fantasticheria domina la sua mente, vi è la fabbricazione di un mondo creato ex novo che comporta l’impoverimento delle relazioni, del confronto con i coetanei divenendo pertanto un fattore di rischio per un mancato sviluppo della capacità empatica e, in casi più drammatici, può comportare atti sprovveduti da parte della psiche ancora ingenua del fanciullo, come mostrato nel caso italiano di qualche anno addietro riportato in un articolo di Repubblica del 2000 che ha pubblicato la notizia di un bambino romano di 4 anni il quale si è gettato dal balcone per imitare un personaggio dei Pokémon. Con l’avanzamento in età adulta, il ritiro può aver sviluppo in diverse esiziali sfumature. Può sfociare in reiterate sessualizzazioni nelle parafilie, in personaggi di fantasia nel disturbo borderline di personalità (il cui nome nuovo è disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile) ed in ritiri distruttivi, nelle patologie che rientrano lungo un continuum narcistico, fino a sviluppare nei casi limite la schizofrenia o il disturbo schizoide di personalità, in cui l’individuo è del tutto concentrato in sé e si riscontra un vasto appiattimento emotivo. Spesso il bambino a scuola può apparire agli occhi dei docenti come presente, malgrado vi siano momenti in cui è del tutto assente e sia necessario richiamare la sua attenzione in modo deciso. Ma, nel suo privato, si ritrova in totale libertà per la coltivazione del ritiro che può far sviluppare nel soggetto visioni, allucinazioni uditive e perfino deliri.

Articolo di Valerio Bruno

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