Cosa l’inconscio della famiglia può dire di te

Identificare in senso transitivo, vuol dire mettere davanti a sé, in faccia, riconoscere come identico, mediante un procedimento di figurazione. Identificarsi vuol dire prendere in sé, ai livelli più diversi, dal mimetico/adesivo fino all’identificazione secondaria post-edipica, le qualità dell’altro (Freud, 1932). Il nostro senso d’identità è il risultato dell’identificazioni con aspetti diversi dei nostri oggetti. Ci scopriamo attraverso le immagini che percepiamo negli occhi e negli sguardi degli altri. Ci rapportiamo agli altri attraverso un processo di identificazione e disidentificazione. Il soggetto del gruppo non è il soggetto di un solo gruppo, coesistono in lui spazi psichici intersoggettivi, le cui formazioni e i cui processi gli vengono trasmessi per via psichica e li eredità: per appoggio, identificazione, incorporazione, con le esigenze proprie e le loro costrizioni alla rimozione, contraddittorie o convergenti (Kaes, 1993).

La natura del legame del bambino verso la madre, cui tradizionalmente ci si riferisce con il termine di dipendenza, è utile considerarla come la risultante di un preciso e in parte preprogrammato sistema di schemi comportamentali che nell’ambiente normale si sviluppa durante i primi mesi di vita ed ha l’effetto di mantenere il bambino in una più o meno stretta prossimità con la figura materna (Bowlby, 1969). L’identificazione è il primo tra i legami emotivi (Freud, 1921). L’identificazione primaria ha come scopo quello di stabilire un confine stabile tra Sé e rappresentazioni dell’oggetto. Nell’identificazione secondaria «il confine tra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto non va perduto, ma il soggetto incorpora nella propria rappresentazione di Sé attributi (reali o fantasmatici) dell’oggetto» (Sandler, Perlow, 1987, p.150).

I piccoli dell’uomo come i piccoli d’altre specie, sono programmati per svilupparsi in modo socialmente cooperativo e ciò dipende in grande misura dal modo in cui vengono trattati (Bowlby,1988). La caratteristica più importante dell’essere genitori è quella di fornire una base sicura al proprio figlio in modo che possa esplorare il mondo con la sicurezza di ricevere benvenuto e accoglienza al suo ritorno. «Nessun genitore può fornire al figlio che sta crescendo a meno che non abbia comprensione e rispetto per il comportamento d’attaccamento del proprio bambino e tratti questo comportamento come una parte della natura umana intrinsecamente degna di valore» (Bowlby, 1989, p. 24). Rutter (1979) osservò che esiste una forte correlazione tra esperienze sfavorevoli o infelici con la famiglia d’origine e il rischio di contrarre matrimoni infelici, o divorzi. Le esperienze infantili negative rendono l’individuo più vulnerabile con la conseguente reiterazione degli eventi traumatici. Una madre che, a causa di esperienze negative nella propria infanzia cresce sviluppando un’angoscia d’attaccamento tenderà con più probabilità a cercare di essere accudita e di ricevere cure dai suoi figli, inducendo sentimenti d’angoscia nel figlio e sensi di colpa (Rutter, 1979).

Winnicott (1969) parla di “elementi rifiutati”, non rappresentabili direttamente, non narrabili, ma comunque presenti nella mente di entrambi i genitori, fattori ego-alienanti ritiene causa dell’inibizione del formarsi dell’identità e di strutture deputate alla capacità di giudizio (Winnicott, 1969). «La trasmissione si organizza non soltanto a partire da ciò che manca, ma da ciò che non è avvenuto, da ciò che è assenza d’iscrizione, sulle modalità d’incriptamento, è in stasi senza essere iscritto» (Cochet, 1985, p.27).  Winnicot (1974) parla di “vissuto non vissuto, sempre da rivivere” come un timore di  qualcosa che è già avvenuto ma non rappresentabile ne dicibile.

Questi “elementi” sono spesso in contrasto con l’insieme del contesto familiare che viene tramandato al figlio (Winnicot, 1974). In queste famiglie il legame è caratterizzato da discontinuità a causa di fantasie transgenerazionali. Freud (1914) in merito ai legami narcisistici sostiene la possibilità che diventino una prigione per il bambino, tramutandosi in relazione d’oggetto, rivelando la loro arcana natura (Freud, 1914) .

L’Aulagnier (1975) sottolinea l’esistenza di un ombra parlata, proiettata dalla madre sul suo bambino, portandolo a rispondere a ciò che la madre desidera per lui consciamente o inconsciamente. Il contratto narcisistico stipulato sul nascituro, lo designa come parte omogenea che avrà il compito di riprendere e ripetere la traccia estinta, garantendo l’immutabilità del gruppo familiare. Tale investimento narcisistico familiare sul bambino precede l’investimento del piccolo sul gruppo familiare (Aulagnier, 1975). La relazione d’oggetto è caratterizzata dalla ricerca del piacere e da un paradosso, ossia l’approvazione dell’altro per l’autoaffermazione; per tale motivo è sia una relazione d’oggetto che narcisistica (Aulagnier,1975) .

Il passaggio di un sentimento di colpa legato ad una fantasia inconscia trasmessa per via generazionale diviene una catena d’identificazioni che vincola almeno tre generazioni (Kaes, 1986).

La Faimberg (1819) definisce il narcisismo come: «L’amore portato dall’Io a se stesso e agli oggetti, basato sulla sua illusione d’essere il centro e il padrone del mondo. Questo amore passa per l’Io, che si ama come oggetto, e questo amore, come questa illusione, è in rapporto con la costituzione dell’Io» (Faimberg, 1819, p.40). Spesso gli elementi che non appartengono al paziente sono parte del suo ambiente, della sua cultura, della sua storia familiare, divenendo un vero e proprio segreto familiare. Prevale in tali casi la discontinuità sulla continuità. Questo “buco nero” che rappresenta l’indicibile e sconosciuto che ogni uomo ha in sé è relazionato agli altri.

«L’eredità arcaica degli uomini non abbraccia solo disposizioni, ma anche contenuti, tracce mnestiche di ciò che fu vissuto da generazioni precedenti» (Freud, 1979, p.419-20). Il soggetto costruisce la sua identità attraverso l’identificazione inconscia con tali fantasmi familiari. Il senso d’appartenenza nasce dalle rappresentazioni degli altri significativi e i dei ruoli.

Le ragioni per cui l’eredità fantasmatica viene assunta da padri in figli riguarda la necessità della sopravvivenza di un legame d’amore o odio.

Forse si trattava anche di oscure potenze del sentimento, tanto più potenti quanto meno è possibile tradurle in parole (Freud, 1926).

Citando Lacan (1966) «non sono, là dove sono il trastullo del mio pensiero; penso a ciò che sono, là dove non penso di pensare» (Lacan, 1966, p. 512-513) . Lacan sostiene che la dimora dell’uomo sia nel suo inconscio, trovandosi in una situazione d’assoggettamento. L’inconscio è il parlante nell’uomo. Lacan detronizza l’Io
(Lacan, 1966). Boszormenyi- Nagy (1988) ritiene che le relazioni siano un modello molto più significativo dei modelli transgenerazionali della comunicazione, perchè attraverso esse ereditiamo la vita degli antenati e a nostra volta la tramandiamo. Questo psicoterapeuta si focalizza sul concetto di lealtà familiare inteso sia da un livello sistemico che individuale. Il livello sistemico e quello individuale sono interconnessi in quanto vi è una stretta relazione tra lealtà e unità che lega i membri del gruppo famiglia, e le motivazioni interne di ogni singolo individuo facentene parte (Boszormenyi- Nagy, 1988). «Il più importante “debito” della “lealtà familiare” è quello che ciascun bambino contrae nei confronti dei suoi genitori, per l’amore, l’affetto, le cure, la fatica e le attenzioni che egli riceve dalla nascita fino al momento in cui diviene adulto. Il modo che abbiamo per saldare i nostri debiti è transgenerazionale, ossia ciò che abbiamo ricevuto dai nostri genitori lo rendiamo ai nostri figli» (Boszormenyi-Nagy, 1988, p.31). Boszormenyi-Nagy (1988) definisce genitorializzazione quella situazione in cui vi è un rovesciamento dei valori che vede i figli come genitori dei propri genitori (Boszormenyi- Nagy, 1988). Questa distorsione disfunzionale delle relazioni, provoca uno squilibrio relazionale significativo. L’inconscio è diviso tra due esigenze, quella di essere fine a se stesso e quella di essere una parte del suo insieme, la famiglia, gli antenati. I cargivers spesso attribuiscono al bambino caratteristiche di perfezione. Il bambino reale si scontra con il bambino ideale del narcisismo genitoriale che vuole soddisfatta ogni aspettativa dettata dal principio di piacere a scapito del principio di realtà. Vige la speranza che la vita sia migliore di quella dei genitori e che attraverso questa stessa possa riparare ai loro sogni e desideri infranti.  Nel punto più vulnerabile del sistema narcisistico l’immortalità dell’Io ottiene sicurezza rifugiandosi nel bambino (Freud, 1914).

La Schutzenberger (2004) sostiene che in alcune culture la famiglia è un atomo sociale, è come un nido, una matrice attorno cui si delinea l’identità del soggetto. Il mito familiare diviene manifesto attraverso i pattern di funzionamento, che possono essere sani o malsani e prevedono dei riti, pensiamo agli assassini e vendette in nome dell’onore familiare. Questi modelli d’organizzazione formano una Gestalt che avvolge tutto il nucleo familiare (Schutzenberger, 2004).  La Faimberg (1993) rileggendo il mito d’Edipo affronta i temi della genealogia e del segreto familiare.

 

“Edipo:  Infatti, dimmi, se mio padre un giorno

apprese da un oracolo che i figli

suoi lo avrebbero ucciso, ti par giusto

di attribuire l’omicidio a me,

non generato ancora da mio padre,

ne’ concepito da mia madre, a me

inesistente?”

Sofocle, Edipo a Colono (Sofocle, 406, p. 88)

 

Nella prospettiva Freudiana Laio uccide per autodifesa. Laio è quindi il figlicida di un parricida (Freud, 1993). Faimberg (1993) rifiuta l’idea della proiezione considerata come l’unica causa. Il rischio sarebbe quello di considerare Laio come una imago, una proiezione, e soltanto della proiezione dell’aggressività di Edipo nel contesto della rivalità Edipica (Faimberg, 1993). La Faimberg valuta il mito secondo una prospettiva transgenerazionale sottolineando l’importanza non solo dei desideri inconsci e dell’aspetto puramente pulsionale d’Edipo ma anche  del modo in cui le relazioni di questa famiglia e della loro generazione  siano state  riconosciute e disconosciute (Faimberg, 1993). Il fallimento nei nodi generazionali ha portato a conclusioni tragiche a causa della negazione di fondo. Non riconoscendo l’alterità del figlio Edipo, si compie un salto generazionale causato dalle aspettative narcisistiche deluse e negate dei genitori. Vengono in tal modo negate non solo le differenze generazionali ma si radica un malato meccanismo che rifiutando la diversità d’Edipo non permette la creazione di uno spazio mentale in cui possa dispiegarsi il pensiero. La premonizione dell’oracolo di Delfi irrompe come un qualcosa che spezza la perversione narcisistica di Laio riportandolo al reale.”Così vuole Zeus, figlio di Crono”: il tempo (Crono) avrà il suo corso, i figli succederanno ai genitori. L’identificazione narcisistica del genitore nel figlio non potrà sussistere, se non tragicamente, attraverso la soppressione dell’identità del figlio.  In Laio e Giocasta non vi è spazio per la genitorialità. Edipo è un figlio non amato e non voluto ancora prima della sua nascita (Faimberg, 1993). Laio non ebbe alcun riferimento paterno al contrario d’Edipo che venne salvato da Polibo e Merope. Edipo porta nel corpo una ferita originaria ma il diniego prevale, infatti quest’ultimo non si porrà mai domande della relazione tra le cicatrici che porta e la violenza celata dietro le stesse; non si domanderà mai quali segreti cela il suo nome. Polibo e Merope negarono ad Edipo la conoscenza delle sue origini. Perché il bambino venga riconosciuto nella sua individualità, come individuo separato e non fuso nella coppia genitoriale è necessario un processo d’elaborazione del proprio narcisismo.
Nei genitori è presente una parte scissa dell’Io secondo tale logica tutto ciò che proviene dal genitore è meritevole d’amore, tutto ciò che non corrisponde all’ideale costruito merita odio; tutto ciò che il genitore non accetta in sé viene proiettato nel bambino che diviene il non Io genitoriale. Il bambino proprio come Edipo non viene accettato per la sua alterità e questo determina in lui una scissione dell’Io ed un sentimento d’estraneità e alienazione. I genitori stessi non sono gli unici protagonisti di questa relazione che gli deriva dai loro antenati, per tale motivo la Faimberg afferma che il telescopagè riguarda la condensazione di tre generazioni di un identificazione inconscia che si palesa – nella cura psicoanalitica durante e nel quadro rigoroso della seduta rivelandosi nel transfert (Faimberg, 1993). L’autrice ritiene che il transfert delle identificazioni sia il punto di partenza per la storicizzazione e per una seguente disidentificazione, intesa come unica condizione per la liberazione del desiderio e la costituzione del futuro. Le fantasie transgenerazionali si realizzano attraverso la comunicazione intesa come trasmissione psichica dell’esperienze, affetti, idee, cultura che si trasmettono da inconscio a inconscio per generazioni, implicitamente, veicolate dall’agire. Attraverso le fantasie transgenerazionali vengono alimentati i legami parentali che fungono da fondamenta per lo strutturarsi dell’identità attraverso l’imitazione e l’identificazione. La famiglia è la cultura familiare è per il bambino come un ancora che gli garantisce stabilità, favorendo il suo sviluppo; o nel caso in cui il gruppo familiare sia caratterizzato da dinamiche disfunzionali e da discontinuità il futuro adulto avrà una storia frammentata e caratterizzata da fattori egoalienanti.

Come già detto le identificazioni non sono ne udibili ne dicibili e si manifestano in un dato momento del transfert all’interno della seduta e divengono udibili attraverso la storia segreta del paziente. La storia delle identificazioni non appartiene al paziente e per divenire udibili dev ’essere compresa.

«Si può sperare che il passaggio attraverso l’analisi, l’esperienza durante la cura di quegli istanti privilegiati in cui il paziente e l’analista si trovano sulla stessa lunghezza d’onda, pensano la stessa cosa nello stesso momento e che vengono riconosciuti come grandi momenti di felicità analitica e di fecondità psichica, permettano al soggetto di trovare le proprie parole grazie alle quali potrà scrivere la propria versione di una storia che gli era vietato di conoscere e di memorizzare» (Enriquez, 1993, p.9).

Articolo di Mariaconcetta Liali

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