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La relazione tra cibo, sesso e aggressività in psicologia

Le neuroscienze studiano le emozioni fondamentali quali l’aggressività, le passioni e la depressione con gli strumenti della biochimica, della fisiologia e dell’anatomia. Anche le emozioni,però,  come ogni altra attività del cervello, utilizzano particolari sostanze chimiche, dette “neurotrasmettitori” (Archer, 1987).

Nel particolare, il comportamento aggressivo ha da sempre interessato gli studiosi impegnati nelle aree più disparate che spaziano dalla criminologia alla sociologia, dalla filosofia alla storia, dalla psicologia alla neurofisiologia, dalla genetica alla neurobiologia.

Il comportamento aggressivo è assai frequente nel regno animale e di solito si conclude con l’ottenimento, da parte del vincitore, dell’accesso a una risorsa disponibile in quantità limitata. Esso prevede in molti casi uno scambio iniziale di segnali di esibizione da una certa distanza e prosegue, in un crescendo di intensità, prima con approcci fisici diretti, poi con il combattimento vero e proprio. I conflitti possono risolversi anche senza concludere l’intera sequenza, ma le ferite gravi, a volte mortali, non sono affatto rare (Archer, 1987).

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La propensione all’aggressività varia notevolmente tra gli individui di una determinata specie e molti studi cercano di spiegare questa variabilità. Generalmente l’espressione dell’aggressività negli animali dipende da fattori ormonali, neuronali, genetici e di ecologia comportamentale (Becker,1992).

In molte ricerche si è visto che, nelle specie in cui i maschi competono direttamente per l’accesso alle femmine durante il periodo riproduttivo, l’ormone testosterone (un androgeno, prodotto tipicamente dai maschi dei Vertebrati) stimola il comportamento aggressivo, sebbene tale effetto sia meno pronunciato laddove l’organizzazione sociale della specie considerata è più complessa (Becker,1992).

Anche il controllo neuronale del comportamento aggressivo nei Vertebrati è molto complesso, perché basato su un sistema di strutture cerebrali che lavorano interagendo tra loro e che presentano in molti casi un’alta densità di recettori per gli androgeni e gli estrogeni (Couppis et al.,2008).

Come dicevamo precedentemente però, molti studi hanno dimostrato che anche il comportamento aggressivo è influenzato da alcuni neurotrasmettitori, come ad esempio la serotonina.

La serotonina, neurotrasmettitore contenuto in numerosi neuroni presenti in alcuni nuclei del tronco dell’encefalo, inibisce diversi comportamenti, inclusi comportamento alimentare e aggressività (Soubrie, 1986).

La neurotrasmissione serotoninergica modula l’impulsività e la diminuzione dell’attività serotoninergica disinibisce il comportamento: ne risultano aumeno di aggressività e disinibizione degli atti aggressivi diretti contro gli altri o contro sé stessi (Glicksohn, 2002).

Se la serotonina ha azione inibitoria sul comportamento aggressivo, altri neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale avranno una funzione eccitatoria. Tra questi ricordiamo dopamina, noradrenalina e adrenalina (Glicksohn, 2002).

In particolare, la dopamina è contenuta in elevate quantità soprattutto nei neuroni presenti in regioni del mesencefalo:

  • substantia nigra;
  • area ventrale tegmentale (Carlson, 2002).

Numerosi risultati sperimentali indicano che il comportamento aggressivo è regolato da determinate regioni encefaliche, che includono principalmente:

  • l’ipotalamo;
  • il lobo temporale mediale (comprendente il complesso amigdaloideo);
  • la corteccia frontale orbitale (Bear et al., 2006).

Se consideriamo che alimentazione, aggressività e sessualità hanno origine da una stessa area cerebrale, non appare strano il fatto che molte alterazioni emotive che subiamo si ripercuotono sull’alimentazione. In periodi di forte stress o tristezza, infatti, non mangiamo oppure mangiamo troppo (Camerani, 2010).

L’umore e il cibo sono connessi. Basti considerare il cattivo umore quando siamo a dieta stretta o al senso di benessere che accompagna l’annusare e assaggiare un dolce al cioccolato appena sfornato. (Bear et al., 2016).

Come precedentemente introdotto, un sistema cerebrale implicato nel controllo dell’umore utilizza la serotonina come neurotrasmettitore. Essa costituisce uno dei legami tra cibo e umore. Le sue misurazioni nell’ipotalamo rivelano che i suoi livelli sono bassi durante il periodo di postassorbimento, crescono quando si anticipa l’arrivo del cibo e raggiungono il culmine durante il pasto, specialmente in risposta ai carboidrati. La serotonina, infatti, deriva dall’aminoacido triptofano introdotto con la dieta e i livelli di triptofano nel sangue variano con la quantità di carboidrati assunti con la dieta (Bear et al., 2016).

Alcune teorie psicologiche, poi, interpretano il rapporto eccessivo con il cibo, costituito da abbuffate e impulsi irrefrenabili a mangiare, come l’espressione inconscia di un bisogno di apertura verso il sesso (Camerani, 2010).

Secondo la morale cattolica, golosità e lussuria sono peccati “fratelli” , ma la fame è considerata un desiderio socialmente più accettabile rispetto all’impulso sessuale. È questo il motivo per cui sovente si trasferiscono le pulsioni sessuali sul cibo, trasformandolo in un “sostituto meno imbarazzante” (Camerani, 2010).

Una ricerca condotta alla Vanderbilt University di Nashville e pubblicata sulla rivista Psychopharmacology ha dimostrato che sfogare l’aggressività è un piacere paragonabile a quello del buon cibo, del sesso o delle droghe. Tutte queste attività si traducono nel cervello in stimoli neurochimici che passano per lo stesso circuito (Couppis et al., 2008).

I ricercatori del Tennessee hanno dimostrato che, esattamente come per gli altri piaceri, anche l’aggressività e la violenza possono provocare dipendenza (Couppis et al., 2008).

L’aggressività è una delle reazioni che l’evoluzione ha sviluppato anche nell’uomo per favorire la conservazione della specie. L’aggressività, infatti, può essere scatenata da fattori ormonali, ambientali e anche da una componente genetica. È già stato dimostrato che i soggetti affetti da alcune anomalie del cromosoma X hanno un profilo di aggressività maggiore perché queste causano uno squilibrio nella sintesi di serotonina e dopamina, due neurotrasmettitori essenziali per la regolazione dell’umore. In soggetti normali ciò che accade è che la produzione dei neurotrasmettitori è bilanciata, grazie anche alla capacità codificata da parte del cervello di vivere in società, di saper mediare gli stimoli esterni (Couppis et al., 2008).

Sebbene abbia dell’incredibile, dunque, la violenza e l’aggressività umana sono strettamente relazionati con l’alimentazione. In particolare, l’assenza dei grassi essenziali come l’Omega–3 può essere causa di depressione, stress, aggressività, suicidio e violenza. Gli Omega–3 sono grassi essenziali che, fra le tante funzioni, permettono l’ adeguata connessione nervosa (Freeman et al., 2006).

Per questo una carenza può provocare problemi con i neurotrasmettitori cerebrali, provocando questo tipo di problemi, che sono però reversibili una volta il corpo riceve di nuovo l’apporto di Omega–3 necessario per il buon funzionamento della trasmissione nervosa (Freeman et al., 2006).

Scienziati quali il Dott. Joseph Hibbeln, del “National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism” della città di Bethesda negli Stati Uniti, e il Dott. Bernard Gesh, filosofo dell’Università di Oxford in Inghilterra hanno condotto studi usando la popolazione carceraria ed alcolisti sia in Inghilterra che negli USA (Freeman et al., 2006).

Gli esperti in materia, affermano che la mancanza di EPA e di Omega–3 durante la gestazione e nei primi anni di vita possono provocare una riduzione nei livelli di serotonina del cervello nei momenti più importanti della formazione e dello sviluppo neurologico, causando un funzionamento inadeguato del sistema libico e del cortex frontale del cervello (Freeman et al., 2006).

Un progresso in questo campo fu realizzato nel 2002, dove in uno studio si sono divisi in due gruppi i 231 partecipanti, fra i 18 e i 21 anni. L’obiettivo di questo studio era dimostrare la relazione diretta fra la nutrizione e il comportamento aggressivo. Un gruppo ha ricevuto vitamine e supplementi mentre l’altro gruppo un placebo. Nè la polizia nè nessuno del personale dentro il carcere sapeva chi riceveva il placebo e chi i supplementi. Le dosi di vitamine, minerali e Omega-3 non erano però quelle “mega dosi” che di solito si utilizzano in questi studi scientifici: sono state dose minori, ma i risultati sono stati sorprendenti. Durante i 4 mesi nei quali è durato lo studio, la polizia ha evidenziato il miglioramento dell’ obbedienza e la riduzione dell’istinto violento di alcuni carcerati, che poi erano quelli che prendevano le vitamine. Alla fine dello studio, i carcerati che avevano preso le vitamine avevano realizzato, nel 26% di meno, atti di disobbedienza e nel 37% di meno gli atti di aggressività, in paragone con quelli che invece avevano preso il placebo (Freeman et al., 2006).

In altre ricerche, in scuole primarie o licei, si è infatti evidenziato che i ragazzi con diete ricche di zuccheri e cibi da fast food erano i più disobbedienti, aggressivi e depressi. Tutti questi studi dimostrano che l’ alimentazione è direttamente relazionata con le condizioni di aggressività, violenza e depressione (Freeman et al., 2006).

L’umanizzazione è passata principalmente attraverso la tavola, dalla nutrizione alla gastronomia (intesa nel senso letterale di «legge del mangiare»), dalla scoperta della coltivazione all’adozione del piatto, all’uso della tavola come luogo di incontro e di festa (Bianchi, 2010).

L’uomo ha cessato di essere un divoratore, un consumatore, frapponendo fra sé e il cibo riti di macellazione, tecniche di cottura, maestria di miscelazioni, arte della presentazione dei piatti, del cibo e del vino: insomma, l’uomo ha abbandonato l’atteggiamento dell’animale cacciatore che mangia la sua preda per assumere quello di chi crea un rapporto con il cibo (Bianchi, 2010).

L’uomo è un essere che ha fame e il mondo intero è il suo cibo, l’uomo deve mangiare per vivere, deve assumere il mondo e trasformarlo nella propria carne e nel proprio sangue. L’uomo è quel che mangia e il mondo è la sua tavola universale, ma in questa operazione c’è lotta contro ciò che è animalesco e c’è tragitto di cultura, di comunicazione, in vista di una comunione non solo tra gli esseri umani, ma tra l’umanità e il mondo (Bianchi, 2010).

Si, la cucina è il luogo che pone un salutare «frattempo» tra i prodotti e il loro consumo, ma ha soprattutto il pregio di riunire ciò che dalla natura giunge a noi separato e di trasformarlo in modo che la natura sia intersecata dalla cultura (Bianchi, 2010).

La cucina è la palestra d’esercizio di tutti i sensi, perché è soprattutto in essa che si impara fin da bambini a distinguere il buono dal cattivo, il duro dal tenero, il dolce dall’ amaro: la prima esperienza che noi abbiamo fatto del buono e del cattivo è passata attraverso il cibo, cosi che per tutta la vita usiamo queste due categorie per definire persone o eventi; perfino nel campo della morale il parametro con cui determinare ciò che è bene e ciò che è male si rifà alla distinzione primordiale tra buono e cattivo (Bianchi, 2010).

La «semantica» fondamentale l’abbiamo imparata con la bocca: ciò che è commestibile e ciò che non lo è, ciò che possiamo mettere dentro, mangiare, assimilare e ciò che assolutamente deve restare fuori. Né posso dimenticare i comandamenti che venivano insegnati a noi piccoli e che dovevamo imparare a memoria come un decalogo laico, umano, che ci avrebbe assicurato salute e gioia: «Mangiare solo se si ha fame; mangiare quel che piace e che non fa male; mangiare con calma, non come le oche; alzarsi da tavola con un po’ di fame; a tavola cercare di stare allegri»… Sapienza straordinaria, che però confesso di non aver assimilato interamente e che quindi mi suscita un certo senso di colpa nel rievocarla (Bianchi, 2010).

Davvero la cucina e la tavola sono l’epifania dei rapporti e della comunione. Del resto, il cibo è come la sessualità: o è parlato oppure è aggressività, consumismo; o è contemplato e ordinato oppure è animalesco; o è esercizio in cui si tiene conto degli altri oppure è cosificato e svilito; o è trasfigurato in modo estatico oppure è condannato alla monotonia e alla banalità. Il cibo cucinato e condiviso – il pasto – è allora luogo di comunione, di incontro e di amicizia: se infatti mangiare significa conservare e incrementare la vita, preparare da mangiare per un altro significa testimoniargli il nostro desiderio che egli viva e condividere la mensa testimonia la volontà di unire la propria vita a quella del commensale (Bianchi, 2010).

Articolo di F.V. Cassano

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