Psicologia Criminale: analisi psicologica del cannibale di Milwaukee

Jeffrey Dahmer nasce, a Milwaukee, il 21 maggio del 1960. A sei anni va con i genitori ad abitare nell’Ohio. Nel 1968 fu molestato sessualmente da un vicino di casa nel paese rurale di Bath Township. Di questo incidente, Jeffrey, non parlò con nessuno per molto tempo, ma potrebbe essere importante per capire i suoi susseguenti crimini (Pezzan e Brunoro, 2013).

Nella vita di molti serial killer, infatti, ricorrono episodi traumatici che hanno impedito loro di sviluppare la capacità di stare in mezzo agli altri, la comprensione dei meccanismi emotivi e di relazione. Queste persone cresceranno sole, inadeguate e isolate. Ad eccezione di “quella prima esperienza di fusione con la madre”, non sperimenteranno più quella sensazione di unità totale con un altro essere umano e saranno emotivamente e relazionalmente isolati (Camerani, 2010).

A 10 anni, Dahmer “sperimentò” la decapitazione con dei piccoli animali roditori, lo sbiancamento delle ossa di pollo con l’acido, l’inchiodamento di una carcassa di un cane a un albero e montando la testa staccata su di un palo. A Giugno del 1978 il grande salto, da i “semplici esperimenti” agli efferati omicidi con riti di cannibalismo (Franco, 2013).

La sua prima vittima fu un autostoppista di nome Steven Hicks, che Jeffrey portò a casa per bere qualcosa e fare “qualche risata”. Quando Hicks provò ad andarsene, Dahmer gli schiacciò il cranio con un pezzo di metallo, successivamente lo strozzò fino a che non morì per asfissia poi lo smembrò e ne seppellì il cadavere (Franco, 2013).

Successivamente a questo primo omicidio ne seguirono altri 16. L’interminabile scia di sangue ebbe finalmente fine la sera del 22 luglio 1991, quando Dahmer portò a casa un ragazzo di colore 32enne, Tracy Edwards, che aveva conosciuto pochi giorni prima davanti al centro commerciale (Pezzan e Brunoro, 2013).

Quella sera due agenti di pattuglia si videro comparire davanti alla loro macchina un giovane nudo, con un paio di manette che penzolava da un polso. Dopo averlo bloccato, insospettiti da quella manetta, decisero di credere alla storia che il ragazzo stava raccontando. Si recarono così a casa di Dahmer, il ragazzo che secondo Edwards l’aveva ammanettato con l’intento di ucciderlo. Arrivati a destinazione, i due agenti si trovarono di fronte ad un bel ragazzo biondo, ben vestito e dai modi gentili. Ma il fetore che proveniva dall’interno era troppo forte, così i poliziotti entrarono di forza nell’appartamento, decisi a dare un’occhiata. Non immaginavano minimamente cosa si sarebbero trovati di fronte. Tre teste umane nel congelatore, quattro teschi dipinti su uno scaffale ed altri sparsi per la casa, organi umani all’interno di un grosso congelatore, insieme a mani e uno scheletro. Ancora, 3 torsi umani nel barile (Franco,2013).

Il 22 Agosto, Dahmer fu condannato per aver ucciso un totale di 17 persone. Dopo alcuni interrogatori, Dahmer fece una dichiarazione nella quale non si riteneva colpevole perché insano di mente, ma fu giudicato legalmente capace di intendere e volere e fu condannato per omicidi multipli nel 1991 (Pezzan e Brunoro, 2013).

Morì il 28 Novembre del 1994, dopo un’aggressione in prigione da un’altro prigioniero, Christopher Scarver, il quale commentò che lui eseguiva un ordine di Dio (Pezzan e Brunoro, 2013).

Jeff Dahmer, passato alla storia come il mostro di Milwaukee, è uno dei più violenti serial killer della storia. Durante il processo, ammise che mangiare i cadaveri gli procurava un senso di totale controllo e aumentava l’eccitazione sessuale (Camerani,2010).

 

Dopo aver accuratamente depezzato il cadavere della vittima, Dahmer prelevava le parti più succulente, cuore, fegato e bicipiti, e li cucinava in padella, oppure alla brace, gustandoli con salse per insaporirli, proprio come se fossero bistecche di carne animale. Egli tentò addirittura delle lobotomie per tenere le vittime con sé,  di modo da poter avere una sorta di marionetta viva a disposizione (Franco,2013).
Il caso di Dahmer è inscrivibile nella categoria motivazionale di cannibalismo fusionale, in quanto la sua attività antropofaga è motivata dalla ricerca di vicinanza affettiva e sessuale (Camerani, 2010).

 

Il modo con cui agiva era sempre lo stesso: agganciava giovani in locali gay o in strada offrendo da bere o proponendo servizi fotografici a pagamento, poi li drogava e il più delle volte li strangolava, scattando fotografie prima, durante e dopo l’omicidio. La necrofilia era un’altra componente del suo modus operandi: dopo l’uccisione faceva sesso con i cadaveri, o con parti di essi (Camerani, 2010).

Il caso di Damher mostra come sia possibile uccidere per solitudine, per una ricerca abnorme di vicinanza. Quando il desiderio è distorto, diventa una caccia. Alla stregua del corteggiamento, l’aggressione o le preparazione della vittima costituiscono il passaggio necessario per possedere l’altro. La fame diventa gusto e la gioia di nutrirsi si confonde col desiderio e la passione, fino a sfociare nell’orgasmo (Camerani, 2010).

Articolo di F.M. Cassano

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