Teoria delle emozioni e microespressioni secondo Ekman: riassunto completo FACS

. I pulsanti emozionali e i processi che innescano l’emozione

Le emozioni sono un aspetto fondamentale della vita umana; insorgono molto velocemente tanto che spesso non si è consapevoli dei processi mentali che le innescano. Le emozioni infatti preparano l’individuo ad affrontare con rapidità determinati eventi prima ancora di pensarci o esserne coscienti. Le emozioni provocano cambiamenti nel sistema nervoso autonomo a livello della respirazione, frequenza cardiaca e cambiamenti nella voce e nell’espressione facciale. Il volto umano riveste un ruolo comunicativo molto importante in quanto rappresenta il canale principale per la manifestazione delle emozioni; le espressioni facciali sono un’esternazione di stati emozionali.

Un evento può non scatenare in tutti la stessa emozione; esistono infatti pulsanti emozionali specifici di una cultura o di un singolo individuo (variazioni apprese culturalmente sulla base della propria esperienza personale) e temi emozionali universali che invece generano la stessa emozione in tutti gli uomini. Secondo Ekman, Paul alla base dei temi universali vi è la selezione naturale, per cui tutti gli esseri umani nascono con una predisposizione a reagire emotivamente ai fattori, agli eventi legati alla sopravvivenza della nostra specie (ad esempio abbiamo paura di serpenti e ragni perché questi hanno costituito un pericolo in passato). Quindi gli eventi, i pulsanti che scatenano un’emozione sono determinati sia dall’esperienza individuale che dall’esperienza della specie.

Il processo che innesca l’emozione è molto veloce e avviene al di fuori della consapevolezza per cui Ekman sostiene l’esistenza di meccanismi automatici di valutazione che monitorano continuamente ciò che avviene nel mondo e che prendono il nome di valutatori automatici. Questi vanno sempre alla ricerca dei temi universali (o di eventi che gli assomigliano) che sono immagazzinati nella nostra banca dati di pulsanti emozionali; in presenza di uno di questi eventi si sviluppa l’emozione.

Dunque le emozioni sono soprattutto scatenate dai valutatori automatici, ma possono sorgere anche in altre circostanze: ad esempio quando si ricorda o si parla di un episodio emozionale del passato, attraverso l’immaginazione, per empatia. Durante degli studi sull’espressione facciale, Ekman e Friesen, Wallace scoprirono un ulteriore modo di generare emozioni: l’esecuzione di espressioni facciali universali scatenava sensazioni emozionali.

 

 

3.2. L’universalità delle emozioni al di là delle culture

Darwin descrive le emozioni e le espressioni facciali definendole universali e comuni a tutti gli esseri umani a prescindere dalle variazioni culturali. Sono riconosciute come emozioni universali quelle definite primarie: tristezza, paura, sorpresa, felicità, rabbia, disgusto.

Ekman e Friesen condussero una ricerca interculturale per confermare o meno la tesi sull’universalità delle emozioni. Inizialmente Ekman credeva che le espressioni fossero determinate culturalmente ma di fronte ai risultati della ricerca si convinse del contrario. Mostrando ai soggetti di differenti culture fotografie di espressioni emozionali si è potuto notare come i soggetti concordassero nel riconoscere quale emozione emergeva da ciascuna fotografia. La possibilità di riconoscere le emozioni attraverso le espressioni facciali di individui di culture diverse conferma quindi l’ipotesi che ogni emozione presenti un insieme di espressioni comune a tutti.

Ciò che invece varia da una cultura all’altra sono le regole di esibizione, che determinano a quando o a chi si può mostrare una specifica emozione. Ad esempio di fronte ad un film emozionante l’espressione facciale dei Giapponesi era la stessa degli Americani quando erano da soli. Se in compagnia invece i Giapponesi cercavano di mascherare le emozioni.

Questa prima parte della ricerca venne condotta con soggetti di culture industrializzate, moderne, che potevano conoscere le espressioni facciali degli Occidentali attraverso i mass-media. Quindi nel 1967 Ekman e Friesen decisero di proseguire la ricerca in Nuova Guinea presso alcune tribù isolate, ancora incontaminate da film o giornali.

 

Presentarono fotografie di espressioni di soggetti bianchi alla tribù dei Fore e anche in questo caso non si ebbero difficoltà ad interpretare correttamente queste espressioni emozionali, eccetto per le emozioni di paura e sorpresa che venivano confuse. Si fece poi un ulteriore studio in cui venne letta una storia ai Guineani e venne chiesto loro di mostrare l’espressione facciale che avrebbero fatto nei panni del protagonista della storia. Il tutto venne filmato e mostrato poi a degli Americani che identificarono correttamente le emozioni espresse dai Guineani, eccetto paura e sorpresa che anche in questo caso non vennero ben distinte.

 

 

3.3. FACS

L’espressione delle emozioni avviene attraverso l’attivazione di determinati muscoli; alle diverse contrazioni dei muscoli della fronte, delle palpebre, delle guance, della bocca sono associate le sei emozioni primarie. Analizzando anche i contributi di altri autori come Duchenne de Boulogne, G. e utilizzando i dati raccolti, Ekman e Friesen costruirono il primo Atlante del volto o FACS (Facial Action Coding System), un sistema di codifica delle espressioni facciali. L’Atlante descrive 44 unità d’azione che sono le caratteristiche del cambiamento del volto rispetto all’espressione neutra. Ad ogni muscolo del volto corrisponde un’unità d’azione e ad ogni emozione corrisponde un gruppo di unità d’azione uguale in ogni essere umano. A ciascuna emozione corrisponde infatti una famiglia di espressioni diverse.

Per ogni emozione e per le corrispondenti espressioni sono descritte le caratteristiche essenziali ed accessorie. Le caratteristiche essenziali si riferiscono ad aree del volto necessarie per l’esecuzione di un’espressione emotiva, mentre le caratteristiche accessorie comprendono invece quelle zone che a volte possono essere presenti nell’espressione emotiva ma che possono anche mancare.

Le zone del volto importanti per le emozioni sono la fronte e le sopracciglia, la parte inferiore del volto (bocca e guance) e la parte centrale del naso.

 

3.4. Espressioni false e microespressioni

Le espressioni del volto possono essere volontarie o involontarie, vere o false. Le espressioni vere, sentite, si manifestano perché i muscoli facciali si attivano in maniera automatica al nascere dell’emozione, quelle false si manifestano perché l’uomo ha sviluppato un controllo volontario sul proprio viso, così da poter inibire le espressioni autentiche e sostituirle con delle espressioni finte.

Le espressioni volontarie e involontarie sono determinate da aree cerebrali differenti. Una lesione che interessa i sistemi piramidali compromette la mimica volontaria, per cui il paziente diventerebbe incapace di mentire, mentre una lesione relativa ai sistemi extrapiramidali inibisce le espressioni involontarie, per cui il paziente non avrebbe nessuna espressione autentica e al contrario avrebbe buone capacità di mentire assumendo espressioni false.

Delle volte le espressioni false, intenzionali e volontarie, possono essere seguite dalle espressioni emotive autentiche che traspaiono involontariamente. Queste sono definite “microespressioni”, che durano da 1\25 a 1\5 di secondo tanto che generalmente passano inosservate. Ekman iniziò a ricercare in vari filmati di colloqui psichiatrici questo tipo di microespressioni e un caso esemplare fu quello di Mary, una casalinga che aveva più volte tentato il suicidio. Dopo un periodo di cura Mary sembrava stare bene e in un colloquio chiese di poter rientrare a casa. In realtà, come confessò in seguito lei stessa, era ancora depressa e le sue intenzioni erano ritentare il suicidio. Il filmato venne analizzato attentamente a rallentatore e si scoprì una microespressione di disperazione rapidissima, di circa 1\12 di secondo, che emergeva durante il discorso e che veniva subito mascherata da un sorriso. Osservatori inesperti si lasciavano trarre in inganno dal messaggio di Mary e notavano la microespressione solo a rallentatore, mentre clinici esperti riuscirono a coglierla osservando normalmente il filmato; con l’esercizio infatti le persone possono imparare a vedere queste microespressioni.

Le microespressioni, anche se molto rapide, rappresentano in maniera completa l’intera emozione che si cerca di nascondere e differiscono quindi dalle “espressioni soffocate”, che sono espressioni che vengono bruscamente interrotte dal soggetto e coperte da un’altra espressione.

Le microespressioni e le espressioni soffocate possono andare incontro a due problemi: l’effetto Brokaw, ossia il non considerare le differenze individuali nell’espressione delle emozioni e l’errore di Otello, il non tener conto che anche una persona sincera può turbarsi quando viene sospettata e che la comparsa di una microespressione non è prova certa di menzogna.

Le microespressioni possono emergere sia quando si cerca di mascherare volontariamente l’emozione sia quando l’emozione viene invece repressa inconsciamente. In entrambi i casi le microespressioni sono identiche; non possiedono dunque informazioni che consentano di determinare quali delle due cause le abbiano generate, il che richiede di fare riferimento al contesto. Il contesto comprende la natura della conversazione, la storia della relazione tra il soggetto e il valutatore, il turno di parola e quindi se la microespressione si manifesta quando il soggetto parla o ascolta e la congruenza, se la microespressione conferma o meno le parole del soggetto, il suo tono di voce, i suoi gesti.

Gli indizi che smascherano una menzogna non sono solo emozionali (microespressioni) ma possono essere anche cognitivi e dunque le contraddizioni in cui cade un soggetto o l’esitazione nel rispondere ad una domanda. Allo stesso tempo contraddizioni ed esitazioni non costituiscono una prova certa di menzogna perché potrebbero essere dovuti a tutt’altro; Ekman li definisce punti caldi che implicano la necessità di procurarsi ulteriori informazioni.

Nascondere un’emozione è tanto più difficile quanto più l’emozione è intensa perché è più probabile che trapeli involontariamente qualche suo segno espressivo. L’uomo può nascondere la propria emozione autentica fingendo un’emozione diversa; la maschera più utilizzata è il sorriso.

 

3.5. Parole, voce, gesti: altri elementi che possono tradire un’emozione nascosta

Le emozioni non si manifestano solo nella mimica facciale ma anche nei gesti, nel linguaggio e nella voce. Quando si mente si fa soprattutto attenzione alle parole, che vengono scelte con cura e al viso, il principale canale di manifestazione delle emozioni. Ma anche la voce e il corpo danno degli indizi molto importanti e una menzogna può essere tradita proprio da una discrepanza tra le parole e ciò che emerge dalla voce e dall’espressione facciale.

Per quanto riguarda la voce l’emozione può trapelare dal tono, ad esempio un tono più acuto manifesta maggiormente un’emozione di rabbia o paura, al contrario un calo di tono è più caratteristico della tristezza. A ciascuna emozione corrisponde quindi un determinato segnale vocale. Simulare un’emozione che non si prova con la voce è molto più difficile che produrre un’espressione facciale falsa.

Anche i gesti che sfuggono al soggetto possono tradire l’emozione che si cerca di nascondere; questi lapsus gestuali sono involontari e ciò si può notare dal fatto che il gesto è frammentario e fuori posto. Altri tipi di movimenti corporei che forniscono utili indizi sono gli illustratori, gesti che accompagnano il discorso verbale. Nella menzogna i lapsus gestuali tendono ad aumentare, al contrario gli illustratori tendono a diminuire. Infine le manipolazioni, movimenti di automanipolazione come mordersi le labbra, che aumentano in situazioni di disagio ma che non sono caratteristici della menzogna. Altri aspetti universali e involontari sono gli impulsi emozionali all’azione fisica: nella paura vi è l’impulso a paralizzarsi, nella tristezza si ha un calo del tono muscolare, nel sollievo un rilassamento della postura.

Quindi quando è attiva un’emozione si verificano, senza esserne consapevoli, una serie di cambiamenti facciali, vocali e anche cambiamenti del SNA, nella respirazione, nella sudorazione, che sono aspetti molto difficili da inibire e per questo rappresentano degli indizi molto attendibili (ad esempio nella rabbia si ha un aumento del flusso sanguigno nelle mani che si preparano a colpire, nella paura l’aumento si ha nelle gambe che si preparano alla fuga).

 

 

3.6. Il poligrafo

Uno strumento molto importante è il “poligrafo” o lie detector o macchina della verità, che misura proprio queste alterazioni vegetative. Ekman pensava che ci fosse una corrispondenza tra un particolare insieme di alterazioni vegetative e una specifica emozione. Trovò che i cambiamenti della frequenza cardiaca, della temperatura erano diversi nelle varie emozioni e che ad esempio si registrava un aumento del ritmo cardiaco sia nella rabbia che nella paura, ma un aumento della temperatura solo nella rabbia e una diminuzione nella paura.

Il poligrafo rileva semplicemente se il soggetto prova una qualche emozione ma non che tipo, registrando anche i più piccoli cambiamenti nell’attività del SNA non visibili a occhio nudo. Vengono applicati quattro sensori al soggetto: una cintura sul petto e sullo stomaco che misurano alterazioni nel ritmo respiratorio, una sul braccio per misurare il ritmo cardiaco e alcuni elettrodi sulle dita per i cambiamenti nella traspirazione. Il poligrafo non misura la menzogna ma i cambiamenti nell’attività neurovegetativa e si può individuare un soggetto che mente quando si registra un aumento di quest’attività in risposta alla domanda cruciale.

Con il poligrafo vengono utilizzate diverse procedure d’interrogatorio, una delle quali è la tecnica della domanda di controllo sostenuta da Raskin, David e che consiste nel porre al soggetto non solo domande rilevanti ma anche domande di controllo generali riguardanti ad esempio la propria onestà personale o piccoli furti precedenti per le quali il soggetto è tentato a mentire. L’innocente visto che sa di rispondere con sincerità alle domande rilevanti sarà più preoccupato della menzogna che dice in risposta alle domande di controllo, al contrario il colpevole sarà più preoccupato delle risposte alle domande rilevanti. In questa tecnica si cerca di portare l’innocente a mentire alla domanda di controllo così che questa produca nel soggetto una risposta emotiva pari a quella che invece prova il colpevole in relazione alla domanda cruciale. Ma anche l’innocente può essere più turbato dalla domanda cruciale quando ad esempio non crede che il poligrafo sia infallibile e quindi si lascia sopraffare dalla paura poiché teme di essere giudicato male oppure il soggetto, pur non avendo fatto niente, può aver provato dei sentimenti mai confessati, come invidia per un collega che è stato ucciso e provare in seguito sensi di colpa per quei sentimenti che vengono rilevati dal poligrafo.

A questa tecnica si oppone il metodo di Lykken, David, la tecnica della conoscenza colpevole, che consiste nell’interrogare il soggetto su particolari che solo il colpevole può conoscere. Si presentano domande a scelta multipla dove per ogni domanda c’è una risposta vera che indica cosa è successo e una serie di risposte false. Il soggetto deve rispondere no a tutte le alternative ma il colpevole che sa la risposta corretta dovrebbe presentare un cambiamento nell’attività neurovegetativa in relazione a questa risposta, mentre l’innocente dovrebbe rispondere a tutte allo stesso modo.

Entrambi i metodi non sono infallibili ma soggetti ad errori e non si può sapere con certezza se un soggetto stia dicendo la verità o meno facendo riferimento solo all’attività neurovegetativa poiché l’assenza di questi cambiamenti non equivale sempre ad assenza di emozioni. Gli esperti utilizzano non solo i dati dei tracciati del poligrafo, ma anche i dati ricavati dalle parole, dalla mimica, dalla voce che il soggetto manifesta durante l’esame.

 

3.7. La menzogna e gli indizi che la caratterizzano

Ci sono soggetti che sono più abili nel mentire di altri così come ci sono bugie più difficili da smascherare.

Alcuni muscoli che producono espressioni emotive sono molto complicati da controllare e quindi da attivare per produrre espressioni false. Una tecnica che viene utilizzata dagli attori è il metodo Stanislawski che consiste nel rappresentare un’emozione ricordando momenti passati in cui la si è vissuta; in questo modo si attivano quei muscoli difficili o impossibili da controllare e compaiono espressioni facciali che non possono essere eseguite volontariamente.

Ekman individua tre indizi che caratterizzano un’espressione non sincera: l’asimmetria, la scelta di tempo e la collocazione. In un’espressione facciale asimmetrica le emozioni compaiono con più intensità ad un lato del viso, quello sinistro, poiché l’emisfero cerebrale destro che lo controlla è anche quello più specializzato nelle emozioni. Solo la mimica volontaria è però controllata dagli emisferi cerebrali per cui l’asimmetria si manifesta quando l’espressione emotiva è falsa e volontaria.

Il secondo indizio è il tempo, la durata dell’espressione che, se autentica, non deve essere eccessivamente lunga ma rimanere sul viso solo qualche secondo.

Infine un’errata collocazione dell’espressione rispetto al discorso e al movimento del corpo costituisce un probabile indizio di menzogna.

Per scoprire l’autenticità di un’emozione occorre quindi tener conto dei diversi indizi relativi all’espressione facciale, alla voce, al corpo, all’attività vegetativa.

Inoltre la mancanza di indizi non è prova di verità così come la loro presenza non equivale con certezza a menzogna. Spesso infatti si cade in due errori chiamati falso negativo, quando chi mente viene giudicato sincero per mancanza di segni di inganno e falso positivo, quando una persona sincera non viene creduta per la presenza di indizi di menzogna. Un esempio di falso positivo è l’errore di Otello, che consiste nel credere che le emozioni abbiano un’unica fonte e nel trarre subito le conclusioni senza tener conto delle altre ragioni che potrebbero essere all’origine dell’emozione.

Quest’errore deve il suo nome alla figura di Otello che uccise la moglie Desdemona poiché era convinto che l’angoscia e la paura che lei provava fosse dovuta alla morte dell’amante e alla scoperta del suo tradimento, senza considerare la possibilità che angoscia e paura derivassero da altre fonti e quindi essere la reazione di un’innocente di fronte a sospetti ingiusti. Le emozioni possono sorgere infatti per varie ragioni, non sempre perché si mente, nonostante gli indizi a cui si faccia riferimento indichino solo il tipo di emozione che si prova senza specificarne la ragione. Per questo Ekman sostiene che non esistono indizi certi di menzogna ma punti caldi che occorre approfondire.

Nonostante tutte le informazioni emerse dalle ricerche di Ekman non si è ancora scoperto un segnale comportamentale completamente certo che riesca sempre e in ogni caso a smascherare la menzogna.

 

3.8. Presenza mentale o consapevolezza del comportamento emozionale

Le emozioni possono prevalere sulle nostre conoscenze perché una volta innescate possono persistere nonostante ci si renda conto che non sono necessarie. Inoltre quando proviamo un’emozione interpretiamo gli eventi in modo che siano coerenti con quell’emozione, cercando di assecondarla e confermarla e ignorando invece gli elementi che non combaciano con essa. Questo periodo viene detto di “refrattarietà” e può essere di breve durata, circa 1 o 2 secondi, o può protrarsi più a lungo, anche ore. Ciò che l’emozione induce a fare o a dire appare in quei momenti come giusto e necessario.

Il nostro comportamento emozionale è diretto da un meccanismo centrale ereditario che viene indicato con l’espressione di programma affettivo.

I programmi affettivi sono aperti alle nuove informazioni cosicché si possono acquisire nuovi comportamenti emozionali che si aggiungono a quelli già presenti, diventando involontari come quelli innati e permettendo all’uomo di adattarsi ad ogni situazione. Per questo le nostre reazioni emozionali sono legate non solo al passato evolutivo, ma anche a quello personale. Inoltre anche se non si possono interrompere le reazioni emozionali, si sono sviluppati degli schemi di regolazione che gestiscono il comportamento emozionale e pongono dei limiti per evitare di perdere il controllo e agire in maniera distruttiva. In gran parte delle nostre esperienze emozionali siamo così dentro ad un’emozione da non avere alcun dubbio sulle azioni che compiamo o su ciò che diciamo. Per riuscire a moderare il comportamento emozionale occorre sviluppare un nuovo tipo di coscienza detta presenza mentale che permette al soggetto di potersi osservare durante un episodio emozionale e di riconoscere di essere preda dell’emozione, valutare se la reazione emozionale sia giustificata o meno e quindi decidere se proseguire o se orientare diversamente azioni e parole. Un modo per sviluppare questo tipo di presenza mentale è identificare i propri pulsanti sensibili personali e desensibilizzarli o imparare a conoscere le diverse sensazioni fisiche che caratterizzano l’insorgere di un’emozione. A volte però, quando l’emozione è molto intensa o si ha un umore che la rafforza, la presenza mentale può non svilupparsi.

Se si riesce ad acquisire questa presenza mentale si possono moderare le proprie reazioni emozionali reinterpretando gli eventi, il che è particolarmente difficile nel periodo di refrattarietà che impedisce di accedere alle informazioni che indebolirebbero l’emozione. In questo caso, pur non potendo attuare una nuova interpretazione e pur mantenendo la convinzione della correttezza dell’emozione, si può decidere di interrompere ogni azione o parola di cui ci si potrebbe pentire in seguito.

La capacità di sviluppare questa consapevolezza del comportamento emozionale o presenza mentale è alla base dello sviluppo della consapevolezza dell’impulso, ossia la capacità di essere coscienti dell’impulso generato dall’emozione prima però che questo si inizi ad esprimere a parole o azioni; è una consapevolezza molto difficile che viene raggiunta da pochi e con molto esercizio.

Spesso si desidera poter disattivare determinati pulsanti emozionali che innescano involontariamente specifiche emozioni.

La possibilità di ridurre la sensibilità di un pulsante dipende da diversi fattori, come la precocità con cui il soggetto ha appreso l’innesco, o l’intensità emozionale provata quando è stato acquisito, la frequenza degli episodi emozionali, lo stile emozionale del soggetto.

Quando si apprende un nuovo innesco, per esempio si impara ad aver paura di qualcosa, si stabiliscono nuovi collegamenti fra le cellule, che LeDoux chiama assembramenti cellulari, che costituiscono la banca dati dei pulsanti emozionali. Si può imparare ad interrompere il collegamento fra questi assembramenti cellulari e il comportamento emozionale affinché l’emozione non si inneschi anche se, in determinate circostanze, per esempio quando si è sotto stress, il pulsante attiva l’assembramento cellulare che collegato al comportamento fa scattare la reazione emozionale.

 

3.9. Emozioni e umori

Le emozioni sono differenti dagli umori: le emozioni sono brevi, possono durare qualche minuto e il più delle volte qualche secondo, mentre gli umori durano molto più a lungo, anche qualche giorno. L’umore attiva specifiche emozioni: l’irritabilità ad esempio ci fa interpretare il mondo in maniera tale da innescare rabbia, che iniziamo a provare anche per cose che normalmente non ci fanno arrabbiare. Inoltre mentre si può identificare la causa che ha scatenato un’emozione, difficilmente lo si può fare nel caso dell’umore che si sviluppa senza un’apparente ragione.

 

 

L’espressione facciale delle emozioni universali 

Le emozioni universali sono 6: tristezza, rabbia, sorpresa, paura, disgusto e felicità.

 

4.1. Tristezza

 

La tristezza viene innescata da una perdita: di una persona cara, della propria autostima, di un oggetto, della salute.

Un’emozione simile alla tristezza è il tormento, solo che mentre nel tormento vi è ribellione, nella tristezza vi è passività e rassegnazione. Quando l’emozione è intensa tristezza e tormento si alternano; ad un periodo di tormento ne segue uno di tristezza in cui la persona si sente impotente e poi di nuovo uno di tormento. Accanto alla tristezza si possono provare altre emozioni come rabbia contro chi ha causato la perdita o addirittura contro chi è venuto a mancare, oppure paura o qualche breve emozione positiva. Inoltre nel caso della perdita di un caro spesso non si manifesta l’emozione sino a quando non si condivide la perdita con gli altri e non si assiste alla loro reazione. La tristezza, come le altre emozioni, ha una funzione comunicativa che è quella di manifestare la propria sofferenza agli altri per ottenere conforto.

 

 

Non tutti però vogliono essere aiutati: molti preferiscono stare soli e non mostrare agli altri la propria tristezza anche se alcune espressioni emozionali possono apparire involontariamente.

All’emozione della tristezza, così come al resto delle emozioni, può corrispondere un determinato umore, un tratto di personalità e un disturbo emozionale. In questo caso l’umore è quello malinconico in cui la tristezza può durare ore o giorni, mentre la personalità malinconica che rende predisposti alla tristezza può caratterizzare lunghi periodi di vita. Il disturbo emozionale, in questo caso la depressione, può essere breve o durare anche anni e ciò che lo caratterizza è il modo in cui viene vissuta l’emozione, molto intensamente e fuori controllo tanto da interferire con la realizzazione degli obiettivi della vita.

La tristezza è accompagnata da diverse sensazioni spiacevoli come palpebre pesanti, guance tese, gola dolente e lacrime. Si manifesta attraverso specifiche espressioni facciali: un primo segno caratteristico della tristezza è l’estremità interna delle sopracciglia che punta verso l’alto e che fa apparire una ruga verticale nello spazio fra le sopracciglia. Questo movimento è complicato da replicare volontariamente così come da inibire tanto che anche quando si cerca di nascondere l’emozione questo viene eseguito inconsciamente e fa trasparire la tristezza che si prova.

Per quanto riguarda la parte inferiore del viso altri segni sono visibili nelle labbra tese in orizzontale, in quello inferiore che tende verso l’alto e negli angoli della bocca che invece si piegano verso il basso. Le guance sono spinte verso l’alto e producono dei solchi che dal naso arrivano agli angoli della bocca e che sono detti solchi nasolabiali e ancora la pelle tra mento e labbro inferiore diviene corrugata e tesa verso l’alto. Quando il movimento della bocca non è accompagnato da quello delle sopracciglia può trattarsi di lieve tristezza oppure se è pronunciato manifestare qualcosa di diverso, come negazione e incertezza.

Si possono creare delle espressioni miste, ad esempio una combinazione di tristezza espressa dalle sopracciglia e di felicità espressa da un sorriso e questo può avvenire quando si rievoca un momento felice che è però caratterizzato anche da tristezza perché è finito, oppure quando si cerca di camuffare la tristezza con il sorriso.

 

 

4.2. Rabbia

 

La rabbia si sviluppa quando qualcuno interferisce con ciò che si sta facendo o quando si rimane delusi da qualcuno a cui si tiene particolarmente. Le esperienze di rabbia sono differenti per intensità e per tipologia: l’indignazione, l’esasperazione, il risentimento, la vendetta sono tutti diversi tipi di sentimenti rabbiosi. La rabbia spesso è accompagnata da altre emozioni come la paura (che ci venga fatto del male o paura di perdere il controllo e fare del male all’altro) o il disgusto, nei confronti dell’oggetto della nostra rabbia o nei nostri stessi confronti per il fatto di provarla.

La rabbia è l’emozione più pericolosa proprio perché si ha il desiderio di nuocere all’altro e inoltre la rabbia genera altra rabbia. Spesso ci si pente di ciò che si dice quando si è preda di quest’emozione e anche qualora si riesca ad averne coscienza o presenza mentale, si può sviluppare una lotta interiore se si decide di non agire più secondo i dettami della rabbia. Questa lotta sarà più dura per coloro che si arrabbiano più velocemente e intensamente e sarà volta a far si che il soggetto controlli il proprio comportamento, non dica cose imperdonabili, impedisca lo sviluppo di una rabbia estrema e anzi cerchi di diminuirla.

Quindi quando siamo consapevoli dell’emozione che proviamo possiamo anche riuscire a controllarci, interrompere le nostre reazioni e valutare la situazione e le azioni da compiere. A volte invece quando la rabbia è intensa possiamo non essere consapevoli di provare quell’emozione e di conseguenza non essere capaci di controllarci, agendo in modo sbagliato. Si ha ancora più difficoltà a gestire la rabbia quando si ha un umore irritabile.

Oltre all’umore corrisponde alla rabbia anche un determinato tratto di personalità che è quello dell’ostilità: in uno studio si confrontarono soggetti con personalità ostile e pacifica che vennero sottoposti ad un colloquio provocatorio e si notò come l’espressione facciale di rabbia si manifestava maggiormente nei soggetti con personalità più ostile. Inoltre alla rabbia corrisponde anche un disturbo emozionale rappresentato dalle varie forme di violenza in cui la rabbia è fuori controllo e interferisce con la vita del soggetto.

Anche la rabbia ha delle funzioni, come quella di motivare il soggetto ad agire su ciò che l’ha generata. La rabbia e la paura spesso si manifestano nelle stesse situazioni e come altra funzione la rabbia diminuisce la paura e fornisce la forza per affrontare il pericolo.

Mentre la tristezza può essere suscitata anche dal guardare la fotografia di qualcuno triste, questo non avviene nel caso della rabbia, che non si sviluppa guardando immagini di risse. Si è scoperto invece che ogni emozione, quindi anche la rabbia, insorge quando si replicano volontariamente tutti i movimenti del viso caratteristici di quell’emozione. Quest’ipotesi che le espressioni facciali influenzino l’esperienza emozionale prende il nome di ipotesi del feedback facciale.

Le sensazioni che accompagnano la rabbia includono pressione, tensione e calore, ad esempio si ha un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, il viso può diventare rosso, le mascelle serrate.

Le espressioni facciali attraverso le quali si manifesta la rabbia sono innanzitutto le sopracciglia abbassate e convergenti e le palpebre superiori sollevate che caratterizzano una particolare espressione chiamata occhiataccia, che segnala senza dubbi la presenza di rabbia perlopiù controllata. La presenza delle due azioni caratteristiche dell’occhiataccia e quindi sopracciglia abbassate e palpebre superiori sollevate, unite alle palpebre inferiori tese, è un chiaro segno di rabbia più marcata. La presenza invece solo delle sopracciglia abbassate e convergenti non è una prova certa di rabbia perché questo movimento accompagna anche la perplessità, la confusione, la concentrazione. I muscoli che determinano questo movimento vengono contratti infatti non solo dalla rabbia ma anche da ogni tipo di difficoltà tanto che vengono chiamati muscoli delle difficoltà.

 

Anche la combinazione di sopracciglia abbassate e palpebre inferiori tese (quindi sempre in assenza dell’occhiataccia) può essere un segnale di rabbia lieve o controllata e di perplessità o concentrazione.

Per quanto riguarda la parte inferiore del viso, la mascella è spesso protesa all’infuori e le labbra possono essere aperte (labbro superiore sollevato e inferiore abbassato), assottigliate e dalla forma squadrata, oppure serrate o con il labbro inferiore spinto verso l’alto, segno di rabbia controllata ma anche di rassegnazione. Una caratteristica importante è l’assottigliamento delle labbra, segno precoce di rabbia o di rabbia molto controllata, che è un segno affidabile anche perché difficile da inibire.

 

 

4.3. Sorpresa e paura

 

 

La sorpresa è l’emozione più breve di tutte; dura solo qualche attimo, quello in cui accade l’evento improvviso e inaspettato che innesca l’emozione.

Alcuni studiosi non considerano la sorpresa una vera e propria emozione perché non è né positiva né negativa al contrario di tutte le altre. Ekman invece la considera comunque un’emozione che, come le altre, ha delle proprie caratteristiche speciali come una durata fissa e limitata, in quanto la sorpresa dura solo qualche secondo a differenza di qualunque altra emozione che può perdurare più a lungo. Inoltre la sorpresa è seguita subito da un’altra emozione che può essere la paura, la rabbia, la felicità a seconda dell’evento che l’ha generata.

La sorpresa è totalmente differente dallo spavento nonostante alcuni li considerino sinonimi. Innanzitutto lo spavento si manifesta e si esaurisce in un arco di tempo più breve rispetto alla sorpresa, circa mezzo secondo; un’altra differenza è che anche se si viene avvertiti che a breve si verrà spaventati, la reazione di spavento continuerà a verificarsi, magari con meno intensità, al contrario della sorpresa che non può generarsi conoscendo già l’evento. Inoltre lo spavento si manifesta con espressioni opposte a quelle della sorpresa. Più che emozione è considerato riflesso fisico.

Ekman nelle sue ricerche in Nuova Guinea notava come gli abitanti riuscissero a riconoscere perfettamente tutte le emozioni presentate in foto, eccetto la sorpresa e la paura che venivano confuse.

La paura viene innescata dal pericolo di un danno fisico o dalla minaccia di un dolore. Un esempio di innesco innato della paura può essere rappresentato dall’altezza, o da un ostacolo che viene incontro al soggetto molto rapidamente da doversi spostare, la mancanza di sostegno che fa cadere nel vuoto; non è detto però che queste situazioni costituiscano per tutti uno stimolo alla paura. La paura può essere anche appresa: si può infatti sviluppare paura per qualunque cosa, anche se non rappresenta alcun pericolo.

Quando si viene colti dalla paura si hanno due possibilità: nascondersi o fuggire, che sono le due azioni favorite dall’evoluzione poiché si sono dimostrate utili alla sopravvivenza della specie. Una terza azione che si può compiere è arrabbiarsi e reagire alla minaccia immediata; in questo caso l’attenzione all’obiettivo fa sì che non si venga travolti dalla paura. Esistono infatti due tipi di minaccia: la minaccia immediata che induce ad agire e a fronteggiarla e la minaccia incombente che invece induce preoccupazione, tensione muscolare e una maggiore vigilanza. Quando si ha paura di qualcosa o si attende un pericolo non si riesce a pensare a nient’altro: queste sensazioni spiacevoli possono infatti irrompere nei pensieri in qualunque momento.

Come le altre emozioni anche la paura è associata ad uno specifico umore, quello ansioso, che si presenta quando si è preoccupati senza saperne il perché e senza che ci sia un effettivo pericolo. La personalità legata alla paura è quella timida mentre esempi di disturbi emozionali sono le fobie, paure infondate di spazi chiusi o aperti, di animali, etc, gli attacchi di panico e l’ansia patologica.

Le sensazioni che accompagnano la paura sono caratterizzate da respiri profondi, tremori ai muscoli di braccia e gambe, mani fredde, sudore. Per quanto riguarda le espressioni facciali, un aspetto importante è rappresentato dagli occhi e dalle sopracciglia. Sia nella paura che nella sorpresa gli occhi sono spalancati e le palpebre superiori sollevate; la paura si distingue però quando a ciò si associano palpebre inferiori tese e sopracciglia convergenti.

Nella parte inferiore del viso la paura si esprime con labbra tese orizzontalmente, mentre la sorpresa con bocca aperta. Quando si ha il movimento della bocca associato al movimento delle palpebre, si può distinguere tra paura e sorpresa anche senza tener conto delle sopracciglia.

 

 

4.4. Disgusto

 

Il disgusto è un sentimento di avversione verso qualcosa, che può essere un sapore, un odore, una sensazione tattile, l’azione o l’aspetto di una persona. Non tutto ciò che induce il disgusto in un soggetto causa la medesima reazione in tutti gli altri anche se ci sono alcuni pulsanti universali che innescano in tutti quest’emozione.

Lo psicologo Rozin, Paul individua due tipi di disgusto: di base e interpersonale, che si suddivide in quattro diversi tipi che sono stranezza, malattia, sfortuna e immoralità. I soggetti adulti provano maggiormente disgusto in relazione ad aspetti interpersonali che non disgusto di base. Una funzione del disgusto è quella di allontanarsi da tutto ciò che è ripugnante, ma ciò non avviene quando all’origine di questa emozione vi è ad esempio una persona cara, malata o ferita.

Il disgusto, seppur collegato, è diverso dal disprezzo che si prova solo in relazione alle persone e segnala il fatto di sentirsi superiori agli altri.

A differenza delle altre emozioni il disgusto non si associa a nessun umore in particolare mentre i disturbi emozionali associati sono ad esempio le ossessioni sullo sporco e pulizia, la fobia del sangue e anche i disturbi alimentari, nei quali si prova un forte disgusto per il cibo e anche per il proprio corpo.

Per quanto riguarda l’espressione facciale, l’emozione si manifesta attraverso due tipi di movimento: naso arricciato e labbro superiore sollevato che spesso compaiono insieme. Questi movimenti creano una ruga profonda che da sopra le narici scende agli angoli della bocca, a forma di U rovesciata e diverse rughe sul naso. Quando il movimento di arricciare il naso diviene forte si ha un abbassamento delle sopracciglia mentre le guance sono tirate verso l’alto. L’atto di sollevare il labbro superiore può essere un segno di disprezzo quando l’espressione è asimmetrica e dunque il movimento si compie solo su un lato del viso.

 

 

 

 

 

 

 

4.5. Felicità

 

Oltre alle emozioni negative esistono diverse emozioni piacevoli tra le quali la gioia, il divertimento, l’appagamento, il sollievo che si prova in seguito a forte emozioni, lo stupore, quando si viene travolti da qualcosa di incomprensibile, incredibile, accompagnato dalla sensazione fisica della pelle d’oca, la fierezza che si prova quando si supera una sfida difficile e si raggiunge un importante traguardo.

Un tratto di personalità associato alle emozioni piacevoli è l’estroversione che predispone ad essere più felici, mentre tra i disturbi emozionali troviamo l’anedonia, incapacità di provare emozioni positive e la mania, un eccesso di eccitazione emozionale. L’espressione facciale che caratterizza le emozioni piacevoli è il sorriso. Secondo Ekman però, poiché tutte le diverse emozioni positive si esprimono col sorriso, ciò che consente di distinguerle sono i segnali vocali, differenti per ogni emozione. I sorrisi inoltre possono essere effettuati sia per esprimere una reale emozione sia ad esempio per educazione e dunque in assenza di piacere. Il neurologo francese Duchenne de Boulogne riuscì ad identificare la differenza tra un sorriso autentico, che esprime vero piacere e un sorriso falso. Come lui stesso scrisse: “l’emozione di gioia sincera viene espressa dal volto tramite la contrazione combinata dei muscoli zygomaticus major e orbicularis oculi”. Il muscolo zigomatico maggiore che solleva gli angoli della bocca può essere controllato volontariamente e quindi essere contratto anche in un sorriso falso. L’orbicularis oculi, che circonda gli occhi, non può invece essere contratto volontariamente ma solo da un’emozione autentica di gioia. In realtà questo muscolo si compone di due parti: una interna che tende le palpebre e che può essere contratta in modo volontario e una esterna che circonda l’orbita, che spinge in basso le sopracciglia e in alto la pelle sotto l’occhio e delle guance, che è quasi impossibile da contrarre volontariamente e che per questo permette di distinguere un sorriso falso da uno autentico. Quando il sorriso è lieve è più facile notare l’assenza di questo movimento poiché le guance non sono sollevate e gli occhi non si assottigliano, al contrario con un sorriso più ampio, anche se falso, si producono tutti questi segni e occorre un maggiore esercizio per riconoscere le differenze. Non solo il sorriso ma anche le altre emozioni sono caratterizzate da alcuni movimenti muscolari molto difficili da replicare volontariamente.

 

 

4.6. Emozioni secondarie e profilo emozionale individuale

Le sei emozioni primarie descritte, chiamate anche fondamentali o di base, compaiono nei bambini nei primi 6 mesi di vita; anche i neonati infatti riescono ad esprimere queste emozioni e ciò permette l’instaurarsi di interazioni coordinate e sincronizzate con i genitori. Oltre a queste esistono altre emozioni che non sono universali perché non hanno dei segnali chiari ed efficaci che le rendano distinguibili universalmente. Sono definite emozioni complesse, o anche secondarie o sociali e tra queste sono incluse ad esempio l’invidia, l’imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa che si sviluppano con la crescita e l’interazione sociale. Le emozioni primarie sebbene siano universali, riconosciute e provate da tutti, vengono vissute in modi diversi a seconda del soggetto. Una prima differenza riguarda l’intensità della reazione emozionale, che può essere lieve e moderata o molto più forte, poi la durata di questa reazione che può dissolversi più o meno rapidamente, la velocità d’insorgenza e quella di recupero. Ancora, in un soggetto ci può essere una frequenza di episodi emozionali differente rispetto ad un altro, così come una diversa capacità di controllare le proprie azioni o parole. Inoltre, come già detto, ci sono determinati pulsanti emozionali che possono innescare l’emozione in un soggetto ma non nell’altro. Ogni individuo ha dunque un proprio profilo emozionale che si applica a ciascuna emozione.

Articolo di Giulia Onnis

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