Un viaggio nella mente del bambino che non ricorda la mamma

C’erano due donne che non si erano mai conosciute.
Una non la ricordi, l’altra la chiami mamma.
La prima ti ha dato la vita, la seconda ti ha insegnato a viverla.
La prima ti ha creato il bisogno d’amore, la seconda era lì per soddisfarlo.
Una ti ha dato la nazionalità, l’altra il nome.
Una il seme della crescita, l’altra uno scopo.
Una ti ha creato emozioni, l’altra ha calmato le tue paure.
Una ha visto il tuo primo sorriso, l’altra ha asciugato le tue lacrime.
Una ti ha lasciato, era tutto quello che poteva fare.
L’altra pregava per un bambino e il Signore l’ha condotta a te.
E ora mi chiedi la perenne domanda: eredità o ambiente,
da chi sono plasmato?
Da nessuno dei due.
Solo da due diversi amori.
(Madre Teresa di Calcutta)

Le parole di Madre Teresa di Calcutta lasciano intuire, in modo poetico e suggestivo, uno dei dilemmi più incisivi nella vita e nella mente delle persone che vengono adottate: appartenere a due diverse famiglie, una biologica, ma spesso sconosciuta e soltanto immaginata, e una che invece ha costituito la realtà in cui crescere e imparare a conoscere il mondo.
Il tema affrontato nella mia ricerca riguarda proprio la costruzione dell’identità nelle persone adottate: lo sviluppo di una visione di sé coerente e autentica presenta molte sfide aggiuntive per questi individui, che spesso conoscono molto poco delle loro origini biologiche e allo stesso tempo colgono le differenze, fisiche e temperamentali, fra loro e i propri genitori adottivi. La difficoltà di conciliare questi due aspetti, le proprie radici e il contesto in cui si è cresciuti, può provocare confusione e disagio nelle persone con questo tipo di storia alle spalle; tali difficoltà risultano ancora più esacerbate nel caso delle adozioni internazionali, in cui genitori e figli adottivi appartengono a culture diverse e presentano ancor più evidenti differenze nel colore della pelle o nei lineamenti.


Ho deciso di approfondire questo tema perché, in un contesto come quello odierno, in cui le adozioni, non solo internazionali ma anche di bambini a rischio giuridico e con disabilità, stanno via via aumentando, ritengo sia importante soffermarsi sulle dinamiche e sulle eventuali problematiche che possono svilupparsi. Il tema dell’identità in particolare, saliente nella vita di tutte le persone e quindi anche dei figli adottivi, merita di essere approfondito per poter non solo effettuare trattamenti più efficaci, ma anche interventi di prevenzione mirati ad aiutare i genitori adottivi a sostenere i loro figli in questo difficile processo.
Ho ritenuto opportuno articolare il mio elaborato in due capitoli.

Il primo capitolo riguarda lo sviluppo dell’identità adottiva, ossia il modo in cui l’individuo comprende e attribuisce significato al fatto di essere adottato. La costruzione dell’identità si configura come un processo che si snoda attraverso le tappe di sviluppo, cognitive e affettive, dell’individuo; quella adottiva presenta numerose specificità e può essere influenzata da diversi fattori, alcuni dei quali verranno discussi e messi in luce. Particolare rilievo sarà attribuito anche all’eventuale contatto o rapporto con la famiglia d’origine; è questo un tema molto discusso negli Usa, dove sono permesse le cosiddette “adozioni aperte”, che, diversamente da quanto imposto dalla legge italiana, non prevedono l’interruzione dei rapporti fra genitori biologici e figlio adottivo.
Il secondo capitolo, invece, riguarda più nello specifico la costruzione dell’identità etnica nel contesto delle adozioni internazionali, in quanto aspetto centrale nella propria visione di sé. L’adozione internazionale è più complicata di quella nazionale perché il figlio adottivo da una parte apprende e acquisisce i valori della cultura in cui è stato allevato, dall’altra però presenta caratteristiche e tratti fisici tipici della propria etnia biologica. Pur essendo cresciuto nel Paese ospitante, un ragazzo adottato può essere oggetto di razzismo dai suoi pari e può soffrire per il fatto di appartenere in modo così evidente a un’etnia e cultura diversa da quella della famiglia adottiva, etnia e cultura dalla quale però, avendone spesso poche informazioni e conoscenze, si sente altrettanto estraneo. Alcuni importanti studi riportati in questo capitolo discutono infatti le difficoltà, per le persone adottate, di costruire una propria identità etnica, soffermandosi in particolar modo sul legame fra questa e il benessere psicologico.
Infine, si evidenzieranno i limiti di questa ricerca, ma si suggeriranno anche i possibili sviluppi futuri da approfondire in successivi studi.

Percezione e comprensione dello status adottivo nelle diverse fasi dello sviluppoIl tema dell’identità è da molto tempo al centro dell’interesse degli studiosi che si occupano di adozione. In particolare, un importante studio del 1991 (Rosenberg & Horner, 1991) si è concentrato su due aspetti di tale costrutto: da una parte, la natura e il ruolo delle fantasie del bambino o adolescente riguardo alla propria famiglia d’origine, dall’altra la costruzione di una solida identità sulla base dell’integrazione fra radici biologiche ed esperienze nella famiglia adottiva. Per quanto riguarda il primo punto, gli autori si rifanno alla concezione psicoanalitica delle fantasie, considerate come mezzo, per il bambino, di compensare ad alcuni aspetti della realtà, e della famiglia in cui vive in questo caso, difficili da accettare o insoddisfacenti. Per i bambini adottati, questo potrebbe implicare anche la costruzione di fantasie sui propri genitori biologici e sul motivo della loro adozione, con la funzione di mitigare la triste realtà dell’abbandono subito.
Premettendo che queste fantasie sono in larga parte soggettive e difficili da analizzare, gli autori, rifacendosi anche alla letteratura clinica del periodo, descrivono brevemente le tappe attraverso le quali, in linea con il loro sviluppo cognitivo, i bambini lentamente acquisiscono la consapevolezza della propria adozione ed elaborano strategie di coping per conciliare l’esistenza di due coppie di genitori, una biologica e l’altra adottiva. Pur ammettendo di non avere prove sistematiche che suggellino le loro affermazioni, gli autori evidenziano la presenza, nei bambini in età prescolare, di una sensazione del fatto che essere adottati non sia una cosa del tutto positiva. Pur non avendo la struttura cognitiva per comprendere appieno la differenza fra genitori biologici e adottivi, i bambini a quest’età possono infatti iniziare, a causa delle frequenti domande che vengono loro poste riguardo alle evidenti differenze fisiche che li distinguono dalla propria famiglia, a percepire lo status adottivo come qualcosa di irregolare, di strano rispetto alle esperienze dei compagni.
Solo durante l’età scolare, i figli adottivi iniziano a concepire l’idea di avere due coppie di genitori e, non sapendo con chi identificarsi, è frequente che inizino ad attribuire caratteristiche positive e negative ai genitori reali e immaginati; spesso possono
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assegnare il ruolo di “cattivi” alla mamma e al papà naturali cercando in questo modo di trovare una spiegazione rispetto al proprio abbandono, non senza, però, un senso di colpevolezza o inadeguatezza, spesso accompagnato dal timore di avere altri fratelli ma di essere gli unici dati in adozione. Per sopperire a questa sensazione di essere stati rifiutati, i bambini possono sentirsi in dovere di essere sempre bravi e ubbidienti, nella paura di un nuovo abbandono. Come conseguenza a questa immaginaria visione negativa dei propri genitori biologici, in preadolescenza e in adolescenza è frequente che i ragazzi cerchino di identificarsi con i genitori adottivi tentando di rinnegare la loro eredità genetica. In altri casi, invece, potrebbero assumere comportamenti attribuiti ai genitori naturali: ad esempio, fantasticando sul fatto che la propria madre biologica avesse una vita sessuale non protetta e sregolata fino a concepire un figlio e poi mandarlo in adozione, molte ragazze potrebbero assumere atteggiamenti promiscui come per rassicurarsi sul fatto che le proprie origini non sono poi così male e che in fondo la mamma era proprio come loro adesso. Inoltre, durante lo sviluppo fisico, i ragazzi adottati devono fronteggiarsi con numerose sfide rispetto ai loro coetanei; non conoscendo l’aspetto dei loro genitori biologici, potrebbero essere spaventati dalle trasformazioni corporee e confusi riguardo alla loro futura apparenza.
Spesso i ragazzi adottati compiono delle ricerche sulla loro famiglia d’origine o visitano il loro paese di provenienza per disambiguare questi dubbi; per chi non tenta esperienze di questo tipo, le fantasie rimangono sempre vive, ma è importante riuscire a tollerare queste incertezze e accettare la propria storia come parte integrante della propria identità. In ogni caso, l’elaborazione di una visione di sé integrata e coerente è necessaria per riuscire a compiere decisioni riguardo alle relazioni amorose, alla carriera e, più in generale, al proprio futuro quando, da giovani adulti, questi individui inizieranno a formare la loro famiglia.

Articolo di Laura Castellan

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