Intelligenza emotiva per insegnanti

Intelligenza emotiva  

 

“Da solo non posso trovare la verità,

perché la verità non è ciò che è solo per me […]

da solo mi ritrovo nell’aridità e nella desolazione

[…]  Allora cado nel nulla.”

  1. Jaspers

 

Molto spesso il docente di oggi, è nelle condizioni di dover “negoziare” l’attenzione, se non il rispetto dei propri discenti. Che si tratti di recuperare semplicemente l’attenzione di un alunno o della classe – cosa tra le più auspicabili – è possibile che si trovi in contesti in cui debba rivedere le modalità del suo relazionarsi con gli alunni, qualora i contesti – per i motivi più svariati – possano sfuggire alla sua gestione, compromettendo così l’obiettivo dell’apprendimento.

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Per colui o colei la quale, non abbia avuto la fortuna di nascere con un talento “attrattivo” molta letteratura si è espressa recentemente sui vantaggi comportati da una relazione orientata sull’emotività che non sul cognitivo. Indipendentemente dalle ricerche sopracitate, è abbastanza intuitivo pensare che costruire una relazione “dotata di senso” – dove per senso in questo caso si intenda un’attenzione profonda verso l’altro e priva di giudizio – possa produrre un’affiliazione più sentita (appunto) e costruttiva da parte dei discenti, tale che li motivi ulteriormente nel loro processo di apprendimento.

Qualora cioè gli alunni, si sentano accompagnati e curati nella loro crescita scolastica ed esperienziale, in una relazione che piuttosto che giudicare le falle, tenda a promuovere ed a rinforzare positivamente anche piccoli successi, questi, non solo è possibile che partecipino in maniera più responsabile alla relazione docente/discente, ma probabilmente acquisiranno tutte quelle competenze trasversali relative alla cura del sé e dell’altro, di cui finora discusso.

Gestire l’aula con positività e creatività determina una certa risonanza, motivante per il docente e per l’alunno, anche in contesti complessi.

In questo paragrafo, si intende dunque approfondire un aspetto della personale formazione del docente, che va al di là del proprio sapere disciplinare ma non ultima quanto ad importanza.

Chi intraprende una professione di questo tipo, non può infatti prescindere dalla consapevolezza dell’importanza della relazione e, se la relazione è possibile solo grazie all’altro, questa deve nutrirsi necessariamente della “predisposizione” all’altro. Essa si nutre cioè dell’accettazione dell’altro, dei suoi vissuti e delle sue rappresentazioni simboliche, che vanno interpretate con pazienza e cura, di comportamenti verbali e non verbali, tali che descrivano un disagio – e purtroppo quasi mai immediatamente evidente – un’abitudine indotta o meno, una cattiva gestione delle proprie risorse, e limitando il più possibile il giudizio.

Il docente ha l’obbligo etico – parola dalla quale la sua professione non può trascendere – di accompagnare i ragazzi in una evoluzione correttiva, ma partendo dalle risorse che essi stessi già possiedono, con attenzione e devozione.

Egli deve cioè “allargare la cornice dei significati”, allontanarsi quanto più possibile dal narcisismo del suo ruolo di docente e fare euristica dei ragazzi e di se stesso.

. Per fare questo egli però deve in primis conoscere di sé i propri limiti – prima ancora che quelli dei ragazzi – i propri punti deboli nonché le proprie risorse ed agire su quelle, creando un clima di partecipazione ed umanità. Deve cioè imparare ad essere un individuo prima, ed un docente poi empatico, dove per empatia si intenda l’arte di immedesimarsi nell’altro, nel suo vissuto e stato d’animo, per poi “uscirne” per inquadrare obbiettivamente il percorso più idoneo all’apprendimento.

 

 

3.4 Comunicazione coerente 

 

Altra capacità che il docente-counselor deve possedere è quella della comunicazione coerente.

La comunicazione è stata oggetto di riflessione anche da parte di numerosi filosofi contemporanei, tra i quali Jaspers, Lévinas, Buber, Habermas, Apel.

Già Habermas aveva distinto due tipi di attività comunicativa: l’interazione comunicativa e l’interazione strategica. Delle due, quest’ultima si pone come obiettivo esclusivamente l’efficacia e il successo, utilizzando a tal fine la minaccia e la sanzione, la prospettiva di gratificazione o le arti persuasive della retorica sofistica: espressione diretta – sul versante comunicativo – della razionalità strumentale.

Habermas pertanto giudicava questa come un tipo di comunicazione in cui il concetto di verità e di eticità venivano a mancare in quanto privi di senso. Piuttosto, la comunicazione autentica poteva darsi solo attraverso tre grandi criteri:

➢ Verità di fatto, riferibili al mondo dei fatti oggettivi e verificabili;

➢ Giustizia, nelle relazioni interpersonali;

➢ Sincerità, rispetto al mondo soggettivo del vissuto personale.

Anche per Apel, la comunicazione autentica si fondava su tre principi:

➢ Giustizia;

➢ Solidarietà;

➢ Corresponsabilità.

Di fatto, come lo stesso Apel sottolinea, nella tradizione della filosofia trascendentale che da Cartesio – attraverso Kant ed Hegel – si compie in Husserl, il linguaggio e la comunicazione vengono intesi come semplici mezzi per la fissazione e la comunicazione di conoscenze già acquisite dal singolo nella sua indipendente relazione soggetto-oggetto, pertanto anche l’etica si staglia nell’orizzonte della struttura cognitiva dalla quale ne consegue quella valoriale. Pensare invece l’etica oggi, significa approfondire la comprensione della comunicazione e delle sue condizioni di possibilità: senza comunicazione autentica non è possibile l’etica e viceversa, come esito del consenso raggiunto nella discussione.

Fatte queste premesse di stampo filosofico, le stesse hanno ragione di essere qui argomentate in vista dell’importanza della comunicazione efficace, la cui premessa sta nel rapporto autentico dal quale non può prescindere il docente, nella sua funzione di educatore e formatore.

La comunicazione coerente pertanto si realizza, da parte del counselor quanto del docente, quando ci sia coerenza tra la sua componente verbale (i segnali), la componente non verbale e paraverbale, possibile se il professionista/docente assume una posizione dialogica autentica sia rispetto a sé (com’egli è veramente) che rispetto al discente/cliente: solo così è possibile che si instauri una “partecipazione”, quando cioè il cliente avverte che il suo counselor “è” in quella relazione.

Altro punto su cui si intende riflettere, spostando l’asse della riflessione dal un piano concettuale a quello strategico – ma funzionale e coerente in materia di comunicazione – ha a che vedere con un altro concetto, quello di creatività.

Una delle più belle definizioni che ne siano state date è la seguente: “l’inerzia è essenzialmente una proprietà fisica, un correlativo della conservazione, la quale è un carattere riconosciuto proprio, sia del campo della fisica che del campo psichico. Per contro la psiche essendo un fattore di innovazione, è la proprietà anticonservatrice presente in natura”[1]

Nel contesto comunicativo la creatività, utilizza il pensiero laterale dove i passaggi non sono per forza sequenziali, concentrandosi anche su ciò che non è apparentemente rilevante. La genialità di certe intuizioni, l’insight possono essere allenati: per essere creativi bisogna “buttarsi”, mettersi in gioco, non avere paura di sbagliare, sollecitare l’autostima, l’empowerment: lavorare sul potenziale creativo degli alunni diventa un modo attraverso cui far acquisire competenze sulle proprie vite per migliorarne la qualità.

Nello stesso tempo anche per il docente la creatività applicata al contesto scolastico, influisce in maniera ottimale sull’apprendimento.

Articolo di Emanuela Mangione

[1] Anderson H. H., La creatività e le sue prospettive, La Scuola Brescia, 1972, cit. pag. 32.

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