Narcisismo criminale

Fenomenologia della devianza narcisistica emergente

 

La concezione positivistica che propendeva per il carattere naturale del crimine è andata via via trasformandosi, attraverso le teorie del controllo, verso una visione della criminologia che concepiva i fenomeni della devianza mettendoli in relazione al gruppo e al contesto ambientale, alla diseguaglianza sociale, al conflitto sotteso nella società, passando in rassegna anche i crimini che sempre più venivano diffondendosi tra i colletti bianchi.

Per quanto potesse essere prorompente questo passaggio, presentava molti caratteri contigui tra il modello precedente dell’individuo, in quanto calato in una realtà oggettiva e meccanicistica, e quello più avanzato in cui veniva riconosciuto come soggetto influenzabile dalla struttura sociale esistente, dai rapporti di produzione e dalla conflittualità, dal contesto culturale e sociale, dall’impulso a soddisfare nuovi bisogni indotti.

Diciamo che il filo rosso che li collega è rappresentato da un principio di causalità e da un determinismo che ha la pretesa di oggettivare e perciò di rendere concreti e leggibili i fenomeni sociali. La sociologia causale finisce quindi per creare una visione ambientalistica nell’ambito della criminologia.

Con l’apparire però di fenomeni trasversali non più attribuibili solo ai gruppi sociali, si ritorna velocemente a teorie dell’identificazione e a teorie funzionalistiche dell’anomia, ad esempio come perdita della capacità di adesione alla norma a causa di un’iperstimolazione delle aspirazioni, in conflitto con i mezzi reali a disposizione dell’individuo.

Comunicazione ipercomplessa e tecnologie di comunicazione

Con l’avvento della società postmoderna e ipercomplessa le cause non vengono però semplicemente a sovrapporsi per affidarsi ad una mera interpretazione statistica. L’ipercomplessità infatti non è data ora solo dalla sovrabbondanza di informazioni, fattori ambientali, stimoli culturali e differenziazioni degli stili di vita. L’ipercomplessità all’inizio prende vita sicuramente grazie a una presenza eccezionale di comunicazione nel sistema sociale, che genera, oltretutto, rumore e contraddizione attraverso anche una informazione propagandistica e consumistica. L’ipercomplessità vede però successivamente determinare su se stessa un’accelerazione esponenziale che era fino a ora inimmaginabile.

La sensazione che si stessero affermando elementi nuovi in grado di veicolare inedite modalità di controllo e sopraffazione da parte degli enti di potere lo si ha avuto sin dall’alba della società tecnologica, ma non si è tenuto conto dell’accelerazione aggiuntiva che provoca uno stravolgimento delle regole comunicative e dei tempi accelerati di trasmissione. Con l’avvento dell’ipertesto e della enorme quantità di stimoli aggiuntivi, anche immaginativi, avanza il contesto di un ipercomunicazione sistemica la cui velocità di propagazione della messaggistica è pari al tempo reale. Un nuovo linguaggio viene introiettato e quindi si attua la strutturazione di una nuova funzione cerebrale e di una nuova capacità comunicativa. Si rende così nulla la distanza tra emittente e ricevente nella trasmissione dell’informazione, generando perciò un’illusione percettiva di onnipotenza e di pieno controllo sulla dimensione spaziale.

La virtualità conduce l’individuo verso un’estraniazione dalla realtà, lo rende sempre più insensibile nonostante la sua potenziale multidimensionalità. L’unica cosa che gli viene concessa come attore sociale che domina il virtuale, è una vaga e insana eroticità legata all’immagine e all’uso narcisistico della parola. Tutto questo provoca una forte tensione interna, un sentimento che oscilla tra onnipotenza e frustrazione, elevazione e distruzione. Depressione ed eccitazione si alternano continuamente: quando però l’individuo scende in strada si trova ad essere alienato dalla vita reale e pervaso da un profondo senso di solitudine.

Consideriamo come sia avvenuta l’esplosione del linguaggio tecnologico contemporaneo, a breve distanza dalla penultima creazione di nuovo linguaggio, vale a dire della stampa. Se osserviamo i tempi di evoluzione tra l’esplicarsi e il propagarsi di una tecnologia fino al suo sedimentarsi, diventa ben evidente l’aumento esponenziale della velocità di diffusione rispetto alla complessità della tecnologia.

Questi dati ci indicano la possibilità reale che possa avvenire un collasso comunicativo, una saturazione in brevi termini che potrebbe sfociare in una nuova tecnologia.

È probabile che la funzione della nuova tecnologia possa essere affidata infatti alla fisica quantistica e alla biotecnologia; allo studio dell’elettromagnetismo e del punto zero che potrebbero portare a un’estensione di nuove pratiche d’interazione, anche su larga scala.  Un nuovo sistema di comunicazione con un linguaggio e un’elaborazione dell’informazione che associa causalità a probabilità, grazie alle proprietà della fisica quantistica stessa. Siamo sullo spartiacque di un improvviso mutamento culturale e biologico, e quindi socioantropologico.

(vedi entanglement, dipendenza dello stato quantico di due oggetti che si posizionano in base allo spin alternato e perciò antinomico, e che sono in grado di comunicare anche una volta separati.)

Teoria sociologica e i nuovi crimini camuffati delle relazioni affettive

Ormai l’approccio delle teorie del controllo con la loro presunzione di poter individuare le leggi sistemiche della devianza e che profeticamente avrebbero portato a un successo sempre maggiore per quanto riguarda la capacità di delimitare, arginare e curare gli aspetti patologici delle relazioni sembra solo un’altra illusione pseudo scientifica. Sul lato della pena commisurata abbiamo di certo ottenuto vantaggi in termini umani e culturali e, in effetti, ciò è avvenuto attraverso la realizzazione di progetti che hanno favorito la riabilitazione dell’individuo; cercando di farlo uscire dalla sua condizione di emarginazione e sub cultura, cercando sempre più spesso di applicare ai suoi reati una pena connatura di socialità e creatività.

Con l’affermarsi dei media e social nella società dei consumi assistiamo al manifestarsi di nuovi fenomeni della devianza, rispetto a cui l’ambiente, le relazioni e il contesto sociale in genere non sono più sufficienti a spiegarne i fenomeni e la loro profusione, come possono essere la propagazione della violenza, i femminicidi, la pedofilia informatica o le pratiche orgiastiche e sacrificali, la pornografia virtuale, per fare degli esempi. Fenomeni così estesi e protrudenti che ci pungolano continuamente con la loro domanda intrinseca sul perché si vada affermando sempre più la modalità di sopraffazione nelle relazioni.

L’interpretazione della nuova devianza legata alla società dei mass media e dei social network e alla loro diffusione di modelli esibizionistici, attraverso anche modalità di persuasione occulta, individua la creazione di un nuovo soggetto, idealtipicamente parlando, sempre più isolato ed eterodiretto, capace di mantenere diverse relazioni virtuali, ma solo apparentemente affettive, un soggetto psicologicamente ed emotivamente carente della capacità di entrare profondamente in relazione. Infatti se la struttura comunicativa di un sistema sociale è pervasa da caratteri e valori edonistici, utilitaristici, individualisti, sessisti, xenofobi, se il carattere dominante è quello consumistico e narcisistico, allora ne risulteranno inevitabilmente individui privi di personalità originarie, svuotati del proprio carattere interpretativo identitario, guidati da un’istintività atavica e da un erotismo, dell’immagine e della parola, perverso e sfuggevole. Una comunicazione istintiva, emotiva, superficiale e sempre meno in grado di rivelare presenza di empatia.

Considerando che durante il fascismo e la seconda guerra mondiale si è verificato sicuramente un trauma collettivo, determinato dall’inasprimento dell’aspetto repressivo e da un degrado delle condizioni di vita, si può ipotizzare che una grandissima quantità di bambini dai quattro ai sei anni si sia trovata a vivere queste condizioni miserabili. Si può immaginare che le madri abbiano avuto, in quelle condizioni, difficoltà ad accudire in modo amorevole i propri figli come invece avrebbero voluto, e anche negli anni del boom economico si può immaginare che un certo numero di bambini lasciati in cura a terzi anche solo per motivi di lavoro abbia prodotto una grandissima quantità di individui che hanno presentato, successivamente, ferite narcisistiche di rilievo. Questi avranno avuto a loro volta figli con tratti simili. Sappiamo che aleggiava già lo spettro della psicopatologia nella comunicazione sociale, cioè di una forma degenerata degli aspetti psicologici intrinseci alle relazioni sociali, in grado di produrre una gamma di reati singolarmente classificabili in base al loro scopo evidente, ma difficilmente individuabili perché compiuti da soggetti formalmente inseriti nel contesto sociale e apparentemente rispettosi delle norme comunicative e comportamentali vigenti.

La società dei like, ma ancor prima quella della televisione, ha finito per generare una società piena di contraddizioni, in cui albergano nuovi e antichi retaggi, e individui dal comportamento verbale aggressivo ed esteriormente affascinante e camaleontico, ma in realtà anche molto rigido per quanto riguarda l’attaccamento a ogni singola specifica informazione o teoria da lui adottata. È un individuo apparentemente progredito, apparentemente più libero perché molto disinibito, ma che in realtà vive una costrizione continua: quella della gara per la propria affermazione attraverso la vanità, la retorica, il possesso, verso un nemico immaginario con cui competere, senza prendersi cura di quello reale che lo ha reso socialmente così autoreferenziale ed eterodiretto. Nell’epoca della globalizzazione e dell’incertezza, il piacere, in tutte le sue forme, è divenuto lo scopo primario e perciò di questo piacere fa parte anche il tipo di gratificazione generata dal fatto di sentirsi dei “numeri uno” in tutto.

Tutti i fattori storici e sociali hanno contribuito a creare un individuo il cui modello estremizzato e qui delineato, presenta inquietanti tratti narcisistici, ed è, in quanto a cultura e sapere, spesso anche molto performativo, adattato alle modalità comunicative di un sistema tecnologico avanzato e alla sua multi informazione, ma a cui sottende un soggetto castrato empaticamente, poiché rimasto intrappolato, nel miraggio infantile del suo sé grandioso. È un soggetto vincente, in grado di calcolare con incredibile velocità i suoi vantaggi in ogni occasione che gli si presenta. Le modalità egoistiche e autoreferenziali di questo individuo sono in grado di propagarsi attraverso la socializzazione superficiale trainata dai mass media e dai social, caratterizzando la propria comunicazione con velocità, superficialità e arrivismo.

Scandagliando le diverse testimonianze sui forum e sui social in generale si può avere un’idea di quante vittime incorrano ogni giorno in una situazione di abuso narcisistico. Vi sono spesso vittime di famiglia, con la presenza di partner genitori o fratelli narcisisti. Abbiamo persino narcisi da attacco che agiscono solo virtualmente, procurando ugualmente sofferenza e umiliazione nella vittima.

Il panorama è in continua evoluzione poiché questa situazione di disagio ha procurato una diffidenza diffusa e una sindrome collettiva la cui risposta immediata è quella di un’autodifesa che nei migliori dei casi punta alla riacquisizione di una propria autonomia fino a quella più istintiva del mettere in campo comportamenti a specchio capace di generare una sotto forma di narcisisti a switch. Il risultato è un campo di battaglia dove le relazioni affettive diventano invece occasioni per lo sfruttamento psicofisico e sessuale allo scopo di ottenere il predominio in termini di potere e controllo, dove il soggetto più debole è portato all’assoggettamento e arrivando a concepire come normale il rapporto ossessivo e l’amore possessivo.

In termini di relazioni amicali, sociali e parentali, il rapporto di assoggettamento avviene con motivazioni psicologiche e con dinamiche sviluppate nel tempo, e quindi consolidate in forme socialmente accettabili perché comunque contenute sempre all’interno di situazioni intime che non comportano separazioni legali e affidi di figli, e considerate perciò non disturbanti lo status quo sociale. In questi casi fare emergere il reato è ancora più difficile, poiché ogni contrasto è facilmente interpretato dalle autorità come semplice diatriba familiare.

Solo un’attenta lettura e monitoraggio del proliferare dei crimini legati all’abuso narcisistico, che vanno dalla semplice violenza psicologica, verbale e comportamentale, per passare al raggiro e allo sfruttamento economico, fino a giungere alla violenza fisica vera e propria potranno essere raccolti e classificati, all’interno di una lettura psicologica del profilo del narcisista, e potrà aiutare la magistratura a commisurare la giusta pena tenendo conto anche che questa non avrà mai lo stesso impatto che avremmo nel caso fosse impartita su un soggetto empaticamente sano. Se la pena genericamente ha lo scopo di ottenere il pentimento ora si dovrà tenere conto del fatto che il narcisista psicopatico non si pentirà mai dei suoi reati. Il narcisista però può apprendere bene le regole e se il rispetto di queste, e se l’apprenderle gli può determinare un vantaggio, potrebbe invece scegliere la legalità e il comportamento rispettoso. Forse il passo successivo sarà quello di creare un modello educativo appropriato a regolare il bisogno narcisistico di sopraffare l’altro, accanto a una ri-mappatura della mente attraverso l’ipnosi e la terapia verbale, di cui solo ora riusciamo a vederne la vera potenzialità. Ricercatori russi come Grazina Fosar e franz Bludorf sostengono infatti che via sia la possibilità di riprogrammare il DNA sfruttando il fatto che il codice genetico servirebbe proprio per lo scambio di dati e lo stesso DNA fornirebbe il linguaggio utile all’inconscio per elaborarli.

In “Psicoanalisi dell’amore – Necrofili e biofilia”, Fromm, nell’individuare gli aspetti distruttivi dell’orientamento umano mette in rilievo tre fenomeni: amore per la morte, narcisismo maligno, fissazione incestuosa simbiotica, tutti convergenti per formare quella che l’autore chiama la “sindrome di decadimento” come quintessenza del male alla radice della distruttività umana, di fianco alle forme di violenza (ad esempio la reattiva e la compensativa) che invece comunque esprimerebbero ancora una propensione alla vita.

Già nel 1964 perciò l’autore arriva a individuare un motore narcisistico sano (grado biologicamente necessario alla vita e compatibile con la cooperazione sociale) alla base della sopravvivenza, ed uno patologico, individuale – e di gruppo- in cui vige una mancanza di obiettività e di giudizio razionale. Un narcisismo malato in cui prende il sopravvento uno stato di paranoia e di solitudine che lo rendono pauroso di fronte al mondo; mondo che egli stesso rappresenta, e che, se minacciato, sfocia in rabbia o in depressione con conseguente aumento del narcisismo protettivo, fino ad arrivare alla psicosi. Ora, a distanza di oltre cinquant’anni, questo fenomeno è sicuramente modificato e amplificato dalle condizioni dettate dalla postmodernità dirompente.

Articolo di Giliola Rubaldi

 

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