paul ekman comunicazione non verbale igor vitale teorie critiche

Le forti critiche alla teoria di Ekman (e la sua personale risposta)

Articolo di Katsiaryna Valko

Le fondamentali critiche metodologiche e concettuali alle prime ricerche di Ekman

Tuttavia, gli studi di Ekman, ancora agli inizi del nuovo secolo non sono completamente accettati da quegli psicologi interessati ai problemi del linguaggio, inoltre anche alcuni antropologi esprimono delle riserve sui risultati ottenuti da Ekman. Principalmente, alcuni psicologi criticano il fatto che Ekman abbia attribuito un carattere di universalità delle espressioni legate alle emozioni, allo stesso modo degli studi condotti  nelle culture alfabetizzate. Inoltre essi sostengono la difficoltà di trovare le traduzioni esatte ai nomi delle emozioni.

Un altro giudizio negativo ha riguardato le ricerche effettuate in Nuova Guinea: si è sostenuto che non si erano usate semplici parole ma storie che si riferivano ad un contesto sociale[1]. Alle contestazioni degli psicologi  Ekman risponde sostenendo che, se in effetti le emozioni trovano la propria rappresentazione nel linguaggio, che è determinato dalla cultura e non dell’evoluzione, tuttavia la maggioranza dei componenti di venti culture alfabetizzate, senza distinzione tra Occidente e Oriente, ha concordato a quale emozione corrispondesse una certa espressione. Inoltre, le difficoltà nella traduzione non hanno comportato variazioni nell’attribuzione di emozioni alle espressioni facciali in culture diverse.

Per quanto riguarda le obiezioni di A.Wierzbicka, Ekman risponde contestando il suo presupposto per cui le emozioni sono parole; esse sono soltanto le rappresentazioni di queste. Infatti, l’emozione è un modo automatico di valutare una situazione ed è legata, sia alle nostre esperienze vissute, che al nostro passato evolutivo ed appare quando sentiamo il verificarsi di accadimenti rilevanti per il nostro equilibrio psico-fisico.

Per cui dobbiamo ritenere che le reazioni emotive assolvano alla funzione di affrontare una certa situazione, mentre le parole rappresentano una modalità di gestione delle emozioni e quindi ne deriva la loro irriducibilità alla parola.

 

2.4. Le critiche contemporanee alla teoria di Ekman: il punto di vista di Lisa Feldman Barrett

Attualmente, gli scienziati continuano a discutere riguardo al significato delle espressioni facciali in ogni parte del mondo. Una delle studiose che si è opposta alla teoria dell’universalità di tali espressioni è Lisa Feldman Barrett la quale in numerosi studi ha trattato questo argomento cercando di dimostrare le proprie teorie. Tra questi va segnalato l’articolo “Are Emotions Natural Kinds?” [2] dove confuta l’opinione di quegli studiosi che credono di conoscere la paura, la rabbia e la tristezza nel momento in cui appaiono. Essi presumono che tali emozioni e poche altre abbiano un meccanismo causale determinato nel cervello e caratteristiche osservabili nella voce, sul viso, nel corpo; in sostanza si sostiene siano naturali. L’autrice evidenzia i dati empirici accumulati ricavando che vi sia un’incoerenza con l’idea che: “there are kinds of emotion with boundaries that are carved in nature[3].” Secondo la sua opinione per arrivare ad una comprensione scientifica delle emozioni bisogna andare oltre una visione di tipo naturalistico.

Le sue ricerche sono giunte alla seguente conclusione: ogni individuo struttura le proprie emozioni in maniera soggettiva facendo ricorso alle sensazioni interiori, reagendo all’ ambiente che ci circonda, al nostro vissuto e all’apprendimento proiettato ad uno sviluppo evolutivo ed infine alle nostre culture. Nella fase iniziale dei suoi studi si è chiesta se le emozioni fossero naturali e, come abbiamo già detto, la risposta è stata negativa in quanto si è riscontrato nei dati raccolti negli studi di altri autori un’incoerenza che condurrebbe a ritenere insostenibile la naturalità delle emozioni.

Successivamente, Barrett ha formulato una teoria alternativa finalizzata a chiarire l’esperienza e la percezione delle emozioni[4]. Il suo interesse si è focalizzato sulla soluzione del cosiddetto “paradosso emotivo” spiegando che nella vita quotidiana gli individui hanno intense esperienze emotive come “rabbia”, “tristezza” e “felicità” che riferiscono di vedere negli altri e quindi di provare loro stessi.

Comunque sotto il profilo psicofisiologico non si è riusciti a dimostrare con prove certe l’esistenza di tali categorie dell’esperienza[5]. Invece, l’evidenza empirica induce a ritenere che le emozioni siano costruite da una molteplicità di reti cerebrali che lavorano insieme[6]. L’autrice dissente da gran parte delle altre teorie sulle emozioni che si basano sul fatto che esse siano geneticamente determinate e non apprese, quindi prodotte da circuiti specializzati nel cervello per cui ne abbiamo uno per la rabbia, uno per la paura e così via. Al contrario, la Barrett ritiene che queste emozioni non sono biologicamente determinate (“emozioni di base”[7]), ma si tratta di fenomeni che si manifestano nella coscienza “nel momento” e sono derivati da elementi più basilari.

Più dettagliatamente, le istanze emotive sono costruite in tutto il cervello da molte reti cerebrali in collaborazione. La costruzione delle emozioni che coinvolgono, come si è già detto, varie reti cerebrali contemporaneamente,  implicano l’ enterocezione con cui percepiamo informazioni sullo stato del corpo (come per esempio il dolore e la fame) e che producono in seguito le emozioni di base che sono espressioni di calma, di eccitazione, di piacere e dispiacere. Oltre all’enterocezione vanno considerati i concetti e la realtà sociale. Quest’ultima, che comprende il comune accordo in una determinata collettività ed il linguaggio, fa sì che sia possibile percepire le emozioni tra i membri che condividono una stessa cultura. Per quanto riguarda i concetti, la Barrett sostiene che siano rappresentati da una conoscenza che dipende dalla cultura e vi vanno compresi anche i concetti di emozione.

Questa teoria costruzionista dell’emozione prevede che in un determinato momento il cervello anticipi e classifichi il presente istante tramite i concetti emotivi della propria cultura e le predizioni enterocettive per costruire una richiesta di emozioni.

Questo processo crea l’esperienza di “avere un’emozione”. Ad esempio, se il cervello di un soggetto anticipa la presenza di un serpente e il conseguente effetto spiacevole della possibilità di un incontro con questo animale, quel cervello potrebbe classificare e costruire un’esperienza di “paura”. Questo processo accade prima che qualsiasi reale input sensoriale di un serpente raggiunga la consapevolezza cosciente; mentre uno studioso di “emozioni di base” sosterrebbe che il soggetto prima vede il serpente e quindi questo impulso sensoriale innesca uno specifico “circuito della paura” nel cervello.

Un’ulteriore tentativo di confutazione delle ricerche di Ekman è stato quello di riprodurre la sua ricerca in una cultura isolata, ma non fornendo nessuna delle storie contestuali e parole speciali utilizzate da Ekman con i partecipanti ai suoi esperimenti, queste modifiche avevano lo scopo di soddisfare i propri parametri. Secondo Barrett si poteva dimostrare in questo modo che le percezioni delle emozioni dipendono da concetti riferiti a determinati contesti culturali e quindi non possono essere universali.

In uno studio a più voci, tra cui la Barrett[8], è stato provato che negli esperimenti sono stati incorporati percezioni occidentali, come ad esempio il corrugamento della fronte che evidenzia rabbia, dipendenti dai concetti di emozioni tipici degli Stati Uniti. Poiché tali segnali sono caratteristici dei metodi usati negli esperimenti interculturali, si è ipotizzato che sia derivato da tale contesto concettuale la prova dell’universalità delle emozioni. Nello studio a cui hanno partecipato gli statunitensi e il gruppo etnico Himba, sono state classificate immagini di espressioni facciali raggruppate per tipo di emozione. Gli Himba non hanno riprodotto il presunto schema universale in quanto non avevano alcun suggerimento per rappresentare il concetto di emozione; gli americani, al contrario, hanno prodotto uno schema che rispecchiava caratteristiche universali. In linea con la tesi di Ekman, gli Himba hanno posto le foto di alcune espressioni facciali in pila: in una sono stati messi i volti sorridenti, in un’altra quelli paurosi caratterizzati dagli occhi spalancati, infine i volti neutri senza particolari espressioni delle emozioni in una terza.

Smorfie che denotano il disgusto, volti arrabbiati e volti tristi sono stati mescolati nelle altre tre pile poiché gli Himba  non riconoscevano le differenze tra questi tre tipi di espressioni che sono facilmente riconoscibili per gli occidentali. La conclusione di Barrett è stata che in presenza di suggerimenti di concetti di emozione, entrambe le culture hanno prodotto un ordine che era più vicino al presunto modello universale, benché fossero presenti sostanziali varianti culturali.

 

2.5 Le risposte di Ekman alla critica dell’universalità delle emozioni

Caroll Izard ha scritto un articolo pubblicato nel 2010 sul significato delle emozioni[9] con lo scopo di proporre alle persone interessate a questo campo di studi gli aspetti e i molteplici significati che gli scienziati attribuiscono al concetto di “emozione”. E’ chiaro che questo è necessario in quanto non c’è un consenso su una unica definizione della parola “emozione” come suggerivano i dati raccolti per cui appare improbabile la possibilità di avere un concetto unitario e condiviso tra gli studiosi[10]. Per raggiungere il suo scopo, Izard ha intervistato 34 ricercatori in questo campo dando conto delle loro definizioni di emozioni. Basandosi su parte di questo materiale ha elaborato una descrizione di “emozione” che comprendesse aspetti su cui vi era una maggiore convergenza tra gli studiosi. Si concordava sul fatto che l’emozione consiste in circuiti neurali (che sono parzialmente specializzati), sistemi di risposta ad uno stato / processo sentimentale che motivano e organizzano la cognizione e l’azione.

L’emozione fornisce anche informazioni alla persona che la sta provando e può includere valutazioni cognitive antecedenti e un’interpretazione sia del suo stato emotivo che delle espressioni o segnali socio-comunicativi; inoltre può motivare l’approccio o il comportamento da evitare, controllare e regolare le risposte e anche la natura sociale o relazionale. Izard dice poi che gli scienziati concordano di più su ciò che l’emozione fa rispetto a ciò che è.

Ekman risponde all’obiezione della Barrett per cui Darwin non ha mai sostenuto in “The Expression of Emotions in Man and Animals”[11](1872) l’universalità di tutte le espressioni facciali, ma solo quell’ insieme specifico di espressioni che aveva osservato e studiato. Per confutare questa critica Ekman, presenta nuovamente gli studi condotti con Izard in cui si dimostra un forte accordo interculturale nel momento in cui si attribuisce un’etichetta alle espressioni per quanto riguarda sia le culture alfabetizzate che a quelle non alfabetizzate, occidentali e non occidentali.

C’è una differenza tra espressioni facciali non selezionate e quelle scelte in maniera teorica. Ekman afferma che Barrett ha ragione a chiedersi se individui appartenenti a culture completamente diverse danno interpretazioni simili delle espressioni facciali se gli è permesso di descrivere le espressioni con i propri termini, piuttosto che sceglierle da una lista di termini emotivi. Per confermare la sua ipotesi Ekman cita lo studio[12] condotto da Haidt e Keltner che confrontava le risposte libere rispetto alla serie di espressioni Darwin-Tomkins. Tale studio fu effettuato con statunitensi e persone originarie delle campagne indiane. L’universalità delle emozioni fu confermata e inoltre fu rilevata una chiara evidenza per cui anche l’espressione di imbarazzo aveva il carattere di universalità.

Un’ulteriore aspetto che Ekman sottolinea in relazione alle sue ricerche è il fatto che in alcuni casi non è stato chiesto alla persona di scegliere tra una serie di foto pre-selezionate, bensi è stato chiesto di guardare dei video. L’interesse dei ricercatori era quello di analizzare le espressioni facciali spontanee dei partecipanti; e anche in questi studi emergeva concordanza nelle risposte riguardanti le emozioni facciali. Tutto ciò per Ekman significava una prova decisiva dell’universalità di alcune emozioni e delle loro espressioni facciali correlate; quindi, anche un metodo diverso da quello della scelta  di foto pre-selezionate  confermava i risultati precedentemente rilevati.

Per quanto riguarda la conferma dell’ipotesi darwiniana dell’universalità delle espressioni facciali, Ekman ha dimostrato che anche i ciechi dalla nascita esprimono espressioni facciali simili a quelle delle persone vedenti, ciò è valido soprattutto per le espressioni facciali spontanee.

Vari studiosi compreso Ekman hanno tentano di dare una definizione concettuale di emozioni[13], si è arrivati così a descrivere le emozioni come risposte discrete e automatiche a situazioni universalmente condivise e specifiche della cultura e dell’individuo. I termini emotivi come rabbia, paura etc., denotano una famiglia di stati correlati che condividono almeno 12 caratteristiche, che distinguono una famiglia di emozioni da un’altra, così come da altri stati affettivi. Tali risposte di tipo affettivo non sono volontarie e nemmeno preprogrammate, ma sono comunque modellate dalle esperienze di vita. I ricercatori hanno discusso sui modelli teorici delle emozioni di base[14] fondati su alcuni ipotesi: la prima  è quella per cui un modello teorico dovrebbe favorire la comprensione di entità psicologiche sconosciute che possono rientrare tra le emozioni di base. In secondo luogo, il modello consentirebbe agli studiosi di acquisire informazioni utili, per esempio riguardo ai  distinti marcatori neurobiologici di quell’emozione. Infine, offre il modo di procedere nello studio di inediti stati emotivi.

Con questi presupposti, i ricercatori hanno affrontato quattro modelli proposti da diversi autori in questo settore:

1) Innanzitutto si sono chiesti Che cos’è un’emozione di base? Tutti e quattro gli autori presi in considerazione si trovano d’accordo sul fatto che un’emozione di base dovrebbe avere un insieme determinato di componenti corporee e neurali. Essi concordano anche sul fatto che le emozioni di base siano psicologicamente primitive: ciò significa che esse devono originarsi in strutture cerebrali subcorticali; ne consegue che esse si verificano con una regolazione cognitiva o comportamentale minima durante lo sviluppo iniziale. Inoltre, gli autori concordano sul fatto che si debbano considerare alcuni indicatori nel caso si voglia qualificare come emozione di base uno stato emotivo particolare.

Tra questi indicatori il primo è la presenza di neuroni specializzati nell’attivazione dell’emozione, il secondo è la generalizzazione tra specie diverse di un’emozione. Se risulta che una certa emozione è riscontrabile solo nell’uomo, in questo caso dovremmo chiarire quanto gli aspetti sociali e ambientali caratteristici del genere umano, hanno determinato lo sviluppo di un nuovo gruppo di strutture neurologiche.

Benché Izard, Levenson, Panksepp e Watt abbiano opinioni diverse essi concordano sul fatto che le emozioni di base sono fondamentali nello sviluppo iniziale ma alla fine si sviluppano negli stati emotivi più complessi che sono il risultato dell’apprendimento e della riflessione cognitiva. Cioè quello che viene regolarmente vissuto dagli adulti; gli studiosi suddetti sono dell’opinione che le  emozioni più primitive e fondamentali sono vissute raramente in “forma grezza” nella vita adulta. Al contrario Ekman e Cordaro ritengono che le esperienze emotive che paiono richiedere l’apprendimento culturale, come lo schadenfreude (gioia), possono essere considerate “di base”.

  1. Qual è la funzione di un’emozione di base? Un altro argomento su cui gli autori concordano è che le emozioni di base, almeno nelle prime fasi dello sviluppo, devono avere un potere causale che agisca sulla motivazione e sul comportamento. In tutti i casi, questo argomento si basa su principi evolutivi cioè le emozioni di base si sono evolute in funzione delle richieste poste dalle sfide sociali e ambientali.

Ekman e Cordaro sostengono che gli effetti causali aumentano la possibilità di comportamenti congruenti con le emozioni, mentre queste sono regolate dalle capacità cognitive sociali di livello superiore sviluppati dagli individui.

Panksepp e Watt ritengono che l’output (la produzione) di un circuito neurologico emozionale di base si fonda sulla forza dell’attivazione, ma solo dopo elaborate interazioni con un processo cognitivo di livello superiore, emergono le conseguenze affettive e comportamentali. I ricercatori suggeriscono che alcune situazioni estreme come il pericolo o la sofferenza siano in grado di attivare zone del cervello capaci di produrre dei comportamenti sovrastando la cognizione di livello superiore.

3.Come possiamo distinguere le emozioni di base? Gli autori concordano anche su Come possiamo distinguere le emozioni di base. Infatti esse sono definite da appositi circuiti neuronali e da agenti farmacologici con funzione di inibizione o stimolazione di determinate emozioni. Gli autori ritengono che l’argomento decisivo per esistenza di un’emozione di base è la presenza di un circuito neurale  specifico per una certa emozione.

4.Quali sono i prerequisiti cognitivi delle emozioni di base? C’è concordanza nel ritenere le emozioni di base siano prodotte da una sorta di programma di affetti di base. Ekman sostiene che tale ipotesi risponda a una logica evolutiva: infatti ci deve essere almeno un programma di affetti minimo che sia stabile e legato all’attività del cervello, affinché tali sistemi complessi e disparati vengano innescati in modo coesivo, e simile in individui e culture diverse.

Tuttavia, è comunemente accettato che al repertorio emotivo umano possano essere aggiunti nuovi stimoli e che quindi ne consegue che possano essere apportate modifiche al output del programma. Come per gli input, gli autori concordano sul fatto che nuove risposte emotive possono essere aggiunte al repertorio centrale dell’output comportamentale, ma il modo in cui questo si verifichi precisamente resta un argomento importante per la ricerca futura. In breve, anche se c’è accordo sul fatto che l’output dei programmi emotivi possa essere modificato, non è ancora chiaro se ciò avvenga in gran parte attraverso una riflessione cognitiva di ordine superiore, o se si possano sviluppare nuovi circuiti di base ai livelli cognitivi inferiori.

[1] Wierzbicka, A., (1999), Emotions across languages and cultures: diversity and universals, Cambridge university press, Paris.

[2] Barrett, L.F., (2006), Are Emotions Natural Kinds?, Perspectives on Psychological Science, Vol 1, Issue 1, pp. 28 – 58.

[3] ibid. p. 28.

[4] Barrett, L. F., (2016), The theory of constructed emotion: An active inference account of interoception and categorization,  Social Cognitive and Affective Neuroscience, pp. 20–46.

[5] Barrett, L. F., Lindquist, K., Bliss-Moreau, E., Duncan, S., Gendron, M., Mize, J., & Brennan, L. (in press). Of mice and men: Natural kinds of emotion in the mammalian brain? Perspectives on Psychological Science.

[6] Barrett, L. F. (2006), Emotions as natural kinds?, Perspectives on Psychological Science. 1, pp. 28–58.

Barrett, L. F., Wager, T., (2006), The structure of emotion: Evidence from the neuroimaging of emotion, Current Directions in Psychological Science. 15, pp. 79–85.

[7] Ekman, P., (1972), Universals and cultural differences in facial expressions of emotions, in Gole. J (a cura di), Nebraska Symposium on Motivation, University of Nebraska Press, Lincoln, pp. 207-283.

[8]Gendron, M., Roberson, D., van der Vyver, J. M., & Barrett, L. F. (2014), Perceptions of Emotion from Facial Expressions are Not Culturally Universal: Evidence from a Remote Culture. Emotion ,Washington, 14(2), 251–262.

[9] Izard, C. E., (2010), The Many Meanings/Aspects of Emotion: Definitions, Functions, Activation, and Regulation, Emotion Review, Vol 2, Issue 4, pp. 363 – 370.

[10] Izard, C. E. (1971), The face of emotion, Appleton- Century- Crofts, New York.

[11] Darwin, C., (2006), The expression of the emotions in man and animals, Barnes Noble, New York.

[12] Haidt, J., Keltner, D., (1999), Culture and Facial Expression: Open-ended Methods Find More Expressions and a Gradient of Recognition,  Cognition and Emotion  13 (3), pp. 225-266.

[13] Ekman, P., Cordaro, D., (2011), What is Meant by Calling Emotions Basic, Emotion Review, Vol 3, Issue 4, pp. 364 -370.

[14] Tracy, J. L., Randles D., (2011), Four Models of Basic Emotions: A Review of Ekman and Cordaro, Izard, Levenson, and Panksepp and Watt, Emotion Review Vol. 3, No. 4, pp. 397–405.

Corso Comunicazione Non Verbale

 

Scrivi a Igor Vitale