Come si fa l’autopsia psicologica (significato e protocolli di intervento)

Articolo di Anna Paola Onorati

La scomparsa di una persona significa affrontare un incubo; lascia un vuoto che innesca un processo di lutto che è analogo a quello che affrontano i cari di una persona defunta.

In questo caso però, terminate le ricerche e archiviate le indagini, inizia la routine che ogni famiglia deve affrontare per colmare quel vuoto lasciato dalla persona scomparsa e che prosegue per anni, a volte decenni.

In alcuni casi però, anzi molto spesso, dietro ai casi di scomparsa si può nascondere altro, come ad esempio una morte violenta.

Infatti “la scomparsa deve essere contestualizzata da parte degli operatori istituzionali e tanto più il profilo dello scomparso appare chiaro, tanto più si riuscirà a dettagliarne gli ambiti di riferimento, trovando una risposta al perché una persona abbia potuto allontanarsi dalla propria famiglia e dalla propria comunità” (Rel. XIV, 2015,6).

Appare indispensabile dunque individuare quali siano i fattori vittimogeni correlati a variabili socio-culturali ed ambientali necessari alla creazione di una sorta di “scheda di profiling vittimologico atta ad indicare fattori specifici e non (possibili e probabili) della causa di scomparsa” (Rel. XIV, 2015,13).

L’attenzione viene dunque posta sulla vittima, sulle sue condizioni di vita, sulle sue relazioni interpersonali.

Una delle principali criticità in tema di investigazione retrospettiva è la mancanza di procedure standard, superabile se venisse sviluppato un protocollo operativo uniforme (Marvelli, 2015).

Uno strumento metodologico di supporto importante è l’Autopsia Psicologica. Nonostante questo metodo nasca inizialmente come nuova tecnica ad ausilio agli investigatori, permette altresì di valutare il ruolo svolto da tutta una serie di variabili nella genesi dell’evento criminoso.

È insomma una sorta di perizia post-mortem utilizzata soprattutto nei casi di morte equivoca.

Si ricorre all’autopsia psicologica soprattutto nei casi di morte sospetta, omicidio e suicidio ma negli ultimi anni questo approccio investigativo è stato applicato anche nei casi di persone “scomparse”.

Come precisano Bonicatto e colleghi “uno studio minuzioso dei fatti antecedenti, lo studio dei comportamenti e delle azioni precedenti del soggetto, lo scoprire le condizioni uniche e speciali che hanno determinato l’accaduto, consentirà agli investigatori di chiarire e dare una spiegazione fondata della genesi, del movente e della dinamica dell’evento” (Bonicatto, Pèrez, & Lòpez, 2006).

L’autopsia psicologica, in sostanza, consiste in una raccolta di testimonianze della storia clinica, relazionale e affettiva, dai rapporti familiari a quelli professionali in merito agli eventi accorsi prima del decesso (o scomparsa) della vittima.

Lo scopo è ricostruire lo stato mentale della “vittima” attraverso l’acquisizione di informazioni sulla stessa attraverso interviste a parenti, conoscenti, a tutti coloro che sono utili a ricostruire quanto è accaduto.

I primi studiosi a parlare di autopsia psicologica furono Shneidman e Farberow, psicologi americani, che con questa definizione facevano riferimento ad “una ricostruzione retroattiva della vita di una persona capace di individuare aspetti che ne rivelino le intenzioni rispetto alla propria morte, fornire indizi sul tipo di decesso, sul livello (se vi è stato) di partecipazione alle dinamiche del decesso e spiegare i motivi per cui la morte è avvenuta in quel dato momento” (Shneidman & Farberow, 1961).

Successivamente, Shneidman capì che era necessario creare una lista in grado di standardizzare il metodo, formulò così un’intervista costituita da 16 categorie riguardanti aree fondamentali di vita della vittima, quali informazioni di identità (nome, indirizzo, sesso, stato coniugale), dettagli della morte, storia personale, storia dei decessi in famiglia etc. che ponevano maggiore attenzione all’indagine psicologica della vittima, evitando il rischio di censura di un’area specifica (Shneidman, 1976).

In seguito, Gaetano De Leo, padre della psicologia giuridica moderna, fornì una guida completa basata su 24 criteri vittimologici che “permettono di reperire ulteriori informazioni sulla vittima ed approfondire l’area relativi ai rischi ed ai possibili modelli interpersonali della vittima, per far emergere indizi sulle caratteristiche del reo (Volpini, 2012).

Durante l’intero processo lavorativo di un’autopsia psicologica, occorre tener presenti questi criteri (De Leo & Patrizi, 2006):

  • Anamnesi storica della vittima (nome, età, stato civile, occupazione, anamnesi medica e familiare).
  • Anamnesi familiare (membri, qualità delle relazioni, conflitti, status, malattie, decessi e cause relative, etc).
  • Anamnesi psicologica e psicopatologica (problemi e diagnosi, tono dell’umore, psicoterapia, etc).
  • Dati sulla morte (ad esempio il referto medico-legale).
  • Abitudini e idiosincrasie relazionali e interpersonali (abituali ed eccezionali).
  • Modalità tipiche nelle separazioni di coppia (livelli di conflittualità e violenza).
  • Tipologia dei mezzi di trasporto utilizzati e frequenza.
  • Tipologia di persone frequentate con maggior frequenza.
  • Tipologia di rapporti particolari che eccezionalmente si concedeva.
  • Particolari orientamenti dell’esperienza sessuale.
  • Eventuali forme e qualità di dipendenza (droghe, gioco, sovra-indebitamento).
  • Eventuali esperienze di attività illecite (agite o subite, es. usura).
  • Eventuale propensione al “rischio relazionale” o alle sperimentazioni di nuove forme di rapporto.
  • Fasi esistenziali e relazionali di transizione (cambiamenti avvenuti nella vita
    affettiva e relazionale).
  • Vulnerabilità tipiche riscontrabili nella storia della vittima (affettive, economiche,
    finanziarie e lavorative).
  • Tipologia di rapporti e di soggetti presenti in questa fase di vulnerabilità.
  • Tipologia di luoghi frequentati più comunemente (bar, discoteche, altro).
  • Tipologia di hobbies alla quale si dedicava.
  • Eventuali propensioni e qualità di partecipazione alla vita politica.
  • Adesione a gruppi ad orientamento religioso, filosofia e benessere personale.
  • Eventuali attività di volontariato.
  • Eventi significativi nell’ultimo anno (cambiamenti lavorativi, affettivi, viaggi).
  • Eventuali preferenze di siti internet visitati o di adesioni a particolari siti dedicati (amore, amicizia, sessualità, lavoro).
  • Falsificazioni delle ipotesi più evidenti da incrociare con i dati delle indagini scientifiche.

In Italia e in Europa però l’applicazione dell’autopsia psicologica è ridotta, poiché non le viene riconosciuto l’importante contributo nell’investigazione; inoltre, l’assenza di un protocollo standardizzato ha esposto questo metodo a numerose critiche.

In risposta a tale critiche, un gruppo di ricerca cubano ha creato un modello di autopsia psicologica integrato denominato MAPI: un’intervista strutturata e sistematizzata costituita da 59 item da compilare.

Questo Modello di Autopsia Psicologica Integrato si differenzia dai modelli usati in precedenza; è del tutto strutturato e sistematizzato in modo che il margine di errore venga ridotto al minimo (Volpini, 2012).

Tutti coloro che applicano questo protocollo sono tenuti a realizzarlo nello stesso modo, dovendosi attenere alle istruzioni di un manuale, che garantisce una certa corrispondenza tra le interpretazioni e rende verificabile e riproducibile da terze persone il risultato della ricerca.

L’applicazione del MAPI si è esteso anche ad altri paesi latinoamericani e già dalla fine del 1994 è stato impiegato con successo nella soluzione dei casi di morte dubbia e/o equivoca.

Nel caso di persone scomparse, tale metodo richiede un “aggiustamento” dello strumento originario poiché si auspica il ritrovamento dello scomparso.

Infatti, come riportato dal Ministero dell’Interno “l’applicazione di tale metodo all’analisi della vittima di scomparsa potrebbe manifestare le sue potenzialità sul duplice versante del rintraccio tempestivo della medesima e della costruzione di una valida ipotesi di lavoro, tesa ad implementare il sistema nazionale di ricerca delle persone scomparse” (Volpini, 2012).

Nel paragrafo successivo cercherò di ricostruire il profilo psicologico di Marina attraverso la somministrazione di un’intervista ad un familiare di Marina, atta a verificare l’eventuale presenza di elementi compatibili con atti di tipo suicidario.

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