psicologia dello sviluppo riassunto

Psicologia dello Sviluppo: riassunto completo

Articolo di Susy D’Onofrio

Anche Erikson considerò lo sviluppo come una progressione attraverso stadi, ma si differenziò dagli altri nel porre in rilievo l’importanza delle interazioni sociali e nell’estendere il concetto di sviluppo entro ed oltre la vita adulta. Egli si concentrò soprattutto sulle fasi di passaggio psicosociali, individuando stadi caratterizzati da compiti sociali definiti secondo l’età e momenti di crisi che coinvolgono aspetti come l’identità, la vita intima e la capacità di generare. (Rutter 1995, 10)

In passato il pensiero secondo il quale le prime esperienze di vita fossero determinanti per la formazione della personalità di un individuo è andato sviluppandosi dando degna nota anche alle altre fasi dello sviluppo lungo l’arco della vita. Se quindi i modi in cui un bambino è accudito già dai primi mesi di vita risultano fondamentali, non è detto che la vita di quel bambino sia necessariamente già segnata.

Vari studi hanno notato che le prime esperienze sono significative non perché hanno un potere a lungo termine, ma perché l’individuo fa esperienza di situazioni simili anche durante il corso della propria vita. Ma andiamo per ordine.

In passato si distinguevano due tipi di variabili in grado di influenzare lo sviluppo: quelle genetiche e quelle ambientali. Per anni si è discusso animatamente sull’importanza di natura e cultura. Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta molti sociologi cercarono di sostenere che le influenze ambientali erano di gran lunga più importanti di quelle genetiche. (Rutter 1995, 24)

Probabilmente un simile accanimento contro le ipotesi di tipo genetico erano dettate dal desiderio di prospettare per il nuovo nascituro la possibilità di un riscatto e non limitarlo a una predestinazione biologica. I risultati di ricerche effettuate su bambini adottati hanno rilevato somiglianze con i genitori biologici, con i quali non avevano alcun tipo di rapporto, e somiglianze con i genitori adottivi. Tali risultati hanno fatto supporre influenze sia genetiche che ambientali.

Le numerosi varianti presenti nei programmi di ricerca aiutano a verificare ipotesi genetiche e ambientali. (…) Sembra che il fattore genetico giustifichi il 30-60% delle differenze individuali della popolazione generale. (…) l’individuazione delle componenti genetiche costituisce uno degli strumenti più efficaci per dimostrare l’importanza di quelle ambientali e per fornire informazioni dettagliate sugli influssi dell’ambiente. (Rutter 1995, 26)

Bambini caratterialmente più socievoli suscitano, negli altri, reazioni di accettazione e accoglienza maggiori rispetto a bambini più schivi e timidi. Questo è un esempio nel quale ciò che risulta non appreso dall’ambiente, tenda ad agire con e su di esso.

Diamo un’occhiata ai momenti che caratterizzano la vita di un individuo e le fasi di passaggio che li contraddistinguono.

 1. L’infanzia

Il neonato, già dalle prime ore, vive, in maniera esclusiva, una vicinanza corporea e relazionale con la madre. Tale rapporto, che va sempre più rafforzandosi nel tempo, può offrire un bagaglio emotivo e cognitivo che il bambino porterà con sé anche negli anni a venire. Non tutte le mamme e non tutti i bambini sono uguali. Di conseguenza le diversità comportamentali, a lungo andare, proporranno ai soggetti della relazione (madre-bambino), modalità di interazione diversificate.

Bowlby, nei suoi studi, definì l’attaccamento come una caratteristica innata di qualsiasi individuo. I tipi di attaccamento variano, però da individuo a individuo.

Il comportamento indicativo di un attaccamento “sicuro” (tipo B) è dato dalla tendenza a cercare vicinanza e contatto con la madre, specie nel ricongiungimento, unitamente ad una chiara preferenza per lei rispetto all’estraneo e ad un turbamento minimo prima della separazione e dopo il ricongiungimento, unitamente ad una chiara preferenza per lei rispetto all’estraneo e ad un turbamento minimo prima della separazione e dopo il ricongiungimento. L’attaccamento “insicuro ansioso-evitante” (tipo A) è dato dalla difficoltà ad attaccarsi quando è tenuto in braccio, dall’evitamento della madre durante il ricongiungimento e dalla tendenza a reagire all’estraneo e alla figura nota in modo simile.(…) L’attaccamento “insicuro-ansioso-resistente” (tipo C) è mostrato dalla tendenza ad opporre resistenza all’interazione con la madre (associata a un comportamento di ricerca di contatto e di vicinanza) e a manifestare uno stress abbastanza forte dopo il ricongiungimento e, in alcuni casi, anche prima della separazione. (Rutter 1995, 113-114)

Studi longitudinali hanno mostrato come bambini con attaccamento sicuro tendevano ad avere rapporti selettivi e più profondi rispetto a bambini con attaccamenti di tipo insicuro. Inoltre, mostravano di essere anche quelli più aperti a nuove esperienze e nuove conoscenze.

I rapporti che un bambino instaura con i propri genitori o qualsiasi altro caregiver, hanno capacità predittive se sono prolungate nel tempo. Un ambiente accogliente che permette al bambino di poter esplorare, di potersi cimentare in situazioni nuove, lo aiuterà a formare una propria personalità capace di far fronte alle future difficoltà e ad avere maggiori competenze decisionali.

Il risultato generale è che bambini dotati di un attaccamento sicuro sono più socievoli con gli adulti, mostrano una maggiore competenza con i pari, stabiliscono relazioni affettive più positive e manifestano maggiore autostima. Inoltre è stato in parte verificato che un’insicurezza nell’attaccamento può talvolta aumentare il rischio di successivi problemi emotivo-comportamentali. (Rutter 1995, 114)

Alcuni studi su bambini istituzionalizzati, carenti di figure specifiche di riferimento, hanno mostrato difficoltà nelle relazioni future. Sembrano legarsi indistintamente a tutti e mostrano un’incapacità di rapporti profondi e continuativi. È anche vero che, simili bambini, allontanati da tali situazioni, possono, in futuro, sulla base di esperienze positive, modificare il proprio comportamento.

Per i bambini, sono importanti, quindi, le prime esperienze con i propri caregiver, non solo inizialmente, ma per tutta la durata del periodo infantile. Infatti, è grazie a queste che il bambino assimila e fa propria l’educazione trasmessagli.

I bambini non solo apprendono dai genitori e dagli altri adulti comportamenti specifici, ma acquisiscono anche valori e mezzi di autocontrollo in grado di regolare comportamenti nuovi in nuove situazioni (Maccoby, Martin e Hartup in Hetherington, 1983). Sembra quindi che i bambini in un primo tempo acconsentano alle richieste dei genitori, poi si identifichino con alcuni loro attributi e comportamenti particolari ed infine interiorizzino alcuni dei loro valori. E’ così che i bambini giungono a sviluppare un controllo interno che opera anche in assenza dei genitori, al di fuori della loro sorveglianza del loro controllo esterno ( Rutter1995, 91)

2. L’adolescenza

In seguito a una serie di cambiamenti fisici e psicologici, l’individuo si trova a vivere un passaggio che lo catapulta in una fase, considerata di per sé, transitoria. Non si è più bambini, ma non si è ancora adulti. Sarebbe bene, però, definire l’adolescenza non come un periodo di passaggio, ma un periodo come tutti gli altri. Negli anni questa fase è andata dilatandosi. Si sono registrati aumenti di casi di pubertà precoce e al tempo stesso la società offre agli adolescenti l’opportunità di rimandare la presa in carico di responsabilità tipiche dell’età adulta.

I cambiamenti fisici sono accettati dagli adolescenti in vari modi, molto dipende da quelle che sono le aspettative e quella che è la realtà davanti alla quale si trovano. Desiderare di essere magra e ritrovarsi con i fianchi lievitati e l’acne giovanile, oppure pensare di restare della stessa altezza e ritrovarsi, piacevolmente, allungati di 10 centimetri, fa dell’adolescenza un periodo ben accetto o maledetto. I cambiamenti ormonali e quello che la società si aspetta, permette che gli adolescenti sentano la necessità di approcciarsi all’altro sesso            . Le prime esperienze con l’altro vissute nell’infanzia faranno da premonizione. Essersi sentiti ben accetti durante i primi anni scolastici, renderà l’adolescente più sicuro nel nuovo ambiente scolastico e nell’intraprendere una relazione sentimentale.

All’inizio del secolo, G. Stanley Hall affermò che era un periodo di “tempesta e di stress”; gli psicoanalisti (Ellis, 1982) si convinsero che implicava necessariamente un’alterazione della crescita normale, per cui il mantenimento dell’equilibrio durante quegli anni significava ipso facto un’anormalità. Erikson (1968) considerò l’adolescenza un periodo di “crisi normativa”, in cui i giovani dovevano attraversare un periodo di disorientamento per acquisire un’identità adulta. (…) Tuttavia, ricerche epidemiologiche sulla popolazione complessiva hanno fornito prove consistenti che sconfermano l’idea secondo cui tutti gli adolescenti normali sperimentano una situazione di tumulto e di alienazione dalla propria famiglia. (Rutter 1995, 222)

È chiaro che molto, nella vita di un adolescente, è dettato dalle influenze ambientali. È il caso di una serie di ricerche avvenute in Svezia: «le ricerche di Magnusson, Stattin e Allen (1986) e di Satin e Magnusson (1990) dimostrano che le ragazze svedesi con una pubertà precoce (menarca prima degli 11 anni) presentavano, verso i 14 anni, manifestazioni di disadattamento (ubriacarsi, far tardi la notte, drogarsi,…) di gran lunga maggiori di quella di ragazze con pubertà tardiva o normale (…) un’analisi approfondita dimostrò che il meccanismo causale era di tipo sociale, anche se aveva alla base un fattore fisiologico. Il disadattamento era fondamentalmente connesso al fatto che molte di queste ragazze precoci frequentavano ragazze più grandi. Quelle che continuavano ad avere amiche della stessa età, infatti, non mostravano nessun comportamento di rottura delle norme di convivenza».  (Rutter 1995, 23)

3. L’età adulta

I passaggi che l’individuo si trova a vivere durante la fase dell’età adulta sono legati a una serie di responsabilità che vanno dal lavoro all’accudimento della prole. Tali contesti possono essere vissuti in maniera differente in base ad eventi specifici: ad esempio essere impiegato in un lavoro che piace, privo di pressioni sarà vissuto diversamente da chi vive continui litigi con i colleghi, competizioni o addirittura sperimenta il licenziamento. Le modalità di risposta a situazioni stressanti di questo tipo saranno dettate dalle capacità di problem solving acquisite negli anni, grazie anche a esperienze difficili vissute in passato.

Il matrimonio, come anche l’avere figli o la sterilità, rappresenta un altro momento di passaggio per l’individuo adulto. I matrimoni tra adolescenti, a seguito di gravidanze inattese, sono differenti dai matrimoni decisi, consapevolmente, all’interno di relazioni adulte. Il matrimonio, solitamente dopo un periodo di fidanzamento, porta con se una serie di fattori stressanti (questione economica, libertà personali ridotte, educazione dei figli…):

Il quadro complessivo sembrava indicare chiaramente che lo stress non era provocato dal realizzare il matrimonio; ma, piuttosto dalla decisione di assumersene la responsabilità. (Rutter 1995, 258)

La scelta del partner e se e quando sposarsi riflettono la propria personalità:

I giovani che hanno fretta di sposarsi dimostrano una tendenza generale a non programmare la propria vita, cui si accompagna (…) la convinzione che ci sia ben poco da fare per influenzare gli eventi. (…) Una tendenza generale (anche se modesta) è che i matrimoni avvengono tra persone abbastanza simili in termini di bellezza fisica, intelligenza e interessi. (…) si è spesso ritenuto che desiderare di sposare uno simile a sé rappresenti una preferenza. È certamente così nei casi in cui si cerca un partner con cui condividere interessi, attività e valori. (…) Nondimeno è probabile che l’influenza maggiore stia nel fatto che siamo “portati” a scegliere un partner fra le persone che conosciamo. (Rutter 1995, 259)

Infine, per quel che riguarda l’educazione dei figli, i neo-genitori saranno influenzati dalle loro precedenti esperienze nel ruolo di figli e dalle condizioni ambientali (uno, due figli, presenza dei nonni, presenza di aiuti territoriali).

La relazione non si sviluppa improvvisamente come risultato di una qualche esperienza particolare; cresce piuttosto nel tempo come risultato di molte esperienze diverse. (…) Il rapporto col figlio è inoltre influenzato dall’esperienza di avere già allevato altri bambini. (Rutter, 1981a). Madri e padri rispondono in maniera diversa al primogenito rispetto a quanto fanno nei confronti dei figli successivi. In genere la relazione col primo figlio è più intensa e il comportamento è più affettuoso. (…) Il comportamento dei genitori è influenzato, ad esempio, sia del sesso che dalle qualità temperamentali del bambino. (Rutter 1995, 282-283) 

4 La mezza età e la vecchiaia

Durante l’inizio della terza età l’individuo può ritrovarsi a fare i conti con quella che è stata la propria vita fino a quel momento. Si guarda indietro, mette a fuoco ciò che è riuscito a fare, i rapporti che ha costruito, dall’altro si guarda avanti nell’ottica di porsi nuovi obiettivi. Tali obiettivi possono mettere completamente in discussione i risultati già raggiunti: desiderio di un nuovo partner, cambiamento dell’atteggiamento nei confronti del lavoro … «Indipendentemente dalla presenza o assenza di eventi esterni, l’età di mezzo costituisce un periodo di ripensamento, in cui si fanno i conti con ciò che si è già ottenuto e con quel che si vuole portare a termine. (…) Senza dubbio, molti attraversano periodi di incertezza e si pongono interrogativi su di sé». (Rutter 1995, 292)

Esperienze importanti che caratterizzano questo periodo sono l’allontanamento dei figli, il diventare nonni, l’accudimento dei genitori anziani, la menopausa e l’andropausa.

In passato era uso comune pensare al sentimento di tristezza nel vedere i propri figli andare via di casa, la cosiddetta “sindrome del nido vuoto”. Gli studi hanno invece evidenziato che poche sono le persone a vivere in questo modo simile distacco. Molto dipende dai rapporti che i genitori hanno instaurato con i propri figli. Probabilmente una cattiva relazione, caratterizzata da continui litigi, non può che far desiderare ai genitori che i figli vadano via. Oppure relazioni soddisfacenti fanno si che genitori e figli vedano una simile separazione del tutto normale.

L’allontanamento di un figlio da casa non significa né la perdita, né la fine di una relazione. (…) genitori e figli hanno bisogno di incontrarsi, piuttosto che essere costretti a farlo dalla convivenza. (Rutter 1995, 295)

 

Coppie di genitori, che hanno vissuto tra di loro relazioni armoniose, all’andare via dei propri figli, possono riscoprire il bello dello stare insieme.

Diventare nonni, solitamente, offre agli individui un’occasione per rimettersi in gioco, sperimentare un nuovo modo di relazionarsi all’altro. La rigidità e la severità che una persona può aver sperimentato nella relazione con un proprio figlio, può far spazio a un atteggiamento di tenerezza e comprensione nei confronti di un nipote.

Molti nonni dichiarano di sperimentare nel rapporto coi nipoti un senso di “pienezza emotiva”, un senso di soddisfazione e di comunanza. Il contatto con un bimbo piccolo risveglia spesso una tenerezza e un trasporto fisico che, in qualche adulto, si era no un po’ assopiti. (Rutter 1995, 299)

Accudire invece un genitore anziano può comportare una serie di fattori stressanti. Il peso di occuparsi dell’assistenza di un genitore, magari portatore di una serie di patologie fisiche e psichiche, e doversi interfacciare con un individuo che fino a pochi anni prima era lui ad occuparsi di noi, crea una serie di difficoltà nell’accettare il tempo che passa e che porta via le persone a noi più care.

È la difficoltà che si vive soprattutto durante la vecchiaia, soprattutto quando si fa esperienza di forti lutti (come nel caso del proprio partner). La vecchiaia è un periodo durante il quale, l’esperienza del pensionamento e del deterioramento fisico, possono portare all’idea di inutilità, di inefficienza. Sicuramente sentimenti simili possono essere attenuati se si continua a mantenere vivo l’interesse nei confronti di qualche attività e nel cercare di prendersi cura del proprio fisico.

 

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