Il peso delle Emozioni nella costituzione della Personalità Umana

Articolo di Susy D’Onofrio

Altro elemento costruttivo della personalità è l’emozione che è la reazione irrazionale ad eventi o incontri, spesso inaspettati, che può esprimersi attraverso una modifica del corpo a livello fisiologico, come aumento dei battiti cardiaci o alterazioni respiratorie, ma anche attraverso una modifica della mimica facciale in risposta all’evento inaspettato.

Ad uno stimolo scatenante segue pertanto un comportamento di risposta messo in atto dal cervello per permettere all’individuo una migliore sopravvivenza, e può esprimersi secondo tre livelli. Il primo è detto psicologico, cioè l’espressione verbale in risposta alla sensazione provata. Il secondo livello è nominato comportamentale, in quanto riguarda manifestazioni motorie dell’emozione, come la fuga e l’attacco. Il terzo livello è quello fisiologico, che riguarda modificazioni fisiche quali alterazioni della frequenza cardiaca, aumento della sudorazione, o modifiche del ritmo respiratorio. Ma l’emozione esprime anche uno stato d’animo: tristezza, gioia, dolore, che è culturalmente modellata, ovvero manifestata in modo diverso nelle varie

Charles Darwin è considerato il precursore dell’universalità delle espressioni emotive, ritenendo anche che la capacità di riconoscerle e manifestarle è innata.

Nell’opera L’espressione delle emozioni negli uomini e negli animali del 1872, lo studioso incentra la sua attenzione sul comportamento espressivo quale la postura, i gesti, le espressioni facciali, e riscontra una continuità tra il modo di esprimere le emozioni dagli animali a quello degli uomini. Considera, infatti, che anche le scimmie, al pari degli uomini, manifestano rabbia con il rossore della cute, e paura urinando. La teoria di Darwin è stata molto criticata perché carente di scientificità per cui, per diversi decenni, si è ritenuto che l’espressione delle emozioni fosse culturalmente determinata. Nella seconda metà del secolo scorso si è riproposto il tema sull’universalità delle emozioni e P. Ekman si è dedicato ad un’analisi transculturale delle posture facciali che stabilisce l’universalità di almeno sei emozioni: allegria, tristezza, paura, disgusto, rabbia, rafforzando così la teoria darwiniana. Nel 1967 Ekman intraprese un viaggio in Nuova Guinea per verificare l’ipotesi che tutte le popolazioni di culture diverse esprimano e comprendano le emozioni attraverso una mimica facciale comune. Le differenze culturali sono però riscontrabili non tanto nell’esprimere l’emozione in sé, quanto piuttosto dalle regole che guidano l’espressione nelle diverse situazioni sociali. Nasce pertanto la teoria neuro-culturale, dove il termine “neuro” indica la relazione tra una determinata emozione e l’espressione specifica alla stessa. Un esempio è la sorpresa, che si manifesta universalmente spalancando gli occhi, o la paura espressa attraverso il sollevamento delle palpebre superiori e le labbra semichiuse e tirate. Il termine culturale indica invece, che aldilà della base universale, il contesto in cui l’individuo è inserito detta delle regole per l’espressione delle emozioni.

Erikson formula quindi il concetto di “Regole di esibizione” (display rules) che vanno a specificare chi può manifestare emozioni, in quale occasione, tenendo conto della differenza tra i sessi, i ceti sociali e le varie etnie. Attraverso le display rules l’intensità dell’emozione può essere modulata attraverso processi di intensificazione, de intensificazione, neutralizzazione o mascheramento, per cui può aumentare, diminuire o può essere resa neutra mediante una risposta emotiva d’indifferenza. Sono regole che dipendono dal contesto socio-culturale in cui l’individuo è inserito e vengono apprese, molto spesso, nelle prime fasi di sviluppo sociale.

Nella nostra società si possono osservare regole di esibizione nella consuetudine consentita alle donne di piangere in pubblico, mentre agli uomini questa possibilità viene negata. Altre società, come quella giapponese, impongono un controllo sulle emozioni negative consentendone l’espressione solo in una sfera privata. Nella cultura polacca le emozioni vengono manifestate apertamente e il mostrarsi in atteggiamento freddo e distaccato viene considerato un segno d’indifferenza e apatia. Nella cultura inglese, invece, prevale in generale un autocontrollo emotivo, per cui non viene manifestato un particolare coinvolgimento di fronte agli eventi.

Secondo la teoria differenziale, la corrispondenza tra mimica facciale ed espressione emotiva è presente in ogni individuo, fin dalla nascita, anche se in forma stereotipata e automatica. Con l’avanzare della fase dell’apprendimento coniugata alle peculiarità del contesto sociale, l’individuo impara a sconnettere espressione ed esperienza emotiva e quindi riesce a porre in essere anche comportamenti dissimulativi, impara cioè a simulare emozioni.

Secondo Anolli, è bene tener presente che la teoria differenziale presenta due limiti:

– la previsione del primato dell’emotivo sul cognitivo.

– la mancanza di elementi che spiegano quanto l’influenza sociale può essere incisiva nel legame tra espressione ed emozione. Riguardo alle emozioni negative, mettendo a confronto la cultura americana e quella giapponese, si possono individuare significative diversità che rispecchiano le differenze culturali tra il mondo occidentale e quello orientale. La morte, ad esempio, è considerata dagli Americani l’evento antecedente alla tristezza in quanto rappresenta la separazione permanente, mentre i Giapponesi, davanti ad un evento luttuoso, ostentano indifferenza poiché percepiscono la perdita in maniera meno estrema. Infatti, secondo la loro religione, le anime dei defunti non migrano verso uno sconosciuto mondo dei morti, ma continuano a essere presenti presso le abitazioni dei parenti rimasti in vita perché questi possano onorarli secondo specifiche cerimonie.

La conoscenza e la gestione delle emozioni, proprie e altrui, hanno una funzione sociale molto importante, in quanto permettono all’individuo di creare rapporti interpersonali e di costruire quindi relazioni sociali in ogni ambito.

Dunque, la società, l’ambiente culturale e familiare in cui si nasce e cresce, influiscono sulla formazione della personalità dell’individuo. Le regole comportamentali si acquisiscono già nella prima infanzia, per poi svilupparsi durante l’età adulta. Durante questa fase di inculturazione l’individuo forma la propria identità ma, in quanto membro di un gruppo, acquisisce anche un senso di appartenenza al gruppo stesso perché si conforma a regole comportamentali dettate dal contesto culturale in cui è inserito.

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