Coping: definizione e significato in psicologia

Articolo di Francesco Clemente

Con il termine “coping”, dal verbo inglese “to cope”( “affrontare”) si indicano i processi messi in atto dagli individui per fronteggiare situazioni difficili, nonché fronte di stress. Le modalità di coping adottate dai soggetti sono dipendenti da numerose variabili: età del soggetto, il suo temperamento, i vissuti di apprendimento e di relazione, il contesto stesso produttore di stress.

Emerge da queste considerazioni preliminari, la consapevolezza che un evento in se stesso non può essere aprioristicamente definito stressante, ma la valutazione in tal senso dipende dalle sue personali risorse cognitive ed emotive, utili per una risposta efficace all’evento.

L’urgenza contemporanea di migliorare la qualità della vita, gli stili di adattamento, passa anche attraverso l’incentivazione di numerosi programmi di ricerca volti ad attivare e promuovere i processi di coping nei singoli soggetti ma anche nei gruppi, per cui è importante menzionarli in difesa di un concetto più allargato di salute.

Lo studio scientifico del fenomeno del coping non è certamente una conquista recente, se si pensa semplicemente al fatto che esso è stato condotto a partire dagli anni ‘30 fino ad oggi. Nonostante questa evidente sedimentazione, nonché consolidamento delle conoscenze ad esse relative, non è possibile parlare di univocità epistemologica relativamente al fenomeno.

Il coping, infatti, è una delle prove tangibili della sorprendente varietà di modi con cui l’evoluzione naturale dell’uomo ha saputo dare risposte alle minacce dell’ambiente e della   vita. La problematicità di questo costrutto ci induce ad allargare lo sguardo sulla semplice operazione finalizzata ad affrontare uno stress. Il motivo di ciò è che dietro a questo costrutto vi è la complessità e la molteplicità dei processi all’interno dei quali le persone, che stanno affrontando un evento stressante, sono coinvolte. Un argomento di un certo interesse, oltre che di una certa difficoltà in termini di risoluzione, è il rapporto fra coping e meccanismi di difesa, per cui alcuni studiosi non mancano di rimarcare una sostanziale differenza fra risposte automatiche di un soggetto e risposte non automatiche. In altre parole, in gioco vi è la volontarietà o involontarietà del coping. Per cui:

“Secondo Lingiardi  e Madeddu(2002) i meccanismi di difensivi riguardano l’utilizzazione  di risposte riflesse associate a situazioni di pericolo/salvezza mentre i meccanismi di coping riguardano lo sviluppo di manovre  strategiche e comportamentali efficaci per  affrontare situazioni  difficili e insolite. Cramer(1998) è contrario alla separazione tra i due concetti.”[1]

Nonostante ci sia la condivisione fra gli studiosi circa l’esistenza del comun denominatore del tentativo della conquista del benessere fra meccanismi di difesa e coping, ancora persiste il dibattito relativo alla specificità di queste due dimensioni:

“La distinzione tra i due costrutti è ancora dibattuta in letteratura in quanto non sono stati stabiliti dei confini chiari fra i meccanismi di coping e i meccanismi di difesa. Alcuni studiosi includono nelle strategie di coping il diniego o altri concetti che normalmente appartengono ai meccanismi di difesa o introducono strategie di coping tra le difese, come nel caso della repressione(Vaillant, 2000).Oggi, la ricerca sembra indirizzarsi soprattutto ai processi di coscienza, considerando il coping una risposta conscia agli eventi stressanti.”[2]

 

Considerato inizialmente come un tratto relativamente stabile della personalità, il coping successivamente, grazie a studiosi come   è Eckenrode, stato successivamente considerato come un’  insieme di reazioni possibili e flessibili alle sfide della vita.  Forti, quindi, della necessità di una pur breve ricognizione della genesi di questo concetto, si nota come fin dall’inizio gli studiosi siano stati consapevoli della natura composita del fenomeno, per cui hanno distinto in una prima fase fra forme di coping basate su strategie emotion-focused(centrate sull’emozione), ovvero approcci che consistono nella capacità di modulare  le reazioni emotive negative derivanti da una situazione stressante, e forme di coping basate su approcci problem-focused, (centrati sul problema), consistenti nel tentativo di modificare o risolvere  la situazione che minaccia l’individuo. In seconda battuta, a questa preliminare distinzione se ne è aggiunta un’altra, ovvero quella nella quale l’individuo stressato si rivolge ad altre persone (social diversion) e quelle nelle quali l’individuo stressato si impegna in attività sostitutive(distraction). In definitiva, i ricercatori hanno convenuto sull’esistenza di quattro grandi macrocategorie di coping:

“…1.quelle che supportano l’approccio orientato al compito; 2.quelle che servono a evitare o ridurre al minimo lo stress;3 quelle che spingono il soggetto alla ricerca di supporto;4 quelle che attivano il ritiro o il senso di impotenza.”[3]

 

Sulla base di queste assunzioni lo sviluppo di questo secondo capitolo della presente ricerca si è realizzato in riferimento a quegli aspetti specifici del coping che sono stati ritenuti associabili non solo con la resilienza, ma anche   con il costrutto dell’antifragilità elaborato da Nassim Taleb, in particolare ponendo attenzione agli spunti provenienti dalla sua interpretazione attraverso il modello S.F.E.R.A del prof. Vercelli, relativo ai principali fattori della prestazione sportiva.

[1] LAUDADIO A.,PEREZ F.J.F, Colpire lo stress, Franco Angeli, Milano, 2011, p.30.

[2]  LAUDADIO A., PEREZ F.,J.F., Colpire lo stress, cit., p.31.

[3] Aa. Vv. Il coping, definizione, sviluppo e intervento, Carocci editore, Roma,2015, p.15.

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