Perché dovresti aumentare la tua resilienza

Articolo di Francesco Clemente

Ad un primo sguardo delle definizioni di coping e dei modelli proposti, può sembrare che il  coping e la resilienza siano in realtà dei costrutti sostanzialmente simili.

In realtà i due costrutti pur avendo molti punti di sovrapposizione, sono da considerarsi distinti e più nello specifico le strategie di coping partecipano al fenomeno della resilienza che è però più vasto, come hanno avuto modo di notare Cyrulnik e Malaguti.

Una prima distinzione, infatti, fra “coping” e “resilienza” consiste nel fatto che con il primo termine s’indica il semplice processo di fronteggiamento dello stress, a prescindere dall’esito positivo del superamento di quest’ultimo, mentre il secondo termine rinvia appunto al successo dell’assorbimento della situazione stressante. In definitiva il “coping” indica un’azione, mentre la “resilienza” si riferisce ad un esito:

“Per resilienza si deve intendere il raggiungimento di esisti positivi nonostante le circostanze difficili o minacciose…e la capacità di riuscire ad affrontare con successo  esperienze traumatiche, evitando percorsi negativi legati ai rischi.”[1]

In secondo luogo, il concetto di resilienza implica non solo le strategie di coping, ma si allarga anche  all’acquisizione di concetti come l’autostima e l’autoefficacia:

“Ế stato suggerito che un individuo resiliente deve mostrare risultati positivi su più aspetti della vita in un dato periodo..e deve avere competenze, in diversi gradi, rispetto alla capacità di fronteggiare lo stress.”[2]

Infine, mentre il coping è un processo che si attiva, di fatto, all’occorrenza, ovvero al presentarsi dell’evento stressante, la resilienza è una capacità temporalmente più estesa, che si protrae appunto nel tempo, in termini di consolidamento.

Nonostante ciò, sulla scia delle ricerche di Dorenwend,  Moos e Shaefer sono anche tra i primi ad avvicinare le ricerche sul coping a quelle sulla resilienza, affermando che le situazioni di stress e crisi possono portare ad acquisire nuove e più mature modalità di coping. In particolare, proprio a questi due studiosi si deve la messa a punto di un modello integrato che supera la contrapposizione tra i due approcci, sostenendo che la prospettiva disposizionale e quella situazionale sono tra loro complementari. Si tratta di un contributo non di poco conto se si tiene presente che dalla metà degli anni 80 in poi si è assistito invece a un rinnovato interesse per i fattori di personalità.

Infatti, la letteratura di quegli anni ha iniziato a descrivere questi due diversi fuochi situazionali vs disposizionali, come una distinzione tra un approccio interindividuale che si pone l’obiettivo di individuare le strategie abituali usate nelle diverse situazioni stressanti e un approccio intraindividuale che sostiene che esiste una gamma vastissima di possibili strategie di coping, ma che gli individui tendono ad usare solo un repertorio ristretto e ricorrere a un’insieme di strategie base.  In base alle teorie di Zaustra e Reich le emozioni positive, oltre alle risorse psicosociali, sono da reputarsi come indicatori significativi, predittori,della resilienza individuale. In definitiva, entrambi questi studiosi enucleano alcuni elementi che mettono in correlazione la resilienza con il coping:

“Nello specifico,la loro teoria individua tre aspetti della resilienza che facilitano il fronteggiamento dello stress:a) l’abilità di ripresa dell’evento, rapida e completa;b) la sostenibilità dello scopo che si intende raggiungere nonostante le avversità, c) la crescita, o nuovo apprendimento, che si raggiunge durante e dopo l’evento stressante.”[3]

[1] AA.VV. Il coping, definizione, sviluppo e intervento, cit.,p.22.

[2] AA.VV. Il coping, definizione, sviluppo e intervento, cit.,ibidem.

[3]  AA.VV., Il coping, definizione, sviluppo e intervento, cit.,p.21.

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