Neurobiologia dello psicopatico

Articolo di Federica Aloia

Come mai la figura dello psicopatico ci affascina così tanto?

Che cosa c’è nella sua mente e nel suo modo di agire che ci attira e ci spinge alla ricerca di spiegazioni e giustificazioni?

Numerosi sono gli interrogativi che possiamo porci riguardo questi soggetti così attraenti dal punto di vista psicologico.

Potremmo porci domande del tipo:

  • “Esiste un gene assassino negli psicopatici?”
  • “ Perché sono capaci di commettere dei crimini così disumani?”
  • “ Com’è fatto il loro cervello?”
  • “Cosa gli passa per la mente?”
  • “Quanto controllo ha uno psicopatico sul suo comportamento?”
  • “In quale misura questo comportamento è influenzato dalla biologia piuttosto che dall’ambiente?”.

La ricerca biologica sta cercando di rispondere a tutti questi interrogativi.
Cleckley nel 1941 scrisse, “ dobbiamo considerare anche la possibilità che lo psicopatico possa essere nato con un difetto biologico che lo priva della capacità di sentire e apprezzare le questioni rilevanti della vita o di reagire a esse in maniera normale e adeguata” (p.286).

Ovviamente il comportamento di ogni individuo è dovuto al funzionamento del proprio cervello. Ogni pensiero che abbiamo e ogni decisione che prendiamo è riconducibile ad uno schema di attivazione neurale. Lo scopo della ricerca è quello di capire in che modo il cervello dei pazienti psicopatici si differenzia da quello delle persone normali.

I geni rappresentano la prima fonte di variazione biologica tra gli individui, essi infatti assumono un ruolo importante nello sviluppo della struttura e dell’organizzazione cerebrale. La struttura ed il funzionamento cerebrale sono unici nel percorso biologico dal momento che rappresentano la causa più prossima e diretta del comportamento.

Possiamo, perciò, supporre che una delle cause prime del comportamento siano proprio i geni.

La ricerca genetica sulla psicopatia parla di genetica comportamentale e genetica molecolare. Per quanto riguarda la genetica comportamentale, il primo passo è stabilire se i tratti psicopatici sono ereditabili ed il grado di questa potenziale ereditabilità.

Esiste un gene assassino?

Oppure esistono più geni che insieme alle influenze ambientali scatenano la vena assassina di questi Serial Killer? Raine parla di un esperimento naturale in cui un bambino con un’eredità violenta venne tolto da un contesto di povertà e degrado, ma diventò comunque un assassino.

Tutto ciò suggerisce l’esistenza di una predisposizione genetica alla violenza. Lo studio sui gemelli e sull’adozione ci rivela che esiste un carico genetico importante per quanto riguarda l’aggressività, ma non ci dice quali geni sono coinvolti e per scoprirlo bisogna rivolgersi alla ricerca molecolare. Gli studi sui gemelli ci dicono che l’aggressività e la violenza sono ereditabili e che l’influenza genetica è predominante.

In uno studio sull’adozione di Sarnoff Mednick e colleghi  (1984) fu dimostrato che i figli dei criminali sono più inclini degli altri bambini a seguire le orme dei genitori e a diventare criminali a loro volta.

Possiamo quindi sostenere che il nostro patrimonio genetico ci predispone o meno a compiere dei reati. Inoltre, il periodo di tempo che il bambino ha passato con la madre naturale prima dell’adozione è un fattore discriminante.

Infatti l’esperienza di attaccamento potrebbe essere tra le future cause del comportamento psicopatico.

Nell’ambito della genetica molecolare sono stati condotti due tipi di studi : lo studio dei geni candidati e lo studio di associazione genome-wide. Per quanto riguarda il primo studio, un gene candidato è un gene di cui è stata ipotizzata l’associazione ad un disturbo. La ricerca su questi geni implica la genotipizzazione di individui per determinare quali alleli del gene l’individuo possiede. Il secondo studio riguarda, invece, il genoma in relazione ai polimorfismi che potrebbero essere più comuni in un gruppo di individui con tratti psicopatici piuttosto che in quelli con individui con scarsi tratti psicopatici.

L’approccio più comunemente utilizzato è lo studio dei geni candidati.

L’identificazione di geni specifici che predispongono un individuo a compiere un reato è il codice genetico necessario al corretto funzionamento dei neurotrasmettitori.

I neurotrasmettitori sono elementi chimici fondamentali per il funzionamento del cervello. Essi aiutano a trasmettere segnali da una cellula cerebrale all’altra, trasferendo le informazioni, quindi, se cambiano i livelli di questi neurotrasmettitori si modificano le capacità cognitive, le emozioni e i comportamenti.

I geni responsabili del funzionamento dei neurotrasmettitori possono dare origine a pensieri, sentimenti e comportamenti aggressivi. La dopamina, ad esempio, aiuta a produrre e modulare la motivazione, invece, la serotonina è uno stabilizzatore dell’umore che nel cervello svolge una funzione inibitoria. Essa stimola e migliora il funzionamento della corteccia frontale, importante nella regolazione dell’aggressività.

Il gene neurotrasmettitore della serotonina presenta due versioni : la versione ad allele corto e quella ad allele lungo. Si pensa che la versione ad allele corto sia responsabile delle aggressioni compiute a <<caldo>>, invece secondo Andrea Glenn ( 2011 ) quella ad allele lungo è associata ai crimini compiuti a sangue freddo, e con il comportamento psicopatico riscontrabile nelle persone con bassa risposta allo stress.

Negli ultimi anni sono stati esaminati diversi geni che sembrano essere associati alla psicopatia, ma purtroppo gli studi in questo campo hanno ancora molta strada da fare dal momento che vi sono molte controversie a riguardo. Ciò di cui possiamo essere sicuri è che non esiste un gene o un gruppo di geni che prevedono quali individui commetteranno un crimine violento.

I geni possono solo conferirci un rischio di tratti come quelli psicopatici, ma non ci potranno mai dire quali individui diventeranno psicopatici dal momento che tantissimi altri fattori potrebbero incorrere nel determinare il disturbo. Essi contribuiscono solo ad una piccolissima frazione della varianza nei tratti psicopatici.

Dato che i geni non sono statici ed immutabili, i soggetti con fattori di rischio genetico non sono destinati a svilupparsi seguendo un percorso prefissato. Come vedremo in seguito, le condizioni ambientali potrebbero aumentare o diminuire gli effetti negativi che i geni di rischio potrebbero avere.
Oltre ai geni, ci sono altre componenti del nostro organismo che possono contribuire a spiegare il funzionamento dei pazienti psicopatici : gli ormoni.

Essi sono messaggeri chimici che viaggiano attraverso il flusso sanguigno e si legano ai recettori nel cervello e nel corpo. Legandosi possono influenzare il funzionamento delle regioni cerebrali.

Gli ormoni rappresentano un meccanismo attraverso cui i fattori genetici e ambientali hanno un effetto sul cervello poiché i sistemi ormonali sono altamente sensibili a fattori come lo stress. Principalmente due ormoni sono stati associati alla psicopatia : il cortisolo e il testosterone. Questi sono associati alla ridotta reattività allo stress, all’assenza di paura, all’aggressività e alla ricerca di stimoli.

Lo stress cronico o l’uso di sostanze durante il periodo prenatale influiscono fortemente sui sistemi ormonali. Il cortisolo e il testosterone vengono rilasciati da due diversi sistemi : rispettivamente dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ( HPA) e dall’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi ( HPG).

L’HPA si occupa della risposta allo stress, gli psicopatici presentano deficit in queste aree dal momento che sono meno responsivi alle situazioni stressanti e meno sensibili alle punizioni, infatti, vengono riscontrati bassi livelli di cortisolo. L’HPG rilascia testosterone e si ipotizza che questo sia associato alla psicopatia dal momento che i livelli sono molto più alti nei maschi rispetto alle femmine e ciò potrebbe corrispondere alla maggiore prevalenza di personalità psicopatica nei soggetti maschili. Il testosterone potrebbe interagire con altri ormoni per predisporre alla psicopatia. Infatti, presi singolarmente il cortisolo e il testosterone non potrebbero dirci nulla, ma sembra che i loro effetti combinati siano implicati in essa. Alti livelli di testosterone e bassi livelli di cortisolo possono influenzare in maniera significativa regioni cerebrali come l’amigdala e percorsi tipici del disturbo in questione. Tutto ciò potrebbe spiegare lo scarso decision making, l’assenza di paura, la ridotta reattività allo stress, lo scarso condizionamento e l’aggressività strumentale. La ridotta attività dell’amigdala e della corteccia orbitofrontale di cui parleremo più avanti, potrebbero essere il risultato dello squilibrio nei livelli di cortisolo e testosterone.

Anche la ricerca psicofisiologica ha dato il suo contributo studiando il sistema nervoso autonomo e il sistema nervoso centrale. Il sistema nervoso autonomo permette di collegare il sistema nervoso centrale, quale il cervello e il midollo spinale, e gli organi interni, quali cuore, polmoni, ghiandole salivari.

Studi recenti sembrano suggerire una bassa reattività della frequenza cardiaca in risposta a stimoli affettivi e ridotte risposte di orientamento dell’attenzione verso eventi potenzialmente significativi, anche se quest’ultimo potrebbe dipendere dal genere e dalla fase di sviluppo. In uno studio di metanalisi Lorber (2004) ha evidenziato un’associazione tra la psicopatia e una bassa attività elettrodermica a riposo.

Anche Raine e colleghi nel 1996 hanno rilevato in adulti psicopatici meno fluttuazioni o cambiamenti nella conduttanza cutanea.

Inoltre è stato scoperto che questi individui mostrano ridotte risposte di conduttanza cutanea alle espressioni facciali di tristezza e paura ( Blair 1999, Blair et al. 1997), scene immaginate di minaccia ( Patrick et al.1994), minaccia anticipata ( Hare 1965, 1982; Hare et al. 1978; Ogloff e Wong 1990) e suoni emozionalmente evocativi ( Verona et al. 2004). Altri studi suggeriscono risposte alterate ai livelli di conduttanza cutanea durante il condizionamento avversivo cioè l’apprendere che un evento spiacevole, come una scossa elettrica o un forte rumore, sia associato ad un segnale particolare ( Hare 1978, Raine 1993, Lykken 1957). Uno studio condotto con brain imaging ha mostrato una ridotta attività nell’amigdala durante il condizionamento aversivo negli psicopatici ( Birbaumer et al. 2005).

Come il condizionamento avversivo anche il riflesso di trasalimento è dipendente del funzionamento dell’amigdala (Angrilli et al. 1996). Gli esami effettuati sul riflesso di trasalimento e il condizionamento aversivo sembrano evidenziare che i pazienti psicopatici non presentano ridotte risposte fisiologiche al vero e proprio stimolo aversivo ( scossa o rumore improvviso), ma i deficit sembrano riguardare l’abilità a rispondere a indizi che segnalano che si verificherà un evento. Generalmente gli studi riscontrano ridotte risposte cardiovascolari ed elettrotermiche.

Ulteriori studi sono stati fatti per chiarire quali componenti ERP potrebbero differire nella psicopatia e per comprendere dunque come il cervello potrebbe processare l’informazione. D’altronde vi sono ancora molte discrepanze nella ricerca psicofisiologica.

La ricerca neuropsicologica, invece, ha cercato di scoprire le compromissioni dei sistemi neurali che guidano il comportamento attraverso lo studio dei casi singoli ed il ricorso ai test neuropsicologici. I risultati tratti da queste ricerche hanno contribuito ad identificare le strutture cerebrali che probabilmente sono compromesse nella psicopatia.

Ovviamente il funzionamento del cervello dei pazienti psicopatici si differenzia dal nostro. Una mancata attivazione della corteccia prefrontale, (la parte frontale del cervello, quella che sta proprio sopra gli occhi e immediatamente dietro la fronte) è una caratteristica che si riscontra in comportamenti aggressivi e antisociali. Un ridotto funzionamento di quest’area cerebrale implica importanti conseguenze a livello emotivo, comportamentale, di personalità, sociale e cognitivo:

  1. A livello emotivo causa la perdita di parti del cervello come il sistema limbico implicato nella generazione delle emozioni ( Barrash et al. 2000 );
  2. A livello comportamentale causa una maggiore accettazione del rischio e una tendenza all’irresponsabilità e al non rispetto delle regole ( Bechara et al. 1997);
  3. A livello di personalità provoca perdita del controllo di sé, impulsività e incapacità di modificare o inibire certi comportamenti ( Blair 2007 );
  4. A livello sociale può causare mancanza di tatto, scarsa opinione sociale e di conseguenza incapacità di elaborare soluzioni non aggressive ( Damasio 1994 );
  5. A livello cognitivo determina la perdita di flessibilità intellettuale e la mancanza di capacità di problem solving (Bechara e Damasio 2005).

La corteccia prefrontale, dunque, è un importante area del cervello che, negli assassini presenta delle anomalie nel funzionamento. Dobbiamo, però, distinguere gli assassini reattivi, quelli a sangue caldo che scattano di fronte a stimoli provocatori, dagli assassini proattivi, quelli a sangue freddo, che hanno uno scopo preciso e pianificano con anticipo come gli psicopatici. Essi sono freddi, calcolatori e pianificano attentamente il colpo che hanno in mente non pensando due volte ad ammazzare qualcuno, se gli fa comodo.
Gli psicopatici infatti, sono in grado di regolare le loro azioni ed eseguire le loro aggressioni in modo relativamente cauto e premeditato. La corteccia prefrontale è fondamentale per il controllo e la regolazione del comportamento e delle emozioni.

E le emozioni quel ruolo svolgono?

Il sistema limbico è responsabile delle componenti affettive ed emotive. Gli psicopatici si sentono arrabbiati come chiunque altro, ma non esplodono e bramano la vendetta.
Il neuroscienziato Henrik Soderstrom e colleghi ( 2000 ) hanno scoperto che una ridotta funzionalità dell’ippocampo era associata ad alti livelli di psicopatia nei criminali violenti. Poi Kent Kiehl ( 2006 ) ha ipotizzato che la circonvoluzione dell’ippocampo contribuisca ai sintomi generali della psicopatia.

Come mai il malfunzionamento dell’ippocampo porta gli individui ad essere violenti?

Gli psicopatici presentano risposte emozionali sproporzionate e l’ippocampo fa parte del sistema limbico e di quella rete neurale alla base dell’elaborazione delle informazioni socialmente rilevanti. Un malfunzionamento di quest’area potrebbe essere collegato ad un comportamento socialmente inadeguato come il mancato riconoscimento o la mancata valutazione di stimoli ambigui in situazioni sociali che possono scatenare scontri violenti (Raine et al. 2004).
L’ippocampo svolge un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda il condizionamento alla paura. Gli psicopatici infatti, presentano dei deficit particolari rispetto alla paura : essi non temono nulla. Le funzioni dell’ippocampo, dunque, non si riducono semplicemente alla memoria e ad altre capacità come l’apprendimento, ma essendo una componente fondamentale del circuito limbico, esso è in grado di regolare anche il comportamento emotivo ( Swanson 1999 ).

Un’altra zona che funziona male negli adulti psicopatici ( Kiehl et al. 2001) è la corteccia cingolata posteriore.

Essa si trova all’interno del mesencefalo ed è collocata sul lato posteriore della testa. Un danno a questa area può provocare dei turbamenti emotivi, e scatenare rabbia dal momento che è fondamentale anche per richiamare alla memoria i ricordi emotivi (Maratos et al. 2001) e le emozioni che si sono provate ( Mayberg et al. 1999). La corteccia cingolata posteriore è coinvolta nel pensiero autoreferenziale ovvero nell’abilità di riflettere su se stessi e di capire in che modo il nostro comportamento può influire sugli altri.

Un soggetto psicopatico non è in grado di capire che le sue azioni possono ferire gli altri e ciò potrebbe spiegare il perché di gesti sragionati e antisociali, e la mancata accettazione della responsabilità delle proprie azioni.

E’ evidente che gli psicopatici sembrino mancare di una morale, infatti, sono stati da sempre considerati “ moralmente malati”. Sembrano persone normali, addirittura piacevoli, socievoli e adorabili. Ma cosa c’è che non funziona nei loro cervelli a livello morale?

Raine descrisse il caso di Jolly Jane, una psicopatica, alla quale piaceva vivere emozioni forti, le piaceva fare esperimenti sul suo modus operandi ed esplorare il suo potere di vita e di morte sul prossimo. A livello cognitivo, Jane sapeva distinguere un comportamento morale da uno immorale. Era in grado di distinguere il bene e il male, ma non riusciva a “sentire” che cosa fosse morale. Non provava empatia emotiva con l’umana sofferenza causata dalle sue azioni.

Il sentimento morale, concentrato nell’amigdala e nella corteccia prefrontale, è il motore emotivo che traduce la consapevolezza cognitiva che l’azione che stiamo mettendo in atto è immorale e attiva l’inibizione comportamentale. Ci trattiene quindi dal mettere in atto un comportamento immorale, anche se una parte di noi vorrebbe continuare. Negli individui psicopatici questo freno emotivo dell’immoralità non funziona bene. Blair (1995, 2001, 2005) ipotizza che negli essere umani vi sia un meccanismo cognitivo denominato violence inhibition mechanism (VIM). Questo meccanismo, attivato da segnali comunicativi non-verbali di sofferenza (ad esempio un’ espressione facciale di tristezza), elicita una risposta di ritiro che interrompe non solo l’aggressione fisica, ma anche litigi senza violenza.

L’attivazione del VIM è data dall’interazione tra arousal del SNA e l’inibizione del comportamento, tramite un processo di condizionamento classico. Una compromissione di questo meccanismo, dovuta a deficit fisiologici, o mancanza di esperienze precoci di socializzazione o combinazione di entrambi i fattori, comporta l’assenza di emozioni morali ( senso di colpa, rimorso) e di espressioni relative a tali emozioni. Secondo il modello di Blair la compromissione del VIM comporterebbe effetti specifici : gli psicopatici ,infatti, non presenterebbero un deficit nella teoria della mente o nel riconoscimento di emozioni diverse da quelle morali, ma allo stesso modo presenterebbero risposte di aumentata vigilanza tipiche per stimoli minacciosi e atipiche solo per stimoli come le espressioni di sofferenza e di paura da parte degli altri. Blair parla anche dell’incapacità di questi soggetti di distinguere tra regole “morali” e “convenzionali”. I soggetti con deficit nel VIM giudicano un’azione “cattiva” solo perché è convenzionalmente definita tale.
E’ stato poi riscontrato, anche un anomalo funzionamento dell’amigdala quando si tratta di prendere decisioni di tipo morale. Le emozioni di questi soggetti sono praticamente nulle, essi infatti non provano senso di colpa, vergogna o rimorso e soprattutto non sono in grado di riconoscere le emozioni negative, come la tristezza e la paura, sul volto degli altri. Il sistema limbico sembra quindi svilupparsi in maniera anomala. L’amigdala risiede in questa zona neurale ed è una struttura a forma di mandorla situata nella superficie mediale del lobo temporale. E’ quella parte del cervello coinvolta in maniera significativa nelle generazione delle emozioni. La mancanza di affetto e spessore emotivo sono caratteristiche tipiche dell’individuo psicopatico. Questa regione, perciò, non funziona bene nei soggetti in questione.

Yang e colleghi ( 2009 ) scoprirono che complessivamente, negli psicopatici era stata osservata una riduzione del 18 % nel volume dell’amigdala e riuscirono a mapparne i nuclei corrispondenti. Tre dei tredici nuclei vennero trovati deformati negli psicopatici quali il nuclei centrale, basolaterale e corticale.

Il nucleo centrale è coinvolto nel controllo delle funzioni del sistema nervoso autonomo ed è implicato anche nell’attenzione e nella vigilanza ( Knapska et al. 2007 ). Il nucleo basolaterale è importante nell’imparare ad evitare azioni che hanno come conseguenza la punizione ( Knapska et al. 2007 ). Ed infine il nucleo corticale è coinvolto nei comportamenti genitoriali positivi.

Non ci sorprende perciò che gli psicopatici presentino danni funzionali in aree importanti per il comportamento prosociale.
La causa del cattivo funzionamento dell’amigdala potrebbe essere ambientale come effetto di un cattivo sviluppo neurale fetale dovuto a traumi della salute come la nicotina, l’alcol o altri agenti tetratogeni o potrebbe essere genetica dal momento che l’amigdala è situata al centro del cervello e generalmente non subisce traumi. La scoperta di Yang a proposito delle malformazioni strutturali dell’amigdala negli psicopatici è con tutta probabilità una predisposizione causale a una condotta spietata e crudele. Il danneggiamento dell’amigdala perciò predispone le persone a futuri comportamenti psicopatici.

Andrea Glenn ha scoperto inoltre, che la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata posteriore e la circonvoluzione angolare risultano disfunzionali negli psicopatici al momento di prendere una decisione e sono associate a particolari caratteristiche interpersonali di questi soggetti come il fascino, le bugie, gli inganni, l’egocentrismo e la capacità di manipolazione.

Gli psicopatici, per questo motivo, per quanto si possano sforzare non riescono a comprendere il proprio comportamento e ad integrare l’emozione nel pensiero sociale.
La nostra coscienza è regolata da un buon funzionamento del nostro sistema nervoso autonomo, detto anche viscerale a causa del suo ruolo chiave nel regolare le emozioni.

Questi soggetti presentano una personalità priva di coscienza, senza paura ed incline al rischio. Pertanto non hanno nessuna percezione della paura e nessun interesse per gli altri, non provano dispiacere per l’altro dal momento che mancano dell’empatia necessaria a comprendere il dolore altrui. Successivamente, Raine parlò del caso di un bambino di nome Raj, un teppista violento e psicopatico che amava terrorizzare la gente e manipolare l’altro. Quando gli si chiese se si sentisse mai dispiaciuto per le sue vittime la sua risposta fu : << no, perché se la sono cercata!>> ( Over Aggressive 2001). Psicopatici come Raj applicano il cosiddetto principio del “castigo meritato” per difendere le loro azioni scellerate. Essi provano divertimento ed eccitazione durante i loro omicidi e tutto ciò li porta ad essere freddi, insensibili, imperturbabili, senza cuore e non si fermano davanti a nulla. Questo è causato dalla mancanza di paura, dall’ipoattività fisiologica e dalla ricerca di stimoli durante i primi stadi della vita.

Dal momento che la nostra coscienza è composta da reazioni viscerali, possiamo misurarla attraverso la sudorazione ovvero attraverso un riflesso condizionato misurato dalla conduttanza cutanea. E’ possibile pensare alla coscienza come un insieme di risposte emotive a riflesso condizionato.

Gli psicopatici mostrano una scarsa paura condizionata, in parte perché sono cronicamente ipoattivi. A causa di questa mancanza di paura condizionata, mancano di una coscienza pienamente sviluppata e tutto ciò li porta ed essere quello che sono e a fare quello che fanno. Reazioni emotive condizionate , come il sentirsi sconvolti o feriti, sviluppate durante i primi stadi dello sviluppo, vengono memorizzate nel cervello, accumulandosi fino a formare la propria coscienza. Individui socializzati sviluppano una sensazione di disagio anche al solo pensiero di rubare qualcosa o aggredire qualcuno, perché pensieri del genere suscitano ricordi inconsci di punizioni avvenute durante i primi stadi della vita.

Questo è ciò che ci impedisce di uccidere qualcuno. Robert Hare (1993) ritiene che gli psicopatici siano senza coscienza e che dunque, quando questa viene meno si possono acquisire dei tratti in questione.

Sappiamo che una buona mente per prendere delle buone decisioni ha bisogno di affidarsi a dei “ marcatori somatici” prodotti dal corpo.

Le emozioni guidano un buon processo decisionale e dunque, senza emozioni e marcatori somatici non saremmo in grado di prendere buone decisioni. Dunque, la disfunzione autonoma è una componente e la bassa frequenza cardiaca è un fattore di rischio nel predisporre alcune persone ad uccidere a sangue freddo.

Gli psicopatici prendono cattive decisioni mettendo sottosopra la loro vita e quella degli altri sfortunati che si trovano nel loro cerchio sociale. La mancanza di reattività emotiva autonoma porta all’incapacità di ragionare e di operare la scelta più vantaggiose in situazioni rischiose. Deficit prefrontali nell’infanzia, adolescenza e in età adulta sono seguiti da una comportamento psicopatico. Gli individui psicopatici non presentano solo una riduzione significativa del volume della materia grigia prefrontale, ma, come abbiamo già affermato, mostrano anche una conduttanza cutanea ridotta e una frequenza cardiaca poco reattiva durante la prova di stress sociale e mancano di marcatori somatici ,ovvero, di quei campanelli d’allarme corporei che ci avvisano che stiamo per compiere una mossa rischiosa. Varie ricerche hanno dimostrato che il deficit strutturale sembra essere localizzato nella regione ventrale della corteccia prefrontale.
La regione frontale mediale inoltre gioca un ruolo importante nella paura condizionata, nell’inibizione delle reazioni comportamentali (dal momento che molti psicopatici hanno un comportamento disinibito e impulsivo), nel processo decisionale morale, nella scelta tra gratificazioni dilazionate nel tempo e gratificazioni immediate ( secondo Dolan e Fullam ( 2004 ) e Miller e Lynam ( 2003 ) molti psicopatici sono meno in grado di rimandare la gratificazione ). Questa regione si attiva anche quando guardiamo noi stessi e valutiamo i nostri pensieri e sentimenti ( Ramnani e Owen 2004 ).
In maniera simile possiamo notare che la regione ventrale controlla e corregge il comportamento collegato alla punizione. Infatti, deficit in quest’area portano questi soggetti ad essere recidivi, essi sembrano non essere in grado di imparare dai propri errori. Inoltre essa è stata anche collegata alla compassione, all’attenzione verso gli altri ( Toro et al. 2008 ), e alla sensibilità verso gli stati emotivi altrui ( Schirmer et al. 2008 ). Per questo motivo gli psicopatici non sono le persone più premurose al mondo e mancano di introspezione. La regione ventromediale contribuisce anche all’intuito e al comportamento disinibito ( Aron et al. 2004 ). E’ stato dimostrato ,inoltre, che la corteccia prefrontale ventrale riduce le emozioni negative durante le interazioni gentitore-bambino ( Whittle et al. 2008 ) ed è probabile che i criminali, da bambini, abbiano avuto scatti d’ira nei confronti dei loro genitori.

Gli psicopatici hanno uno scarso funzionamento esecutivo come le ridotte capacità di pianificare il futuro, controllare il comportamento e prendere decisioni appropriate. Le aree del cervello classicamente associate con queste funzioni esecutive si trovano nella corteccia prefrontale dorsolaterale.
Come abbiamo detto, la psicopatia potrebbe derivare da un danno o da una disfunzione cerebrale precoce che riguarda particolarmente l’area frontale, che ha un ruolo fondamentale nei processi mentali superiori. Vi sono evidenti somiglianze comportamentali tra psicopatici e pazienti con danno ai lobi frontali. Tali somiglianze comprendono difficoltà nella programmazione a lungo termine, scarsa tolleranza della frustrazione, irritabilità e aggressività, superficialità affettiva ,comportamento socialmente inappropriato e impulsività. Ricerche recenti, però non hanno trovato nessun segno di danno nei lobi frontali degli psicopatici. Inoltre diversi ricercatori hanno sostenuto che certe disfunzioni del lobo frontale non implicano necessariamente un danno reale e possono essere l’effetto e non la causa dell’impulsività e della frequente mancanza di inibizione dei comportamenti inappropriati. Le conseguenze dei danni alle aree frontali del cervello possono riprodurre diverse componenti della personalità psicopatica, quali scarsa capacità di giudizio e di pianificazione, inefficacia delle punizioni e condotta socialmente inadeguata. Queste regioni, però hanno comunque un ruolo cruciale nella regolazione del comportamento e sembra comunque ragionevole ipotizzare che, per qualche ragione quale una connessione difettosa o un danno precoce, nello psicopatico siano relativamente inefficaci per la regolazione del comportamento.
Generalmente deficit nell’amigdala e nella corteccia prefrontale ventromediale o orbitofrontale suggeriscono un legame con la psicopatia.

Esistono poi, delle anomalie cerebrali “neuro-evolutive” per cui il cervello non cresce nella dovuta maniera. Un segnale precoce della cattiva crescita del cervello è dato da una malattia neurologica chiamata setto pellucido cavo. Il setto pellucido è composto da due strati di materia bianca e grigia fusi insieme, che separano i ventricoli laterali. Durante lo sviluppo fetale si crea una piccola cavità piena di liquido esattamente in mezzo a questi due strati e nel corso dell’secondo trimestre di gravidanza il cervello cresce rapidamente e si sviluppano le strutture limbiche e mediane quali l’ippocampo, l’amigdala, il setto e il corpo calloso. Il rapido sviluppo di queste strutture comprime i
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due strati insieme, fino a che questi si fondono. Quando però le strutture limbiche non si sviluppano normalmente la cavità tra i due strati resta e dunque parliamo di setto pellucido cavo.
E’ stato scoperto che il grado di chiusura incompleta del setto pellucido è più alto negli psicopatici e ciò riflette una qualche interruzione dello sviluppo cerebrale. Non si comprendono ancora quali possano essere i fattori specifici del cattivo sviluppo limbico che dà origine al setto pellucido cavo, sappiamo però, che l’abuso di alcol durante la gravidanza ha un ruolo attivo ( Swayze et al. 2006 ).
Il setto pellucido cavo sembra quindi predisporre le persone ad un comportamento psicopatico. Le anomalie dell’ippocampo, viste in precedenza, potrebbero essere collegate alla anomalia del setto pellucido cavo dal momento che esso forma parte del setto-ippocampale. Al centro del nostro cervello si trova il corpo calloso che connette i due emisferi cerebrali.

E’ stato riscontrato un volume maggiore del corpo calloso nei soggetti psicopatici, come se vi fosse troppa connettività tra i due emisferi. Molti psicopatici hanno il dono della parlantina, sono molto loquaci, affascinanti e grandi artisti dell’imbroglio riscendo a convincervi di qualsiasi cosa. Sembra che questi soggetti utilizzino entrambi gli emisferi per elaborare il linguaggio e questo a sua volta è dovuto a un corpo calloso più grande e che comunica meglio.

Inoltre sembra evidente un aumento del 10 % del volume dello striato. L’aumento delle dimensioni dello striato porta ad una ipersensibilità alla gratificazione e dunque, se noi siamo capaci di dire no quando siamo tentati da qualcosa, gli psicopatici vogliono solo quello che gli interessa e lo vogliono subito.

E’ possibile affermare che nei soggetti in questione l’ippocampo destro è più grande di quello sinistro, lo striato è di dimensioni più grandi e il corpo calloso ha un volume maggiore. Queste strutture crescono in modo anomalo durante l’infanzia e si pensa che questa alterazione sia di natura neuro-evolutiva. Perciò quando vengono interpretati deficit strutturali dell’ amigdala, dell’ ippocampo, del corpo calloso e dello striato nei nostri soggetti psicopatici, queste anomalie dovrebbero essere il risultato del processo di qualche malattia o di un trauma evidente. Queste cause dovrebbero portare a delle riduzioni generali del volume delle strutture citate.

Gli psicopatici ,inoltre, sono straordinariamente bravi a mentire. E’ importante specificare che dire la verità è facile, invece, mentire richiede più risorse per l’elaborazione. Raine pensa che la sostanza bianca prefrontale aumentata fornisca all’individuo un aiuto nella capacità cognitiva del mentire, perché riflette una maggiore connettività tra le subregioni della corteccia prefrontale e di altre aree cerebrali.
L’aumento di sostanza bianca prefrontale riscontrata negli psicopatici adulti predispone all’inganno e all’astuzia.
Per quanto riguarda gli psicopatici di successo, gli studi riscontrano delle differenze e degli effetti simili a quelli presentati dagli psicopatici di non successo. Infatti, come quest’ultimi presentano deficit dell’amigdala, ma potrebbero non essere così marcati come nei nostri psicopatici. Sembrano non esserci deficit del lobo frontale, mentre vi sono prove di un ridotto funzionamento della corteccia orbitofrontale e dell’intatto funzionamento di quella prefrontale dorsolaterale. L’intatta risposta autonoma e il migliore funzionamento esecutivo potrebbero proteggere questo tipo di psicopatici dall’essere identificati e arrestati, consentendo loro di continuare a danneggiare significativamente gli altri.
Gli studi sulla psicopatia si sono avvalsi di brain imaging condotti su una varietà di campioni e le scoperte sulle differenze nei cervelli dei nostri soggetti non riflettono necessariamente anomalie e compromissioni. Queste differenze sono molto più sottili rispetto a quelle riscontrate in pazienti con un danno cerebrale. Le scoperte effettuate con il brain imaging in gran parte hanno potuto confermare ciò che era stato ipotizzato dalla ricerca psicofisiologica, neurologica e comportamentale.

Ricapitolando:

  • L’amigdala e la corteccia ventromediale/orbitofrontale sono le regioni maggiormente associate alla psicopatia.
  • Le regioni del circuito neurale morale quali il giro angolare, il cingolato posteriore e la corteccia prefrontale mediale presentano delle riduzioni della sostanza grigia associabili ai tratti psicopatici. Queste regioni sono implicate nel decision making morale suggerendo che un comportamento psicopatico possa essere causato da compromissioni.
  • L’aggressività strumentale nella psicopatia è associata a correlati neurobiologici unici con una ridotta risposta dell’amigdala. Questi soggetti infatti potrebbero essere aggressivi a causa di un’assenza di input proveniente dall’amigdala, che comporta un’assenza di paura ed empatia verso gli altri; a differenza di altri individui in cui l’aggressività è dettata da sistemi iperattivi di risposta alla minaccia.
  • Potrebbero essere suggerite delle anomalie nel neurosviluppo associate alla psicopatia come quelle rilevate dal setto pellucido e dal corpo calloso.
  • Gli studi di imaging funzionale sui giovani con tratti di insensibilità hanno prodotto scoperte relativamente simili a quelle con campioni adulti, invece, gli studi di imaging strutturale hanno evidenziato scoperte differenti presumibilmente indicative di un ritardo nella maturazione delle regioni cerebrali di cui si è scoperto un differente funzionamento negli adulti psicopatici.

Gli studi di genetica comportamentale stimano che il 40-60% della varianza nella psicopatia è di origine genetica. E’ dunque vero che il danno cerebrale causa il crimine come raccontava anche Lombroso, ma non possiamo escludere nemmeno la spiegazione ambientale alternativa secondo cui i fattori ambientali causano il cambiamento del cervello. Essi specialmente nella forma di lesioni alla testa, giocano un ruolo essenziale nel causare danni cerebrali.
Gli psicopatici presentano cervelli guasti, cervelli che sono fisicamente diversi dai nostri.
Si mettono cosi in luce sia le predisposizioni biologiche e genetiche sia l’importanza fondamentale dell’ambiente nel modellare le deformazioni strutturali del loro cervello.
Abbiamo notato che ci sono molti fattori relativi alla salute che avvengono alla nascita e anche prima della nascita che portano alcuni soggetti ad essere predisposti alla psicopatia come : le complicazioni alla nascita ( parto podalico o taglio cesareo d’emergenza), la distruzione a livello dello sviluppo cerebrale del feto , l’esposizione al fumo o all’alcol (il corpo calloso viene colpito particolarmente, e vi è una scarsa neurotrasmissione glutammatergica che a sua volta riduce la plasticità dell’ippocampo), o l’esposizione al testosterone sono elementi importanti nella genesi della violenza e della psicopatia.
La scarsa salute mentale è un fattore di rischio dal momento che riflette il tipo di disfunzione cerebrale che può predisporre le persone a compiere la violenza.
Molte persone non accettano di applicare il termine ‘psicopatico’ ai bambini. Ma l’esperienza clinica e la ricerca empirica sostengono che elementi di questo disturbo di personalità si manifestano per la prima volta in età molto precoce. La psicopatia infatti, non insorge improvvisamente, senza alcun preavviso, nell’età adulta. I precursori del profilo psicopatico si rivelano per la prima volta nell’infanzia.
La mancanza di una relazione continua e affettuosa con la madre può provocare nel bambino l’incapacità di iniziare delle relazioni interpersonali normali. Questo causa la mancanza di una relazione calda e intima tra madre e figlio. Bowlby la chiama “psicopatia anaffettiva”. Vi è un periodo critico durante l’infanzia nel quale il contatto con la mamma è davvero importante, negli esseri umani questo periodo comincia a sei mesi e finisce verso i due anni. Dunque la rottura del legame madre-figlio per almeno quattro mesi, come riportato nei bambini dello studio di Copenaghen di Raine, blocca lo sviluppo sociale ed interpersonale del bambino. Tutto ciò porta ad un congelamento creando le basi per un individuo psicopatico e privo di emozioni.
Si sottolinea così l’importanza di costruire un legame con la figura di attaccamento cioè quella figura che si prende cura del bambino e che non sia necessariamente la madre. Sani legami di attaccamento portano il soggetto a sviluppare in futuro delle adeguate relazioni sociali.
Tutti i bambini iniziano il processo di sviluppo privi delle limitazioni imposte dalle regole sociali, ma alcuni restano straordinariamente immuni alle pressioni della socializzazione. Sono più difficili, ostinati, aggressivi e provocatori, sono meno disposti ad essere guidati e istruiti e più resistenti alle relazioni e all’intimità.

Durante la scuola elementare la presenza di queste caratteristiche segnala una divergenza dallo sviluppo normale:

  •  mentire in modo ripetitivo e senza alcun processo riflessivo;
  • manifestare indifferenza verso i sentimenti, le aspettative o la sofferenza degli altri, o mostrare incapacità di comprenderli;
  • creare gravi e seri problemi senza timore di rimproveri e punizioni; avere un eccessivo atteggiamento di sfida nei confronti dei genitori, insegnanti e norme sociali;
  • marinare continuamente la scuola, rimanere fuori fino a tardi e assentarsi da casa;
  • effettuare piccoli furti;
  • comportamenti caratterizzati da persistente aggressività, bullismo e litigi fisici;
  • torturare o uccidere animali;
  • commettere vandalismi o atti incendiari.

Il DSM – IV non presenta una categoria che comprenda tutte le sfumature della personalità psicopatica nei bambini e negli adolescenti. Descrive una classe di disturbi del comportamento caratterizzati da condotte socialmente disturbanti, che spesso creano maggiori disagi sia negli altri che nelle persone affette da queste sindromi. Tra questi disturbi vi sono : il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, il disturbo oppositivo provocatorio e il disturbo della condotta. Quest’ultimo si avvicina maggiormente alla psicopatia, ma non riesce a cogliere i tratti di personalità emotivi, cognitivi e interpersonali quali l’egocentrismo, la mancanza di empatia, l’assenza di colpa e di rimorso. E’ probabile che molti psicopatici adulti soddisfacessero i criteri per una diagnosi di disturbo della condotta quando erano più giovani, ma non è vero l’inverso, cioè che molti bambini con disturbo della condotta diventeranno adulti psicopatici.

Eventi del tipo “ Adolescente in Colorado attende pazientemente mentre due amiche colpiscono a morte sua madre con un martello”, “Polizia di Kansas City giocata da un bambino di dodici anni. In preda alla gelosia, ha ucciso la sorellina più piccola e la madre che progettavano la festa di compleanno” o “Bambina di quattro anni uccide i fratellini gemelli di tre settimane lanciandoli sul pavimento, dopo che uno dei due accidentalmente l’aveva graffiata mentre giocava”, cominciano ad acquistare significato se accettiamo il fatto che tratti di personalità della psicopatia si presentano molto presto.
Alcune teorie vedono la psicopatia come il principale prodotto di fattori genetici o biologici, altre, invece, presuppongono che la psicopatia sia l’effetto di un ambiente sociale primario gravemente inadeguato. Come succede spesso in molte controversie, la verità sta nel mezzo, ovvero gli atteggiamenti e i comportamenti psicopatici sono molto probabilmente il risultato di una combinazione di fattori biologici e ambientali.

Natura e cultura svolgono un ruolo fondamentale nella genesi di questo disturbo.

Secondo una teoria biologica ( Hare 1970 ) alcune strutture cerebrali dello psicopatico maturano con una velocità abnormemente lenta. Questa teoria ha una duplice base : da un lato emergono somiglianze tra gli elettroencefalogrammi degli adulti psicopatici e quelli degli adolescenti della popolazione normale; dall’altro si riscontrano somiglianze tra alcune caratteristiche dello psicopatico (egocentrismo, impulsività, egoismo, e difficoltà a differire la gratificazione) e dei bambini. Per alcuni ricercatori ciò suggerisce che la psicopatia riflette sostanzialmente un ritardo evolutivo. Però è in dubbio il fatto che l’egocentrismo o l’impulsività dei bambini e degli psicopatici siano realmente la stessa cosa.
Traumi cranici e neurologici di disfunzioni cerebrali sono dei fattori di rischio che interagendo con i fattori sociali come un ambiente familiare instabile potrebbero dare origine alla violenza e alla psicopatia. Più precoce è il trauma, maggiori saranno le caratteristiche psicopatiche? Ci sono alcune prove che il rischio di psicopatia cresce se il trauma avviene in fase precoce. Ciò non significa che un trauma precoce conduce alla psicopatia, ma che è assai probabile che individui psicopatici abbiano subito traumi interpersonali precoci. Le complicazioni alla nascita e la carenza di cure genitoriali sono cruciali. Basta dunque, una predisposizione genetica e la presenza di stili di attaccamento insicuro per “creare” uno psicopatico?
Sebbene un ambiente familiare che crei legami di attaccamento insicuro possa essere un fattore di rischio, sembra che nella storia degli psicopatici sia presente un pregresso traumatico. Dal punto di vita psicologico i grandi traumi sono la violenza sessuale, psicologica, familiare, i lutti, le separazioni precoci, come ci ha insegnato Bowlby, e soprattutto il mental trauma ovvero quel trauma evolutivo dove non vi è nessuna violenza o abuso, ma una condizione di trascuratezza all’interno di un ambiente evolutivo caratterizzato da uno scenario di attaccamento insicuro.

Il trauma non va misurato solo attraverso la sua intensità e severità, ma deve essere riportato all’interno di un ambiente evolutivo. L’ambiente caratterizzato da un attaccamento sicuro ha la possibilità di essere elaborato a differenza di quello insicuro caratterizzato dal non detto e dall’indicibile. Il primo permette il conforto, la possibilità di parlare, di guardarsi, di costruire una relazione umana. Il dare conforto permette il concetto di resilienza cioè la capacità di recupero psicobiologico in relazione a una situazione avversa. Se il trauma ricade all’interno di un attaccamento insicuro e quindi di non conforto, il soggetto traumatizzato avrà una bassa soglia di tolleranza al dolore e tenderà a sperimentare dolorosamente qualsiasi cosa. I traumi perciò hanno degli effetti ed implicano una disregolazione affettiva. E’ possibile ipotizzare nello psicopatico un’incapacità di regolare in modo efficace gli affetti negativi ( Newman 1998 ). Questa tendenza alla disregolazione affettiva, probabilmente effetto dei fallimentari legami di attaccamento, porterebbe lo psicopatico ad avere una risposta immediata nell’agire. Una volta scaricato l’impulso è capace di ritornare alla sua occupazione come se nulla fosse successo.
Riscontrare solo ed esclusivamente la presenza di legami di attaccamento inadeguati e di traumi relazionali precoci negli individui psicopatici non aggiungerebbe molto alla nostra condizione del disturbo. Può darsi che la condizione di insicurezza o disorganizzazione del sistema di attaccamento, così come una storia evolutiva caratterizzata da abuso, trascuratezza e incuria da parte dei genitori, siano fattori di rischio aspecifici, ma molto gravi per lo sviluppo di diverse patologie ( Steele e Steele, 2008).

L’ambiente è comunque importante, infatti il contesto familiare modera la relazione tra la paura condizionata e il comportamento violento. L’ambiente sociale inoltre modera, o altera, la connessione tra scarso funzionamento prefrontale e omicidio. Il rifiuto materno specialmente se combinato con determinati fattori biologici tra cui le complicazioni durante il parto rappresenta un rischio per la generazione di violenza futura. Lo sviluppo dell’attaccamento madre-figlio, nel periodo critico che precede l’adozione, viene interrotto e non è facile per la famiglia adottiva riuscire a colmare il vuoto che si è creato. In questo caso i processi genetici sono responsabili dei comportamenti violenti mostrati dai bambini cresciuti in una bella famiglia. Raine parla dell’ ipotesi della spinta sociale quando emergono fattori biologici e genetici come base per un comportamento psicopatico in un ambiente familiare positivo. Le cause sociali del comportamento criminale sono la spiegazione più convincente del comportamento psicopatico nel caso di soggetti cresciuti in condizioni familiari avverse. Il fenomeno della spinta sociale afferma che negli ambienti in cui non vi sono fattori di rischio sociali, i fattori biologici spiegano più probabilmente il comportamento deviante. Detto ciò possiamo affermare che le esperienze sociali cambiano il cervello.
Per concludere, gli studi effettuati fino ad oggi sostengono che le due strutture che si pensa siano coinvolte nel disturbo psicopatico di personalità si trovino nel sistema limbico e nella corteccia frontale. All’interno del sistema limbico vi sono delle strutture precise quali l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia cingolata anteriore. All’interno della corteccia frontale invece, vi sono la corteccia orbito-frontale, dorso laterale e mediale. Pare che queste regioni sembrino contribuire a forgiare le caratteristiche emotive e cognitive dei soggetti psicopatici. Ma le basi biologiche e genetiche non sono gli unici elementi che conducono alla psicopatia. L’ambiente sociale ha influenze ancora più importanti sul cervello. Esso può modificare le proteine andando ad alterare la trascrizione del DNA nell’attivazione del materiale genetico.

Si pensa che l’espressione genica venga particolarmente influenzata durante il periodo prenatale e postnatale ( Mill e Petronis 2008 ). La mancanza sociale, emozionale e nutrizionale nei primi istanti di vita, causa un funzionamento a regime ridotto della corteccia orbito-frontale, infra-limbica prefrontale, dell’ippocampo, dell’amigdala e della corteccia laterale temporale ( Chugani et al. 2001 ).
Stress cronici e prolungati come l’interruzione o le scarse cure da parte del caregiver creano danni al sistema di risposta allo stress. Tutto ciò porta ad uno squilibrio dei meccanismi di stress-difesa fino alle degenerazione cerebrale ( Oitzl et al. 2010 ). Queste carenze creano danni notevoli al cervello perciò crescere in un ambiente che causa stress influisce non solo sull’espressione genica e sul funzionamento neurochimico, ma anche sulla crescita e sulla connettività del cervello. Per cui fattori sociali e ambientali avversi precoci quali la povertà, deprivazione, trascuratezza, abuso emotivo o fisico, rifiuto dei genitori o metodi educativi incoerenti potrebbero concorrere alla creazione di una personalità psicopatica. Le vite di questi soggetti sono piene di rifiuto materno, abusi fisici e sessuali, di traumi vari, di povertà e malnutrizione. E come abbiamo detto, questi danni sociali colpiscono alcune aree specifiche del cervello ovvero quelle che si pensa siano collegate alla psicopatia.
Secondo Hare la psicopatia emerge da un complesso processo di interscambio tra fattori biologici e forze sociali. I fattori genetici contribuiscono alle basi biologiche del funzionamento cerebrale e alla struttura della personalità. Questa a sua volta influisce sul modo in cui l’individuo reagisce e risponde alle esperienze di vita e all’ambiente sociale.

I fattori sociali e le pratiche educative influenzano il modo in cui il disturbo si sviluppa e si esprime nel comportamento. Essi contribuiscono a formare l’espressione comportamentale del disturbo, ma il loro effetto sull’incapacità di provare empatia o di sviluppare una coscienza morale è ridotto perché tutto ciò deriva in parte da influenze biologiche che agiscono sul feto e sul neonato. Un ambiente deprivato e disturbato, in cui il comportamento violento è comune, trova un allievo diligente nello psicopatico, per il quale la violenza non è emotivamente diversa da altre forme di comportamento. Ma anche un ambiente familiare sano a volte non riesce a distogliere gli psicopatici da un’esistenza di fredda autogratificazione. Il comportamento genitoriale può non essere responsabile degli ingredienti essenziali del disturbo, ma può essere determinante per il modo in cui il disturbo si sviluppa e si esprime. Ovviamente è indubbio il fatto che un comportamento inadeguato della famiglia e un ambiente sociale e fisico sfavorevole possano esacerbare problemi potenziali.
Inoltre, lo psicopatico sembra privo della capacità di mentalizzare e di leggere i propri stati mentali, ma sembra capace di leggere gli stati mentali degli altri senza però entrare in contatto empatico con le proprie vittime (Dadds et al. 2009). Questa combinazione di leggere gli stati mentali altrui e mancanza di empatia rendono lo psicopatico capace di manipolare a proprio piacimento le proprie vittime e di sfruttarle senza alcun rimorso fino al momento di abbandonarle al loro destino o ucciderle.

D’altronde anche altre persone possono apprendere comportamenti violenti, ma grazie alla loro capacità di empatizzare e di inibire gli impulsi, non li mettono in atto con la stessa facilità degli psicopatici. Per cui un approccio multidisciplinare deve tener conto sia dei fattori ambientali che di quelli biologici dal momento che le differenze individuali nei tratti psicopatici sono legate a diversi fattori come differenze nella codifica del gene trasportatore della serotonina, differenze nei livelli di cortisolo e testosterone, differenze nel funzionamento dell’amigdala o differenze nei fattori ambientali come la cura genitoriale, l’abuso e la trascuratezza e le complicazioni alla nascita. La comprensione, quindi, delle interazioni biosociali ci permette di comprendere al meglio i meccanismi sottostanti la psicopatia.

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