resilienza psicologia

Resilienza: definizione completa

Articolo di Olga Pagano

All’interno di questi nuovi paradigmi che in America e in Europa, soprattutto in Francia, si è assistito alla proliferazione di studi e
ricerche su bambini che a dispetto dell’alto rischio di devianza, dovuto a problemi famigliari e/o sociali, avevano uno sviluppo
positivo, o su adulti che nonostante avessero vissuto nella vita guerre, violenze, abusi o incidenti, avevano trovato un equilibrio
che li aveva portati ad avere un’esistenza gratificante. Tra questi studi quello più celebre e all’interno del quale fece per la prima
volta la comparsa il termine resilienza fu quello di Werner e Smith (Werner & Smith, 1992). A partire dal 1955 per circa un trentennio Werner condusse una ricerca longitudinale su 698 neonati dell’isola Kauai (Hawaii). Circa un terzo di questi neonati per la psicologia classica avevano tutti i prerequisiti per una prognosi. di disagio psichico o sociale, in quanto esposti a diversi fattori di rischio (nascita difficile, povertà, famiglie con problemi di alcolismo, malattie mentali, aggressività etc.).

Contraddicendo le previsioni, un terzo di questi bambini, settantadue per la precisione, erano riusciti in età adulta a migliorare la loro condizione di vita ed erano diventati adulti in grado di avviare relazioni stabili, che si impegnavano sul lavoro e si prodigavano per gli altri. Il riscontrare in queste persone una possibilità di miglioramento ha aperto un ambito di studi sulla conoscenza di quei fattori di protezione che possono favorire uno sviluppo adeguato.

 

Comprendere cosa aveva reso resilienti quei settantadue bambini, consenti di spostare l’ottica dall’analisi sui motivi che determinano una fonte di disagio, ovvero sulla mancanza e sulla vulnerabilità verso l’indagine e successivamente la presa in carico e cura di quelle risorse individuali e famigliari che consentono alla persona di integrare le proprie risorse con i propri limiti e comprendere che l’esperienza traumatica che pur rimane iscritta nel profondo dell’animo, può divenire un occasione formativa di crescita personale (Malaguti, 2005).

Il termine resilienza per come ha iniziato ad essere usato in psicologia da Werner e Smith è in realtà una metafora di un fenomeno misurabile in fisica, ovvero dell’attitudine di un corpo a resistere senza rotture in seguito a sollecitazioni esterne brusche o durature di tipo meccanico (Devoto, 1971).

Un significato equivalente è riscontrabile anche in altre discipline. In biologia la resilienza è la capacità di autoripararsi
dopo un danno, mentre in ecologia tanto più un ecosistema è dotato di variabilità dei fattori ambientali, tanto più le specie che vi
appartengono sono dotate di un’alta resilienza.

Nel linguaggio informatico la resilienza di un sistema operativo è rappresentata dalla capacità di adattamento alle condizioni d’uso e di resistenza all’usura.

Il termine, traslato dalla fisica, dalla biologia e dall’informatica viene utilizzato dalla psicologia e dalla sociologia per indicare la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando inoltre le proprie risorse sul piano personale e sociale (Oliverio Ferraris, 2003).

La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi
aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita (Malaguti, 2005).

Ma questa è solo una delle possibili definizioni, perchè nel panorama attuale la resilienza è un ambito di studio per diverse discipline scientifiche che indagano questo fenomeno ognuna da un punto di vista differente.

Le neuroscienze pongono il fuoco sulla funzione plastica del cervello capace di sostenere il soggetto traumatizzato grazie alla
riattivazione funzionale di circuiti neuronali del benessere (Edelman, 1992; Le Doux, 1996). La psicobiologia studia i rapporti
mente corpo e la riorganizzazione positiva del sistema biologico in risposta al trauma e al dolore (Cyrulnik, 2006; Damasio, 1994).

La psicologia, la sociologia e la psicopedagogia hanno come ambito d’indagine la conoscenza e la gestione delle situazioni traumatiche a sostegno dello sviluppo (Speltini, 1968). All’interno di questa pluralità di apporti scientifici, che hanno fatto della resilienza una prospettiva d’indagine trasversale nell’ambito delle scienze umane, possono essere rintracciate molteplici definizioni del termine resilienza che pur differenziandosi per riferimenti teorici e fattori evidenziati, hanno come elemento comune la visione della complessità del fenomeno e l’individuazione di diverse variabili tra loro in interazione (Putton & Fortugno, 2006).

Nell’ambito della psicologia e più propriamente della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio (Luthar & Ziegler, 1991; Rutter, 1979). La resilienza viene inoltre vista come una qualità genetica che però, nell’arco della vita può manifestarsi e essere sviluppata grazie all’interiorizzazione di legami significativi. Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) definisce la resilienza come una trama dove il filo dello sviluppo si intreccia con quello affettivo e sociale. Anaut (Anaut, 2003) sostiene che essere resilienti non significa essere individui invulnerabili, inaccessibili alle emozioni, alla sofferenza.

La persona resiliente non è un super eroe, ma solo una persona comune dotata di molte qualità ma che può andare incontro a rotture di resilienza e a depressioni.

La resilienza infatti non è una caratteristica presente in tutta la vita, anche per una persona dotata di qualità resilienti possono infatti esserci momenti e situazioni troppo faticose da sopportare e Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) in linea con Anaut, considera gli
individui resilienti come persone che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza per superare le avversità. Riconoscere che la persona, la famiglia, il gruppo, la comunità si situano all’interno della storia della persona resiliente, consente di trovare dei collegamenti con il modello ecologico umano e sociale di Bronfenbrenner (Bronfenbrenner, 1979). All’interno della prospettiva psicosociale viene posta un’enfasi ancora maggiore sulle esperienze famigliari per coltivare la speranza e sostenere l’individuo verso un nuovo progetto di vita (Garmezy, Masten, & Tellegen, 1984; Rutter, 1985, 1988).

Emiliani (1995) presenta la resilienza come una competenza che si sviluppa all’interno della dimensione relazionale e viene accresciuta e fortificata da tutte le esperienze in grado di favorire un sentimento di efficacia  personale e di valorizzazione del Sé.

Nell’ambito della prospettiva psicosociale il concetto di resilienza è utilizzato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità per indicare una condizione che amplifica la coesione dei membri fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti (Cyrulnik & Malaguti, 2005; Grotberg, 1995; Newman & Blackburn, 2002).

L’approccio psico-educativo, sottolinea invece l’aspetto dinamico ed evolutivo del comportamento resiliente, attribuendo grande
importanza alla promozione e allo sviluppo di quelle capacità resilienti che possono sostenere il benessere individuale e impegnandosi concretamente nella realizzazione di progetti di intervento e nella ricerca di nuove metodologie per potenziare le competenze resilienti (Malaguti, 2005; Putton & Fortugno, 2008; Zani & Cicognani, 1999). In un’ottica sistemica la resilienza viene considerata come la capacità di un sistema di far fronte ai cambiamenti, imprevisti e improvvisi, provocati dall’esterno e di
superare queste crisi attraverso un cambiamento qualitativo in grado di mantenere la coesione strutturale e funzionale del gruppo. La resilienza del singolo quindi, si sviluppa nella capacità dei sistemi sociali connessi (famiglia, scuola, società) di creare delle condizioni protettive (tutori di resilienza) per supportare le difficoltà legate al trauma (Bronfenbrenner, 1979).

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