Come gestire meglio le emozioni

Articolo di Irena Semi

Ascoltare le proprie emozioni, seguirle e gestirle a proprio vantaggio è la chiave per un buon adattamento. Il bambino inizia ad apprendere fin da piccolo come gestire le proprie emozioni.

Questo accade grazie alla relazione con la figura di attaccamento primario, che dà significato alle prime esperienze, fornisce un senso di coesione con se stessa, permette di imparare a riconoscere e a interpretare gli stati d’animo propri e degli altri, a gestirli e a rispondere a essi in modo coerente.

Crescendo il bambino beneficia degli insegnamenti sulla vita emotiva dal resto dell’ambiente familiare: impara a percepirsi come individuo e a conoscere le reazioni degli altri all’espressione dei suoi sentimenti.

Poi compaiono educatori, insegnanti e compagni di gioco, che rivestono un ruolo importante nella vita del bambino, e che, entrando in contatto con lui, diventano potenziali socializzatori delle sue emozioni. In genere, già i bambini in età prescolare incominciano a rendersi conto di e a riconoscere l’ambivalenza delle situazioni emotive e le reazioni diverse in differenti persone, iniziando quindi a prendere coscienza delle strategie di regolazione delle emozioni.

Specialmente nelle prime fasi dell’infanzia, per il raggiungimento di uno scopo, agiscono da regolatori le emozioni con un immediato effetto tangibile, positivo o negativo, quelle che hanno la conseguenza tempestiva di permettere o di impedire il verificarsi di una situazione favorevole: è la capacità di regolare le proprie emozioni che consente di raggiungere o di mantenere una condizione positiva e di evitarne una negativa.

Un semplice metodo per poter verificare le strategie adottate dai bambini per la gestione delle emozioni consiste nel raccontare loro delle storie e chiedere poi come aiutare il protagonista a cambiare emozione. I bambini, dai quattro ai nove anni, dimostrano la capacità di saper trasformare la rabbia del protagonista con uno stato emotivo positivo; i più piccoli invece usano mezzi indiretti che non affrontano la causa.

Quando i bambini entrano nel mondo scolastico, le emozioni iniziano a rivestire un ruolo importante anche in relazione ai processi di apprendimento, connessi in modo profondo ad esse: l’apprendimento è notevolmente influenzato dall’intelligenza emotiva, e in particolare dalla capacità di gestire le proprie emozioni.

Se un alunno manifesta irrequietezza, ansia o nervosismo, non sarà capace di concentrarsi sul compito da svolgere, rispetto a uno che invece è tranquillo. Per un apprendimento efficace, il bambino deve quindi sviluppare non soltanto doti cognitive, ma anche di tipo emozionale (fiducia, autocontrollo, curiosità, intenzionalità) e relazionale (sintonia e collaborazione con gli altri, desiderio e capacità di comunicare, equilibrio delle proprie esigenze rispetto a quelle del gruppo).

Al contrario, un’intelligenza emotiva non abbastanza sviluppata avvicina bambini e adolescenti a diversi rischi: nervosismo, impulsività, aggressività, depressioni, violenza, droga.

Un recente studio dimostra l’effettiva possibilità di ridurre fenomeni quali bullismo e uso 32 di alcool grazie a programmi specifici nelle scuole: l’obiettivo principale era valutare gli effetti del programma olandese “ Skills for Life” che mira a migliorare le abilità sociali ed emotive degli studenti e la capacità degli insegnanti di trasferire queste abilità.

I risultati, anche senza dare risposte significative generali sulla diminuzione dei fenomeni negativi considerati, indicano tra l’altro una maggiore efficacia di questo tipo di intervento in studenti con una “posizione di partenza meno ottimale”, ovvero che a beneficiarne maggiormente sarebbero le scuole con più alto afflusso di famiglie disagiate.

Nella fase dell’adolescenza le emozioni assumono un peso forse ancora maggiore che nelle precedenti: si sperimentano per la prima volta stati emotivi complessi, e altri già conosciuti in passato cambiano sfumatura e importanza. Un esempio significativo è il grande investimento di emozioni che viene riversato sul gruppo dei pari, i cui componenti non sono più soltanto compagni di giochi, ma risultano fondamentali per un continuo confronto, per vedere e valutare se stessi, per colmare le fisiologiche carenze di autostima. Inoltre l’adolescenza è “l’età dell’ambivalenza emotiva” .

A causa della 33 facilità e della velocità con cui diverse emozioni si trasformano l’una nell’altra, gli adolescenti si trovano poco preparati a gestire efficacemente il proprio mondo emotivo.

Risulta chiaro quindi come proprio loro abbiano più bisogno di adeguati strumenti innanzitutto per il riconoscimento delle emozioni. Molte volte anche i termini usati dagli adolescenti per comunicare i loro stati d’animo fanno intravedere una scarsa capacità di riconoscerli correttamente: agitazione e ansia, tristezza e preoccupazione sono spesso confuse.

Altre volte emozioni contingenti come rabbia o simpatia iniziale vengono 34 confuse e elevate allo stesso livello di sentimenti profondi e duraturi come amicizia e amore o inimicizia e odio. Aiutando gli adolescenti a riconoscere e a distinguere le emozioni, nelle loro molteplici e diverse sfumature, li si allena a comprendere meglio il proprio mondo interiore, a tollerare se stessi e gli altri, a resistere allo stress.

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