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Cosa succede nel cervello quando sei sotto stress

Articolo di Alessandra Serio

Al fine di comprendere i meccanismi sottesi alla resilienza, è necessario analizzarne le basi fisiologiche. Per far ciò, occorre fare un passo indietro e soffermarsi sul fattore che, secondo una reazione a catena, innesca la resilienza: lo stress.
Le componenti biologiche dello stress sono determinanti per comprendere la neurobiologia della resilienza.

Lo stress, in quanto risposta fisiologica ed adattiva ad una minaccia, innesca condizioni allostatiche mediante l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Gli stimoli stressanti causano il rilascio dell’ormone corticotropina (CRH) dai neuroni nel cervello. La regolazione dell’attività di tale neurone è fondamentale per l’adattamento cerebrale allo stress.

L’espressione di CRH viene modulata da una proteina denominata Orthopedia (OTP), la quale regola la produzione di due recettori presenti sulla superficie dei neuroni; questi, a loro volta, svolgono una funzione di interruttori ‘On-Off’ rispetto alla funzione di produzione dei CRH (Amir-Zilberstein et al 2012).

Secondo una ricerca condotta da Charney, vi sono undici possibili mediatori neurochimici, neuropeptidici ed ormonali della risposta psicobiologica di stress estremo, la cui influenza determina la vulnerabilità o la possibilità di recupero dell’individuo.
Oltre agli studi legati agli aspetti biologici, le ricerche condotte in ambito psicologico (Di Nuovo, 2017); (Ozbay, Fitterling, Charney, Sothwick, 2008). dimostrano l’importanza rivestita dalla percezione soggettiva (appraisal) dell’evento stressante. Ne consegue che l’intensità dello stress percepito attiva la risposta neurobiologica dell’individuo in maniera variabile. La rilevanza di tali studi è utile per comprendere come siano tali aspetti soggettivi legati allo stress che determinano, nell’individuo, la possibilità di recupero attraverso la resilienza, e come la percezione dello stress sia variabile e correlata in misura diversa, da individuo a individuo, sul versante neurobiologico.

La risposta fisiologica di adattamento allo stress acuto coinvolge un processo, denominato “allostasi” da Sterling ed Eyer, in cui l’ambiente interno varia per soddisfare la domanda percepita ed anticipata.
Se il recupero dall’evento acuto non è accompagnato da un’adeguata risposta omeostatica, si verificano effetti deleteri relativi alle funzioni psicologiche e fisiologiche, a causa del “carico allostatico”. Tale carico è l’onere sopportato da cervello e corpo che si adattano alle sfide, sia fisiologiche che psicologiche. Se lo stato allostatico perdura, esso provoca il danneggiamento dei tessuti e la desensibilizzazione delle cellule (Charney, 2004).
Sterling e McEwen hanno messo in correlazione l’adattamento positivo di fronte ad un evento stressante che caratterizza gli individui resilienti con l’allostasi.

Negli studi condotti da Waugh sui correlati neuronali della resilienza, emerge come negli individui resilienti si verifichi un’attivazione dell’insula anteriore in presenza di stimoli realmente negativi, al fine di preservare le proprie risorse psicofisiche, e di conseguenza, apportando maggior benessere psicofisico all’individuo stesso (Waugh, C. E., Wager, T.D., Fredrickson, B.L., Noll, D.C., & Taylor).

In uno studio condotto da Chasey sui meccanismi psicobiologici, l’autore mette in correlazione undici mediatori neurochimici, neuropeptidici ed ormonali alla risposta di adattamento positivo messa in atto da individui resilienti di fronte a situazioni stressanti. Tra questi, degno di nota è il sistema cortisonico-dehydroepiandrosterone (DHEA). Durante una situazione stressante si assiste ad un incremento del cortisolo, il quale agisce sui nuclei centrali dell’amigdala, inducendo la produzione di arousal. Se vi è una quantità eccessiva di cortisolo, si incorre nel rischio di effetti dannosi a livello ematologico e cardiologico. Al fine di attenuare perciò l’effetto del cortisolo, il DHEA viene rilasciato in modo sincronizzato con il rilascio di cortisolo.
Secondo diversi studi il DHEA promuove la resilienza: sono state dimostrate infatti una correlazione positiva tra alti livelli di DHEA nel sangue e l’adattamento positivo ad eventi molto stressanti, ed una correlazione negativa tra bassi livelli di DHEA ed i sintomi depressivi (Perez-Neri, 2011).

Un ulteriore mediatore coinvolto nelle risposte adattive agli eventi stressanti è il Neuropeptide Y, il quale agisce su diverse regioni del cervello, inclusi amigdala ed ippocampo, esercitando un effetto ansiolitico.
Il ruolo del neuropetide Y si correla dunque con performance ottimali nell’esecuzione di compiti stressanti, mentre la carenza di tale mediatore si ravvisa in individui con un disturbo da stress post traumatico (Benini, 2018).
L’origine del livello di tolleranza allo stress da parte di un individuo risalirebbe dunque al controllo più efficace a livello neurologico di alcuni ormoni: adrenalina, noradrenalina e cortisolo, i quali, si attivano in presenza di una minaccia, ma si disattivano qualora l’individuo sia resiliente.
Un individuo non resiliente, percepirà una minaccia psicologica persistente, dovuta alla continua presenza di tali neurotrasmettitori.

Inoltre, nel cervello degli individui resilienti si riscontra un uso maggiormente equilibrato di dopamina, neurotrasmettitore del piacere, strettamente correlato con la ricompensa e la gratificazione ed ormone chiave nella gestione delle situazioni avverse (Charney, Southwick, 2012).
Grazie ai recenti sviluppi e progressi degli studi nell’ambito delle neuroscienze, è possibile comprendere meglio la relazione che intercorre tra il livello di esperienze ottimali, le relative aree cerebrali attivate e la resilienza.
Ad esempio, negli individui che a seguito di un evento positivo registrano un maggior benessere psicofisico, si verifica una maggior attivazione del corpo striato e della corteccia prefrontali e minori livelli di cortisolo.
Il corpo striato e la corteccia prefrontale sono elementi del circuito neurofisiologico della ricompensa chiamato anche circuito dopaminergico della ricompensa perché la dopamina è il neurotrasmettitore protagonista di questa complessa rete neurale (il cosiddetto circuito “want”). E’ stato suggerito che un sostenuto grado di attivazione del circuito della ricompensa in risposta ad eventi positivi sia alla base del benessere e della regolazione adattiva dell’ asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Agnoletti, 2015). Sempre riguardo l’asse HPA è stato visto che in seguito ad eventi negativi (anche di natura traumatica) corteccia prefrontale e amigdala sono inversamente attivati e predicono la produzione di cortisolo.
La resilienza ha la sua localizzazione neurofisiologica nel tratto neurale mielinico che connette la corteccia prefrontale e l’amigdala (Davidson, 2013).

E’ stato dimostrato (Manzanoa et al, 2013) che le differenze individuali nella propensione ad avere esperienze ottimali sono legate alla disponibilità del recettore D2 della Dopamina che si trova nel corpo striato dorsale, struttura questa che fa parte del circuito della ricompensa.

Ad un maggior grado di esperienze ottimali corrisponde, sul piano fisiologico, una maggior attivazione del tratto neurofisiologico corrispondente alla resilienza, oltre ad una miglior regolazione adattiva dell’asse HPA, che favorirebbe un minor livello di cortisolo prodotto.
Tali conoscenze sono utili al fine della promozione di un miglioramento della qualità della vita e del benessere globale della persona.

La resilienza allo stress, oltre a promuovere la capacità dell’individuo di far fronte e gestire lo stress e a garantirgli migliore capacità di adattamento positivo, è implicata nel processo di rallentamento dell’invecchiamento. I fattori neurobiologici sottesi alla resilienza allo stress, tra cui i sistemi serotoninergici (5-HT), in cui la compromissione del TPH che porta alla diminuzione della sintesi del 5-HT del cervello compromette successivamente la capacità di affrontare lo stress incontrollabile; glutammatergici e y-aminobutirrico (GABA), considerati attori chiave nel controllo della paura e dell’ansia, ed il ruolo del bilancio del glutammato-GABA sta diventando sempre più rilevante nello sviluppo e nel trattamento dei disturbi dell’umore indotti dallo stress; e l’asse ipotalamo-ipofisario (HPA), controller chiave per l’adattamento endocrino e comportamentale allo stress che facilita le risposte alla minaccia, sono dunque coinvolti non solo nella prevenzione rispetto all’insorgenza di disturbi psichiatrici indotti dallo stress, ma anche nel miglioramento della salute, della qualità della vita, e, di conseguenza, nel rallentamento del processo di invecchiamento (Faye et al, 2018).

È importante sottolineare, alla luce di tali dati, che diversi studi (MacLeod et al, 2016) hanno scoperto che gli adulti di età pari o superiore a 85 anni hanno una capacità simile di resilienza ad individui più giovani.

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