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Le 7 caratteristiche migliori delle persone resilienti

Articolo di Alessandra Serio

Dal momento che, secondo l’APA (Associazione degli Psicologi Americani), la resilienza è una caratteristica posseduta da tutti, e consiste in comportamenti che possono essere appresi e perfezionati, questo paragrafo si propone l’intento di elencare in che modo si possa sviluppare la resilienza.

Essa consiste in un’integrazione di capacità, ossia: la capacità di socializzare e mettersi in relazione con gli altri in modo supportivo, mettendo a disposizione amore, fiducia ed un atteggiamento rassicurante; la capacità di progettare realisticamente i propri obiettivi e designare tappe per raggiungerli; la capacità di comunicare in maniera adeguata e di saper gestire e risolvere situazioni problematiche; la capacità di gestire le emozioni e gli impulsi; una visione positiva di sé e la fiducia nelle proprie capacità e risorse.

L’APA suggerisce dieci modi per costruire la resilienza, vale a dire: sviluppare una rete di connessioni sociali; evitare di considerare le crisi come problemi insormontabili; accettare che il cambiamento faccia parte della vita; focalizzarsi sulla realizzazione dei propri obiettivi; agire in modo deciso; nutrire un’immagine positiva di sé; considerare le cose in prospettiva; mantenere una visione ottimistica; prendersi cura di sé; creare modalità personali di rafforzamento della resilienza (APA, 2012).
La resilienza, secondo Zani e Cicognani, consiste in due competenze fondamentali, ossia, la flessibilità e la resistenza rispetto ad eventi dolorosi (Zani e Cicognani, 1999).

Creatività, intelligenza ed immaginazione sono ulteriori caratteristiche fondamentali che contraddistinguono le persone resilienti (Cramer, 2000).

Tra le life skills di un individuo resiliente, rientrano: il pensiero critico ed il pensiero creativo, il decision-making, il problem solving, l’autoconsapevolezza, l’empatia, e la gestione emotiva e dello stress (Putton e Fortugno, 2006).
La resilienza è costituita da un insieme di comportamenti, pensieri ed atteggiamenti che possono essere appresi, perciò, sono state elaborate strategie, tecniche e programmi volti a promuovere e potenziare le componenti resilienti, nell’arco della vita (Putton e Fortugno, 2006).

Affinché un individuo possa appropriarsi di tali componenti, è necessario che ciò avvenga in una dimensione relazionale, e che possa far esperienza di situazioni che ne garantiscano sentimenti di efficacia personale e valorizzazione del Sé (Emiliani, 1995).
L’aspetto dinamico della resilienza e l’importanza della dimensione relazionale spiegano l’applicazione del concetto di resilienza non solo a livello individuale, ma anche e soprattutto in riferimento a gruppi e comunità, ed in tal senso, contribuisce ad accrescere la coesione del gruppo, valorizzando le risorse dei singoli (Gotberg, 1995).
Comunità resilienti sono costituite da gruppi resilienti, che a loro volta, sono costituiti da individui resilienti. La resilienza dei singoli può svilupparsi grazie a condizioni protettive garantite da sistemi sociali quali famiglia, scuola e società, che possano supportarli in circostanze avverse (Brofenbrenner, 1979).
Tra le componenti coinvolte nello sviluppo della resilienza, un ruolo fondamentale spetta all’ottimismo (Cantoni, 2014). L’individuo ottimista, in circostanze negative, tende ad abbracciare la soluzione anziché soffermarsi sul problema, preservandosi dal disagio e dalla sofferenza psicofisica.

Le difficoltà divengono relative, transitorie e circoscritte e nei momenti di crisi, tali individui riescono a mantenere più lucidità rispetto agli altri (Seligman, 2000).

Un altro elemento importante è l’autoefficacia: essa corrisponde alla percezione soggettiva i quanto si sia in grado di reagire in diverse situazioni; tale percezione contribuisce a condizionare le prestazioni future del soggetto, e, di fronte allo stress, determina la capacità di sapervi far fronte, in base alla percezione di possedere o meno le risorse adeguate per affrontare la situazione. Secondo la teoria dell’autoefficacia di Bandura (Bandura, 2000), il processo tramite cui avviene l’autovalutazione è dovuto alle attribuzioni causali, cioè, a cosa gli individui credono siano dovuti i propri successi e fallimenti, se fattori interni o esterni.
Secondo Weiner (Weiner, 1994), le attribuzioni si distinguono in base a tre fattori:

  • Locus of control: ovvero se la causa di un successo o di un fallimento è dovuta a fattori interni o esterni all’individuo;
  • stabilità: ovvero quanto durano i risultati nel tempo;
  • controllabilità: ovvero quanto controllo si possiede sui fattoi in gioco.

Un individuo funzionale e resiliente dovrebbe possedere una via di mezzo tra il locus of control interno ed esterno: in tal senso, sarebbero maggiormente in grado di assumersi responsabilità, e sentirsi partecipi e padroni delle proprie scelte, e sarebbero in grado di raggiungere gli obiettivi minimizzando il disagio emotivo, e la credenza che i successi diano totalmente dovute a circostanze favorevoli, e di essere completamente in balia degli eventi, senza possibilità di scelta.

La consapevolezza di poter intervenire per migliorare le circostanze e risolvere i problemi consente anche la messa in atto di strategie di coping efficaci e adatte a diverse situazioni, e, tale aspetto, è correlato con al resilienza, in quanto implica aspetti della personalità quali: autoefficacia, fiducia in se stessi, creatività, reattività e adattamento positivo alle situazioni avverse, da cui si è in grado di trarre insegnamento e beneficio (Zani e al, 2009).

L’ambiente di sviluppo contribuisce significativamente alla capacità di un bambino di divenire un adulto in grado di gestire le difficoltà; in tal senso, atteggiamenti volti alla costruzione della resilienza, andrebbero promossi da parte dei genitori, per il recupero dei giovani a rischio di condotte deviante, e, più in generale, per prevenire che ciò si verifichi.
I fattori chiave legati ad uno sviluppo efficace ed un funzionamento resiliente risultano essere: un funzionamento familiare positivo, relazioni positive tra i pari, planfulness, autodisciplina ed abilità cognitive (Burt e Paysnick, 2012).
Fornire ai bambini un ambiente amorevole e supportivo è necessario per proteggerli dall’esposizione ad uno stress precoce, ripetuto e per garantire loro di sviluppare una padronanza maggiore degli eventi, e l’inoculazione da stress (Southwick e Charney, 2012).

In letteratura, rispetto al rischio di sviluppare psicopatologia, si riscontrano tre tipi, o livelli, di resilienza:

  • resilienza primaria: considerata un fattore protettivo rispetto allo sviluppo di una malattia mentale, e correlata alla prevenzione delle stesse; spiega come mai alcune persone siano più esposte di altre a sviluppare disturbi (Kalisch e al., 2015);
  • resilienza secondaria: ovvero la capacità degli individui di affrontare la malattia e recuperare; implica un ritrovato equilibrio e crescita personale, legati allo sviluppo di una vita più significativa (Shrivastava e al, 2016);
  • resilienza terziaria: ossia la capacità di vivere in maniera produttiva la propria malattia, e lo sviluppo concomitante di positività e creatività
    Il recupero clinico, funzionale e personale di un individuo è legato dunque anche al livello di resilienza raggiunto (Jakovljevic 2017).

E’ stato realizzato uno studio pilota sulla fattibilità dell’attuazione di un programma, Resilience and activity for every day (READY) che possa insegnare tecniche e competenze per incrementare la resilienza; tale programma è basato su cinque fattori protettivi, sulla base di ricerche ed evidenze empiriche, ossia: emozioni positive, flessibilità cognitiva, supporto sociale, significato della vita e coping attivo.

Il programma comprende psicoeducazione, discussioni, esercizi esperienziali e compiti a casa, sottoponendo i partecipanti, in conclusione, a questionari autosomministrati, che hanno rilevato, grazie a programma, maggiori livelli di aspetti come: padronanza, emozioni positive, crescita personale, consapevolezza, accettazione, stress, autoaccettazione, ed autonomia (Burton, 2010).

Il concetto di resilienza presenta similitudini con il GRR (General Resistance Resources) formulato da Antoovsky; tale concetto è costituito da fattori intrapsichici e risorse esterne che agiscono da protezione rispetto agli stressors, contribuendo alla regolazione dell’omeostasi dell’organismo. Fondamentale, inoltre, la necessità di assegnare un significato agli eventi traumatici, perché possano avere uno spazio nel proprio sviluppo identitario; a tal proposito, un esempio di quanto detto è costituito dal modello della Casita, di Vanistendael e Lecomte, secondo cui, appunto, alla base dell’autostima vi è la capacità di dare un senso agli eventi (Castelli, 2010).

La Casita deriva dal tentativo di sintesi delle ricerche scientifiche sulla resilienza, mediante la metafora della casa ed è costituita perciò dalle tappe fondamentali da percorrere per costruire o rafforzare il proprio livello di resilienza. Tale approccio è stato presentato per la prima volta ad un convegno in Cile, ed è da lì che deriva il nome.

Il suolo alla base della Casita rappresenta i bisogni fisici fondamentali; le fondamenta sono le relazioni formali ed informali che intercorrono tra l’individuo e la propria famiglia, gli amici, i vicini ecc, ed hanno la caratteristica fondamentale di essere supportive e, soprattutto, garantiscono la piena accettazione dell’individuo, in quanto portatore di valore, da parte della propria rete sociale, fatta eccezione per determinati atteggiamenti, poiché altrimenti si tratterebbe di mera indifferenza o accondiscendenza.

Il giardino ed il pian terreno costituiscono la capacità di attribuzione di senso alla propria vita e la coerenza che intercorre tra i propri sentimenti, i pensieri e le azioni.

Al primo piano è collocata l’autostima, legata all’accettazione, assieme alle attitudini, le competenze ed il senso dell’umorismo (che garantisce di saper ancora ridere di fronte ad un’avversità) ed il piano in sé rappresenta la spinta ad ideare e realizzare progetti, di assumersi responsabilità ed essere protagonisti della propria vita.
L’ultima zona è il granaio che rappresenta la gamma di esperienze possibile che contribuiscono alla resilienza.

I vari paini non sono statici e non seguono un percorso lineare, ma ciascun campo può essere invertito in base alla circostanza; ciascun fattore rappresentato dagli spazi della Casita potrebbe essere esacerbato per cui, ad esempio, l’umorismo potrebbe divenire sarcasmo, e le competenze potrebbero essere utilizzate a discapito degli altri, perciò, è necessaria prudenza nell’uso di tale approccio (Vanistendael e Lecomte, 2000).
L’immagine della casa è un riferimento ai concetti di appartenenza ed accoglienza, e si configura come luogo in cui passato, presente e futuro si integrano tra loro; ma allo stesso tempo può essere intesa come una casa interiore in cui è possibile abitare ed imparare a conoscersi. La resilienza, declinata in diverse forme, è considerata un fattore protettivo per la salute, che promuove non solo la qualità della vita ed il benessere psicofisico, ma contribuisce alla longevità. Uno studio, condotto in una comunità di centenari che erano stati esposti ad esperienze infantili avverse, ha messo in evidenza tale aspetto, descrivendo le otto pratiche infantili messe in atto dagli individui, che ne hanno migliorato ed allungato la vita. Tali pratiche includevano: la vita cinetica, le pratiche spirituali, l’aiuto offerto, il cameratismo di familiari ed amici, l’impegno verso la natura, il giusto riposo, i cibi semplici e la spinta alla speranza. Tra queste, il supporto di familiari ed amici si è rivelato l’elemento più comune tra i partecipanti, riconfermando l’importanza della coesione sociale nel determinare la propria ripresa rispetto a momenti difficili (Spencer-Hwang, 2018).

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