Le tecniche di psicologia per aumentare la resilienza

Articolo di Alessandra Serio
Approcci terapeutici mirati alla costruzione della resilienza

Il lavoro terapeutico mirato alla costruzione della resilienza, si basa sul fornire all’individuo gli strumenti per effettuare delle trasformazioni cognitive in momenti critici, e, tale possibilità, si configura quale marker specifico di resilienza, in quanto costituisce un adattamento ad eventi avversi.

Secondo un’ottica preventiva, interventi destinati all’infanzia, volti a promuovere abilità socio-emotive e ridurre la vulnerabilità, contribuirebbero a strutturare la personalità di un bambino, redendolo resiliente.

Ad esempio, ai bambini che presentano bassi livelli di Ego Control ed Ego Resilience, sono riservati specifici interventi che consentano un adattamento flessibile, in diversi contesti sociali.

Nella fase della preadolescenza invece, gli interventi dovrebbero essere mirati a rafforzare abilità sociali e a fornire gli strumenti per la regolazione emotiva e comportamentale.

Tra gli interventi rivolti a bambini a rischio, assume rilevanza il The Fathers and Sons Programs, a cura di Caldweell, ossia un programma per ragazzi nella fase preadolescenziale, che beneficiano, grazie a questo programma, di supporto e di un implemento delle risorse familiari, col fine di ridurre il rischio di sviluppare una dipendenza, e di mettere in atto condotte violenti o devianti, o sviluppare promiscuità sessuale. Tale programma permette un maggior coinvolgimento del padre nella vita del proprio figlio, favorendo le competenze genitoriali, ed inquadrando la figura del padre come fonte di resilienza (Ardizzone, Galosi, 2016).

Considerare l’identità di un individuo, soffermandosi sulle varie sfumature di cui è costituita, è un punto di partenza notevole, per comprendere come orientare il lavoro terapeutico mirato alla costruzione della resilienza. Pertanto la metafora dei cinque petali dell’identità, proposta dalla psicoterapeuta Consuelo Casula, è utile a descrivere le caratteristiche che definiscono gli individui: il fiore in sé rappresenta l’interezza del soggetto, mentre i petali costituiscono diversi aspetti dell’identità, ossia corporeo, sociale, professionale, valoriale e segreto.

L’intervento terapeutico mirato alla promozione della resilienza dovrebbe indurre il paziente ad accettare ed affrontare i cambiamenti, intendendoli come sfide da superare grazie alle risorse interne ed esterne di cui dispone, al fine di risignificare gli eventi passati (Casula, 2011).

La resilienza si configura come uno dei possibili risultati da perseguire attraverso il lavoro terapeutico.
Ciò dimostra che, esiste una via per contrastare la sofferenza e raggiungere un nuovo stato di equilibrio emotivo, acquisendo maggior forza e creatività.

Il primo passo in tale direzione consiste nel non negare la sofferenza, ma avviare un processo di accettazione, in quanto la consapevolezza dei propri stati emotivi, qualora essi siano negativi, ne consente l’elaborazione e la significazione. Poter restituire un significato agli eventi, consente anche all’individuo di comprendere il proprio ruolo rispetto ad essi, per uscire dall’impasse data dal senso di impotenza, e di inquadrare l’esperienza secondo una nuova ottica, che permette di considerare la possibilità che v siano esiti diversi rispetto a quelli vissuti fino a quel momento, e pertanto, promuove apertura al cambiamento e speranza nel futuro.

La psicoterapia, perciò, si rivela lo spazio ideale per contenere il dolore e riassegnargli un senso: in questo spazio, l’individuo impara a non distogliere lo sguardo dalla propria sofferenza, ma a soffermarsi su di essa, senza che questa possa sopraffarlo, in quanto può avvalersi, in tale processo, della presenza dello psicoterapeuta; rivivere l’esperienza traumatica, in un’ottica diversa, ne consente, oltre che l’elaborazione, anche la successiva integrazione nella propria memoria autobiografica: questo è un processo cruciale, in quanto, fino a quel momento, la memoria dell’evento traumatico, resta esclusa dalla coscienza, per proteggere l’individuo dall’intrusività dei ricordi (Grigoli, 2014).

La resilienza implica la capacità di assumere un atteggiamento tanto elastico da integrare gli eventi traumatici, accettando aspetti di sé, come la fragilità, riscoprendola altrettanto importante quanto la forza.
Per far ciò, è necessario adottare una logica non lineare, fuori dall’ordinario (Nardone, 2008) che, anziché classificare gli eventi come positivi o negativi, possa arrivare a considerare, o ri-considerare il positivo anche grazie alla presenza del negativo: tale tipo di logica si discosta dalla razionalizzazione, andando oltre al semplice “pensare”, per integrare il “sentire” (Nardone, 2013). La psicoterapia, oltre ad agire a livello psicologico, inducendo cambiamenti nella sfera intrapsichica e relazionale, apporta cambiamenti nell’attività funzionale del cervello attraverso l’alterazione dell’espressione dei geni, che a loro volta producono alterazioni di specifiche aree cerebrali (Kandel 1999).

Nel tentativo di superare il riduzionismo che riconduce la resilienza alla sfera prettamente individuale, piuttosto che a quella relazionale, Selvini e colleghi, in un’ottica integrativa tra le due aree, hanno stilato un ideale percorso terapeutico di costruzione della resilienza in sei fasi:

  • Prima fase: riconoscere l’esistenza di un trauma irrisolto;
  • Seconda fase: mettere in sicurezza la vittima, ossia, fornirle una base sicura, secondo Bowlby ed holding, secondo Winnicott;
  • Terza fase: condividere il dolore, ossia, dare voce alla sofferenza, per superare i vissuti di impotenza;
  • Quarta fase: costruire un racconto coerente ed equilibrato, ossia, sfuggire alle polarizzazioni, quali la drammatizzazione e la banalizzazione;
  • Quinta fase: non essere vittima, ossia, uscire da tale condizione, riconoscendosi come agente attivo del proprio benessere;
  • Sesta fase: riconciliazione, ossia, lasciarsi alle spalle gli eventi traumatici, per voltare pagina, senza serbare rancore o vendetta, e perdonare in primo luogo se stessi (Selvini e al, 2012).

E’ fondamentale tenere a mente che non tutto dipende dalle nostre azioni e dalla nostra influenza; perciò, nel momento in cui non possiamo agire sull’esterno, dobbiamo agire sul nostro interno, rivalutando le circostanze. Molte cose sfuggono al proprio volere e controllo, ma ciò che dipende da noi, e che possiamo imparare a gestire col tempo, è la nostra personale reazione agli eventi, che può essere modulata grazie al lavoro terapeutico, garantendo un senso di efficacia ma al contempo di liberazione dal senso di impotenza (Hanson, 2019).

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