Come affrontare la Gravidanza: consigli dello psicologo

 

Affrontare il problema della gravidanza e della genitorialità è oggi più complesso di quanto non lo fosse un tempo, poiché vi è stata una profonda trasformazione di ruoli.

In passato la cultura imponeva alla donna come compito la procreazione e l’allevamento della prole, il figlio dunque era spesso investito di molti significati economici e sociali a scapito di quelli affettivi.

La maternità è un evento cruciale nella vita di una donna, ma anche dell’uomo e della comunità stessa, per cui ogni cultura ha sempre teso a regolamentarla attraverso norme e prescrizioni.

Entro il costrutto dell’attaccamento, sono state sistematizzate le funzioni genitoriali, dividendole in funzioni di sicurezza, funzioni di stimolo, funzioni di socializzazione e infine funzioni di trasmissione trans-generazionale dei valori.

Il significato che i genitori hanno attribuito a mettere al mondo i figli si è gradatamente trasformato nell’evoluzione storica e sociale: l’isolamento peculiare della famiglia nucleare moderna è andato crescendo e ha contribuito a privare la donna dei sistemi di protezione che operavano per esempio nella famiglia patriarcale.

Ora siamo di fronte alla procreazione responsabile, il più delle volte frutto di una scelta personale, per cui un figlio scelto porta con sé notevoli aspettative.

Oggi i genitori investono moltissimo nel numero sempre più ridotto di figli che mettono al mondo, e ciò può diventare un problema, perché i figli sentono di dover corrispondere ad un’immagine ideale di sé,  impegnativa e irraggiungibile. Il bambino rischia di diventare un contenitore delle difficoltà dei genitori o una forma di realizzazione.

E poi ci sono le genitorialità in qualche modo problematiche, come la genitorialità differita che, ritardando il processo gestazionale, evidenzia la tendenza a separare la coniugalità con la genitorialità.

Oppure la genitorialità “a tutti i costi”, reazione delle coppie che, maturato il desiderio di avere un figlio, si trovano di fronte all’impossibilità di realizzarlo; questa genitorialità inappagata scatena ansie e aspettative che sono quasi sempre conseguenti a protocolli di procreazione assistita, la quale può indurre ad un controllo onnipotente sul concepimento e quindi sulla nascita.

Nuovi studi sull’infertilità hanno dimostrato come essa possa avere origine dal mancato raggiungimento, da parte della coppia, della giusta maturazione di un progetto gestazionale: è la cosiddetta infertilità psicosomatica o psicogena.

E ancora, la genitorialità adottiva, che esprime un diverso modo di affrontare la sterilità e vede i coniugi trasformare il desiderio per un figlio in quello di prendere a carico un bambino, attraverso un vero e proprio viaggio psichico volto ad attuare la “transizione alla genitorialità”.

La nascita di un figlio rappresenta sempre un evento critico per la coppia, che deve dar vita ad un progetto gestazionale che consenta ad entrambi i futuri genitori di creare nella propria mente lo spazio indispensabile per accoglierlo. Questa transizione mobilita l’intero sistema familiare nel quale la diade madre-bambino vive e primo fra tutti, il padre.

I genitori contemporanei sembrano non riuscire a darsi e a dare confini di ruolo stabili e chiari, la crisi della famiglia tradizionale incide sulla formazione dei nuovi individui e quindi dei nuovi genitori. Il diventare genitori comporta l’elaborazione di una serie di cambiamenti, di perdite, di angosce e l’adulto deve saper rinunciare a parti di sé affinché il figlio possa diventare una persona. La genitorialità è una situazione evolutiva strettamente legata alla storia relazionale di ciascuno,e  riattiva le rappresentazioni mentali e le passate esperienze di attaccamento con i propri genitori, quindi il neonato interiorizza non solo la coppia genitoriale, ma anche il legame che questa ha avuto e ha con la propria storia famigliare.

Riteniamo che quei processi psichici che consentono aggiustamenti affettivi, cognitivi e comportamentali debbano essere attentamente monitorati e valutati in un’ottica di prevenzione.

Gli interventi per la famiglia vanno dunque pensati, attuati e verificati in una visione non assistenzialistica, bensì relazionale e sussidiaria.

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