Il Gioco d’azzardo patologico secondo il modello psicosociale

Interessante è la lettura psicosociale che dà Goffman (1969) del gioco d’azzardo. L’autore nel saggio Where the Action is parla di passione, della ricerca di azione da parte del giocatore per poter riempire o evadere momenti di noia, mancanza di senso, depressione, insoddisfazione ma anche come bisogno di rituali e pensiero magico contrapposti ad una routine, quotidianità governata dalla razionalità. Quindi per Goffman il gioco d’azzardo è un’attività atta a soddisfare i bisogni emotivi del soggetto e gli offre l’opportunità di entrare in azione.
Un altro autore che ha dato una lettura psicosociale del fenomeno è Kusyzsyn (1984). L’autore considera il gioco d’azzardo come un’attività ludica funzionale che provvede a soddisfare dei bisogni basilari dell’uomo, tra i quali il bisogno di confermare la propria esistenza. Questo bisogno sarebbe soddisfatto attraverso, durante il gioco, dagli innumerevoli stimoli cognitivi, emozionali e fisici che esperisce il giocatore. Queste “sensazioni” fanno sperimentare al giocatore la percezione di avere la situazione sotto controllo innescando così in lui uno stato d’animo confortevole così detto di “beatitudine artificiosa”.
“È con la partecipazione attiva al gioco, insomma, che i giocatori provano a loro stessi di essere emozionalmente vivi.” (Lavanco, 2006)

Articolo di Laura Koelliker

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