7 tipi di psicopatico che puoi incontrare ogni giorno
Il termine “psicopatia” ha origini molto antiche, deriva infatti dal greco ψυχή ( anima, mente ) e πάθίά ( passione, malattia ). Per molto tempo è stato utilizzato in riferimento ad un qualsiasi tipo di sofferenza mentale, quindi, un qualsiasi disturbo come una fobia ossessiva o una depressione costituiva genericamente una “psicopatia”.
Essa andava a definire uno stato mentale abnorme che escludesse la pazzia cioè un “disturbo di personalità” così come approssimativamente lo definiremmo noi oggi.
La psicopatia è stata il primo disturbo di personalità riconosciuto dalla nosografia psichiatrica.
Il suo reale studio inizia nel primo Ottocento, quando si cominciarono a considerare alcune forme di follia nelle quali, in assenza di disturbi nelle facoltà dell’intelletto, veniva colpita la sfera morale della persona. Nel 1801 Philippe Pinel descrisse alcuni pazienti che erano mentalmente disturbati, ma non abbastanza da denotare atti autolesionistici. Si disse all’epoca che erano “malati non deliranti” e cioè persone che comprendevano il proprio status irrazionale, ma continuavano ad agire di conseguenza. Lo studio scientifico dei singoli casi non riuscì a svilupparsi ulteriormente fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando Cesare Lombroso rifiutò la teoria tradizionale secondo cui la criminalità può coinvolgere qualsiasi persona, e invece ritenne che la psicopatia e la delinquenza fossero causate da anomalie costituzionali e somatiche, rintracciandone numerosi indicatori fisici.
Poi, nel 1891 il tedesco Koch parlò di inferiorità psicopatica andando a designare un ampio gruppo di pazienti caratterizzati da un’insufficienza ritenuta congenita e incurabile che causava diversi esiti comportamentali e cognitivi.
D’altronde per una trattazione moderna della psicopatia bisognerà attendere il contributo di Kraepelin (1903) che coniò il termine di personalità psicopatica con il quale indicava pattern di personalità degenerati, identificando quattro tipi di strutture antisociali:
- bugiardi e truffatori morbosi: soggetti loquaci e affascinanti, ma che mancavano di moralità e responsabilità verso gli altri;
- impulsivi: soggetti che commettevano crimini come stupri, violenze, incendi in quanto erano incapaci di controllare i propri istinti;
- criminali professionisti: soggetti calcolatori e abili a manipolare;
- vagabondi: persone che evitavano le responsabilità e che nella vita non perseguivano una meta definita.
Nel 1915, poi, Kraepelin ridefinì le personalità psicopatiche classificandone tre tipi:
- bugiardi-truffatori: loquaci e affascinanti, senza moralità e responsabilità verso gli altri;
- litigiosi: persone ansiose con l’idea prevalente che gli altri fossero contro di loro;
- gli antisociali: soggetti da lui definiti come i veri nemici della società.
Egli contraddistinse lo psicopatico come un individuo affetto da un’ideazione paranoica e da un grave narcisismo.
Nella prima metà del Novecento, le teorie psicoanalitiche delinearono le caratteristiche personologiche di base degli psicopatici, dando rilievo alle esperienze di vita del bambino, al rapporto con le figure genitoriali, e ipotizzando nei fattori ambientali le reali cause dello sviluppo psicopatico di personalità.
In questo contesto si fece avanti Birnbaum (1909), il quale introdusse il concetto di sociopatia per designare una patologia di personalità di chiara origine socio-relazionale, essendo quasi sempre riscontrati negli psicopatici il condizionamento sociale e le difficoltà di adattamento che rendevano l’individuo dissociale.
Però, non tutti gli individui con psicopatia degenerativa, che manifestavano condotte delinquenziali, presentavano deficit organici e costituzionali. Una parte di questi soggetti doveva i propri comportamenti immorali solo alla propria naturale tendenza interiore a metterli in atto. In maggiore misura sono le condizioni ambientali e il contesto di vita dei delinquenti a non offrire loro l’opportunità di apprendere e agire condotte socialmente accettabili.
Qualche anno più tardi, Schneider (1923) descrisse gli psicopatici come individui con personalità anormale che soffrono o fanno soffrire la società.
Egli inquadrava le personalità psicopatiche come distinte dai disturbi mentali e in stretta continuità con le personalità “normali”, delle quali rappresentavano solamente delle varianti estreme.
Questi soggetti conoscevano e comprendevano adeguatamente il senso dei codici morali ed etici della società, ma erano indifferenti a queste regole che violavano con un’insensata freddezza emotiva e senza sentimenti di rimorso e vergogna.
Potevano pertanto apparire adattati nella società e ricoprire posizioni di potere e prestigio.
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