Come fare una diagnosi psicologica
IL PROCESSO DIAGNOSTICO IN PSICOLOGIA CLINICA
La classificazione si è in genere basata sulla descrizione del quadro patologico osservato: in questo caso si parla di sistemi nosografico-descrittivi.
In altri casi, quando colui che emette la diagnosi si riferisce a un modello epistemologico che ritiene le patologie espressione di cause sicuramente identificate e descritte, il sistema classificatorio si baserà piuttosto su un sistema interpretativo-esplicativo (Moderato – Rovetto, 2001, 235).
Solo avendo un linguaggio condiviso e una precisa idea del significato attribuito alle diverse categorie diagnostiche sarà possibile comunicare agli altri quanto si è fatto.
Sol usando categorie diagnostiche standard sarà possibile esprimere una prognosi o valutare rischi di trasmissione ereditaria o le possibili evoluzioni di un quadro patologico (Moderato – Rovetto, 2001, 237).
I primi significativi tentativi di standardizzazione dei sistemi di classificazione delle malattie mentali si sono avuti dopo la prima guerra mondiale.
Un certo ulteriore progresso si è avuto dopo la Seconda Guerra, in un periodo in cui il miglioramento delle comunicazioni (radio, aerei, congressi) oltre alle conseguenze delle enormi sofferenze indotte dal conflitto e al cambiamento generalizzato dei costumi, imponevano ancor di più una revisione di queste classificazioni (Moderato – Rovetto, 2001, 239).
Nell’introduzione del DSM-III del 1980 sono riferite delle considerazioni che hanno indotto gli estensori dei più moderni sistemi classificatori a rifuggire dall’antiquato modello costituito da caselle in cui collocare il caso.
Seguendo questo filone vengono costituiti sistemi di intervista semistrutturata, questionari, rating scales, self-report inventories ecc. e vengono forniti suggerimenti per facilitare e rendere sempre più attendibile il processo diagnostico.
I criteri diagnostici iniziano a comprendere i sistemi di esclusione e di inclusione che agevolano il clinico nell’individuazione del disturbo psichico. L’indagine strutturata basata su questi criteri riduce il rischio di ambiguità e di impropria interpretazione. Per ciascun item vengono date descrizioni operative. I moderni sistemi diagnostici ammettono la possibilità di includere il caso anche in più categorie diagnostiche.
Questa come vedremo è l’essenza di una diagnosi multiassiale che nei fatti è assai diversa dal processo di etichettamento tipico degli psichiatri degli anni 40.
Osservazioni di questo tipo sono considerate assolutamente essenziali nel DSM-IV del 1994. In quest’ultimo sistema classificatorio, oltre a una sostanziale unificazione con l’ICD-10 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si nota un aumento dell’importanza attribuita a fattori quantitativi e non solo qualitativi nella definizione del disturbo mentale.
Per definire correttamente molti possibili casi ambigui vengono forniti i principi per una corretta diagnosi differenziale (Moderato – Rovetto, 2001, 240).
Quanto più specifici diventano i trattamenti, tanto maggiori sono le necessità di discriminazione diagnostica. Non ci sorprende, quindi, che i progressi effettuati in ambito terapeutico siano evolutiv parallelamente allo sviluppo delle metodologie diagnostiche (Moderato – Rovetto, 2001, 240-241).
La diagnosi è un ragionamento plausibile e utile che mette ordine tra i fenomeni psicopatologici osservati, utilizzando un minimo di inferenze. La presenza, sia pur limitata, di queste inferenze, oltre alla necessità di fare riferimento a un sistema diagnostico predefinito, non consente di ricomprendere in un’unica classificazione tutti i casi possibili, ne permette di raggiungere, sempre, un pieno accordo tra i diversi operatori indipendentemente impegnati nella diagnosi.
Un sistema nosografico descrittivo di solito si basa su un sistema classificatorio. E’ importante conoscere i criteri seguiti nel suddividere le patologie per comprendere meglio la struttura del modello diagnostico di riferimento.
Le classificazionie mediche spesso suddividono le patologie seguendo criteri diversi:
- Patologia strutturale (es., colite ulcerosa);
- Sintomi (es., emicrania);
- Deviazione da norme fisiologiche (per es., ipertensione);
- Eziologia (per es., polmonite da pneumococco).
Anche i disturbi mentali sono spiegati partendo da diverse prospettive e partendo da diversi concetti; tra questi troviamo per esempio:
- Lo stress (es., disturbo acuto da stress);
- L’alterato controllo (es. disturbi del controllo degli impulsi);
- La menomazione e disabilità (es., demenza);
- La mancanza di flessibilità (es. disturbi dell’adattamento);
- L’eziologia (es., disturbi mentali dovuti a condizione medica o correlati a sostanze);
- Deviazione statistica (es., ritardo mentale) (Moderato – Rovetto, 2001, 241).
Ognuno di questi criteri è utile ma nessuno può essere considerato universale. Situazioni diverse richiedono definizioni differenti.
Se la diagnosi è corretta si tratta al massimo della migliore ipotesi fattibile in quel momento. A essa deve però seguire un costante tentativo di validazione clinica. L’andamento nel tempo del caso e la risposta alla terpaia possono fornire occasione per una conferma, una modificazione o una smentia della diagnosi.
Il fine di una diagnosi, quindi non è certamente quello di collocare in modo rigido e definitivo una persona all’interno di una categoria diagnostica. Si tratta piuttosto di un procedimento alquanto articolato caratterizzato da molteplici finalità.
Tra queste troviamo per esempio le seguenti:
- Indirizzare la scelta terapeutica;
- Facilitare la comunicazione fra operatori coinvolti nella terapai dei casi in modo tale da coordinare gli interventi terapeutici;
- Formare un linguaggio comune che consenta di comunicare con altri operatori indipendentemente dalle loro origini nazionali o dal loro orientamento. Ciò consente in certa misura di universalizzare i risultati di una ricerca, clinica o sperimentale che sia;
- Valutare l’efficacia di un trattamento farmacologico o psicoterapeutico;
- Facilitare la reperibilità su mezzi informatici;
- Facilitare la formazione, per quanto possibile di gruppi omogenei di pazienti con cui compiere ricerche;
- Fornire un chiarimento allo stesso paziente che può sentirsi rassicurato nel vedere che la sua patologia è nota e che esistono realistiche possibilità terapeutiche (Moderato – Rovetto, 2001, 242).
Una sindrome è un insieme di sintomi che, di solito, si manifestano assieme. Dopo aver identificato un sintomo, per esempio una condizione di tristezza, il passo successivo consiste nell’analizzalo più approfonditamente.
La tristezza di cui parla il paziente può costituire un sintomo isolato, causato dalla normale reazione del paziente a particolari condizioni della vita, oppure può essere la punta di un iceberg. In quest’ultimo caso, se è affiancata da altri sintomi accuratamente descritti in un moderno sistema classifficatorio (per es., nel DSM-IV), puòconsentre una diagnosi di distimia o addirittura di depressione maggiore.
Per arrivare a stabilire una diagnosi attendibile i clinici usano spesso una forma di intervista semistrutturata, utile per la stabilire l’esistenza o meno di un disturbo psichiatrico. Per rendere più agevoli e omogenee le numerose scelte necessarie al processo diagnostico, alcuni moderni sistemi di classificazione includono addirittura degli alberi decisionali. Questi, vere e proprie flow-charts, implicano l’uso di domande a cui si può rispondere con un si o con un no.
A seconda delle risposte fornite dal paziente, si passa a un’altra domanda specifica già predisposta. Il fatto di attenersi rigidamente a un protocollo di domande prestabilite può essere utile in caso di screening di massa o per fini didattici; un suo uso diretto in un classico rapporto clinico può avere, in vece un impatto negativo sulla relazione con il paziente.
I moderni sistemi di classificazione sono quindi assai diversi da quelli disponibili nell’immediato dopoguerra. Anche se molte delle innovazioni che prenderemo in considerazione hanno apparentemente reso più complesso il processo diagnostico, lo hanno certamente fatto diventare assai più flessibile e pieno di informazioni.
Questa classificazione viene abitualmente usata da esponenti di diverse professioni quali per esempio psichiatri, medici, psicologi, assistenti sociali, infermieri, terapisti del lavoro e della riabilitazione, consulenti e periti.
Nel DSM-IV ogni disturbo mentale è descritto come sindrome, o modello comportamentale o psicologico, con rilevanza clinica e che comporta disagio, disabilità, un aumento dei rischi di morte, disabilità o notevole limitazione della libertà (Moderato – Rovetto, 2001, 245).
In ogni caso non si tratta di una risposta attesa o culturalmente collegata a un evento (per es., una transitoria fase di depressione successiva a un lutto). Non sono inclusi tra i disturbi mentali i comportamenti devianti dal punto di vista politico, sessuale o religioso, né i conflitti tra individuo e società. Questa limitazione è doverosa per evitare l’uso, assai frequente nel passato, di diagnosi psichiatriche per reprimere dissidenze politiche o minoranze religiose.
Altrettanto importante è stata l’eliminazione avvenuta oltre 20 anni fa del novero delle malattie mentali, dell’omosessualità egosintonica ovvero ben accetta dall’individuo.
Il DSM-IV non classifica persone ma i disturbi presentati da persone. Per tale motivo si preferisce evitare di riferirsi al paziente definendolo schizofrenico o alcolista, ma si preferisce parlare di una persona con schizofrenia o con dipendenza alcolica.
Questa precisazione non è una pura differenza lessicale.
In questo modo, si sottolinea come il paziente mantenga la sua identità se la patologia viene superata o comunque evolve, e come l’etichetta non debba essere confusa con la persona (Moderato – Rovetto, 2001, 246).
Come abbiamo avuto occasione di vedere in precedenza, il DSM-III aveva già proposto una diagnosi multiassiale, in cui oltre alla classica diagnosi clinica (Asse 1) vengono descritte le caratteristiche della personalità (Asse 2), delle condizioni medico-sanitarie (Asse 3) e le variabili sociali, culturali e relazionali del caso (Assi 4 e 5).
Il DSM-IV ha ribadito l’utilità di questo inquadramento che ora prenderemo in analisi più approfonditamente.
Asse 1: Disturbi clinici (e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica)
Comprende le categorie diagnostiche con tutte le specificazioni per giungere a utili diagnosi differenziali (Moderato – Rovetto, 2001, 247).
Asse 2: Disturbi di personalità e ritardo mentale
Questo asse può essere utilizzato per annotare importanti caratteristiche di personalità, il ritardo mentale o meccanismi di difesa maladattivi.
Asse 3: Condizioni mediche generali
In concetto di un disturbo mentale in contrapposizione a quello fisico è superato e i confini che li separano sono poco chiari. La divisione tra disturbo mentale e condizione medica concomitante, in genere non è altro che una divisione di comodo che non implica mutua esclusione.
Tale progressivo avvicinamento tra due mondi, che fino a qualche decennio fa sembravano avere scarsi elementi in comune, è legato allo sviluppo delle ricerche in settori di interfaccia quali la psicosomatica e la somatopsichica, oltre che alle indicazioni fornite dall’incessante progresso delle neuroscienze.
Asse 4: Problemi psicosociali e ambientali
Problemi legati all’ambiente sociale, all’istruzione, lavorativi, abitativi, economici.
Asse 5: Scala per la valutazione globale del funzionamento (VGF)
Il funzionamento psicologico sociale e lavorativo viene valutato nell’ambito di un continuum in cui:
A 100 si ha un funzionamento superiore alla norma in un ampio spettro dia attività.
A 80 sono presenti sintomi transitori e pienamente giustificati da condizioni stressanti.
A 60 sintomi moderati.
A 40 alterazione del test di realtà o nella comunicazione.
A 20 grossolane limitazioni in molti ambiti (comunicazione, autonomia personale).
A 1 limitazioni estreme e infine A 0 mancano informazioni (Moderato – Rovetto, 2001, 248).
Scala del funzionamento difensivo
I meccanismi di difesa sono processi psicologici automatici che proteggono l’individuo di fronte all’ansia e alla consapevolezza di pericoli o fattori stressanti interni o esterni. I meccanismi di difesa vengono suddivisi a loro volta in gruppi affini che vengono definiti a livelli difensivi, differenziati a seconda che siano ad alto o basso livello adattivo.
Scala di valutazione globale del funzionamento relazionali (VGFR)
100-81 Globalmente superiore alla media; 20-1 globalmente inefficace; 0 informazioni insufficienti.
Scala di valutazione del funzionamento sociale e lavorativo (SVFSL)
100 funzioanmento superiore alla media; 1 completa inabilità; 0 informazioni insufficienti.
Dato che l’Asse 1 è di solito quello su cui maggiormente si rischia il disaccordo a livello diagnostico, per ogni classe patologica, nel DSM-IV troviamo la descrizione delle seguenti categorie.
Caratteristiche diagnostiche: in questa sezione vengono forniti precisi criteri diagnostici che non si limitano a un elenco di sintomi ma comprendono anche criteri di inclusione e esclusione ed esempi illustrativi.
Sottotipi e/o specificazioni: Una volta identificato il disturbo come depressivo maggiore, esso può essere singolo o ricorrente, la su intensità può essere lieve, moderata, o grave. E’ importante descrivere anche lo stato attuale del disturbo fornendo criteri per emettere questi giudizi.
Il termine specificazioni” riguarda gli elementi utili per definire l’attuale episodio depressivo maggiore: lieve, moderato grave con o senza manifestazioni psicotiche, cronico con manifestazioni catatoniche, melanconiche, atipiche, post-partum (Moderato – Rovetto, 2001, 250).
Procedure di registrazione: questa sezione fornisce le indicazioni per riportare il nome del disturbo e per selezionare e registrare i codici alfanumerici che identificano la sindrome. Tale registrazione è particolamrne utile quando prevalgono gli obiettivi di ricerca epidemiologico-statisitci.
Manifestazioni e disturbi associati
- Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati: per esempio tendenza alle somatizzazioni, al suicidio e frequente compresenza di disturbi del sonno.
- Reperti di laboratorio associati: per esempio nel caso di depressione maggiore a volte si osservano anomalie dell’elettroencefalogramma.
- Reperti dell’esame fisico e condizioni mediche associate: per esempio spesso la depressione maggiore si associa a malattie croniche.
Caratteristiche collegate a cultura, età e genere: per esempio la depressione maggiore è due volte più comune nelle femmine e nella fascia di età tra i 25 e i 44 anni.
Prevalenza: questo dato concerne l’incidenza statistica del disturbo nella popolazione.
Decorso: per esempio quando esordisce, quanto dura in genere il disturbo, quali segni indicano la cronicizzazione e la possibilità di recidive, quale è il tasso di remissione spontanea.
Familiarità: ci informa di quanto l’incidenza sia più elevata in alcune famiglie rispetto alla popolazione generale.
Diagnosi differenziale: si tratta forse della sezione più tecnica e, sotto alcuni aspetti della più affascinante. In essa vengono forniti i criteri che distinguono una patologia da altre simili. Spesso la fama del grande clinico, più che delle sue abilità terapeutiche, viene costituita proprio dalla sua capacità di formulare una diagnosi differenziale.
I criteri adottati dal DMS-IV seguono caratteristiche descrittive tipiche della medicina. Questo approccio descrittivo funziona al meglio quando le componenti delle classi diagnostiche sono omogenee e vi è una netta differenza fra classi che, quindi, diventano tra loro mutuamente esclusive.
Tutto ciò è difficile quando si propongono classificazioni in ambito psicologico (Moderato – Rovetto, 2001, 250).
I sintomi, per diventare indicatori di patologia, devono essere quantificati, valutati, posti in relazione con le condizioni di vita del paziente, con le sue condizioni fisiche e con la sua cultura di riferimento (Moderato – Rovetto, 2001, 251).
Nella diagnosi in ambito cognitivo-comportamentale l’indagine rivolta al singolo paziente non arriva a formulare un’etichetta diagnostica classica, ma riesce a mettere a fuoco le condizioni che precedono al comparsa del problema in esame, ivi compresi anche gli schemi cognitivi appresi in età infantile e successivamente rinforzati da decenni di abitudini.
Il comportamento esaminato non si limita solamente ai suoi aspetti motori, ma include anche l’esame degli aspetti affettivi e fisiologici.
Particolare importanza viene attribuita alle dinamiche individuali e sociali di indizione e mantenimento del quadro patologico.
La formulazione, la continua raccolta di dati e la verifica di ipotesi sempre più precise consente di strutturare un intervento terapeutico assai strutturato (Moderato – Rovetto, 2001, 257).
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