Alessitimia: non so esprimere le mie emozioni

Articolo di Andrea Marini

Constatato cosa significhi dotarsi di un sistema affettivo tale da permetterci la consapevolezza delle nostre emozioni, le pagine che seguiranno sono dedicate a descrivere i fenomeni che intervengono quando il sistema regolativo degli affetti risulta disadattivo e disfunzionale.
Se l’interazione diadica madre-bambino non coinvolge quest’ultimo come essere pensante, egli non sperimenta il rispecchiamento necessario alla costruzione della funzione riflessiva. Ciò si pone come fattore innescante la disregolazione affettiva e, in ultima analisi, l’alessitimia.

Qualche anno dopo le teorizzazioni di McLean, fu Sifneos a coniare il termine «alessitimia»21 che etimologicamente significa assenza di parole per le emozioni. La concezione odierna di alessitimia guarda a questo costrutto non come un fenomeno patologico categoriale del tipo “tutto o nulla”, ma come una dimensione di personalità transnosografica che si estende lungo un continuum dal normale al patologico.
Le diverse e molteplici ricerche hanno individuato nei soggetti alessitimici i seguenti tratti comuni: difficoltà a discriminare le emozioni dalle sensazioni somatiche, incapacità di verbalizzazione e vocabolario emotivo limitato, attività fantasmatica deficitaria ed uno stile cognitivo di pensiero e di espressione incolore e orientato all’esterno22.
Per quanto riguarda l’eziologia organico-biologica dell’alessitimia, la struttura chiave di questo sistema sembra essere l’amigdala, che è responsabile sia dell’emissione di una risposta immediata di attacco/fuga (via breve), sia della valutazione consapevole e sistematica del significato affettivo dello stimolo, qualora si ponesse in comunicazione con la neocorteccia (via lunga).
Coerentemente con quanto appena evidenziato i soggetti alessitimici non presentano alterazioni anatomico-funzionali nelle regioni limbiche, ma piuttosto deficit di transfer informativo tra queste e i sistemi corticali più evoluti di codifica razionale, localizzati nella corteccia prefrontale.
Un’ipotesi interessante riguardo l’eziologia è quella della dominanza dell’emisfero cerebrale destro, deputato alla percezione ed espressione del comportamento emotivo non verbale, prosodia, gestualità, espressioni facciali. Ciò spiegherebbe il perché di una sottoattivazione dell’emisfero sinistro, sostanzialmente coinvolto nel funzionamento linguistico e nell’interpretazione causale cosciente degli affetti. Si rimanda, quindi, alla concezione di alessitimia identificata da Lane e Schwartz come «blindfeel»23, equivalente emozionale della cecità.
Sulla genesi psicologica dell’alessitimia, si è ipotizzato che la causa potesse essere rintracciata nelle esperienze di attaccamento insicuro. Alla nascita soma e psiche sono confusi, indistinguibili, rappresentano una sorta di magma indifferenziato e solo successivamente si raggiunge una scissione. La relazione pre-oggettuale, che per sua natura è pre-verbale, senso-motoria e concreta è una forma arcaica di interazione, cui il bambino è pre-adattato alla nascita e che risulta essere un precursore prodromico delle relazioni oggettuali adulte.
All’interno della relazione madre-bambino, la capacità di mentalizzare è strettamente correlata alla regolazione eterodeterminata degli stati affettivi, che avviene solo in presenza di un caregiver capace di sintonizzazione e di holding. In particolare, risulta evidente il rapporto di proporzionalità inversa tra funzione riflessiva dei genitori e alessitimia del bambino, tra attaccamento sicuro e immaturità affettiva. Secondo il modello di Lane e Schwartz, lo sviluppo evolutivo prevede diversi stadi24 per la differenziazione dello psichico dal somatico, il passaggio da uno all’altro non è innato ma modulato nel contesto della relazione primaria con il caregiver.
Se la madre non si dimostra «sufficientemente buona»25, costringe il bambino a funzionare sulla base di emozioni soverchianti, non regolate, che si esprimono solo al livello autonomico.
L’alessitimia riflette una de-simbolizzazione che causa una limitata, alle volte inesistente, capacità di esperire consciamente le emozioni. Gli affetti, infatti, non sono più segnali veicolanti un contenuto comunicativo: nel funzionamento interpersonale, questi soggetti sembrano non esserci emozionalmente. Vivono in una dimensione che non riconoscono né riescono a descrivere, un vuoto affettivo in cui lo scambio verbale è sterile, deserto, senza nome né futuro.
Interpretando questo costrutto secondo la teoria del codice multiplo di Wilma Bucci, potremmo metaforicamente affermare che la distanza tra un soggetto alessitimico e un poeta risiede nella qualità dei legami tra sensazioni viscerali e simbolismo verbale, ben riflessa nell’antitetica narrativa dei due individui. Mentre nel soggetto sano le istanze di Körper e Leib si sovrappongono, pur costituendo «due epifanie della corporalità»26, nel soggetto alessitimico se ne riscontra un’inequivocabile separazione. Il Körper emerge tumultuosamente come dimensione estranea e separata dall’Io.
L’alessitimia pertanto non individua soggetti privi di emozioni, il che sarebbe impossibile ed innaturale, ma soggetti in cui i processi fisiologici e motorio-comportamentali della regolazione emotiva non sono più modulati dal livello cognitivo-esperienziale di risposta. «Give sorrow words. The grief that does not speak whispers the o’erfraught heart and bids it break»27.

 

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