Come cerchiamo attaccamento e vicinanza agli altri

Nelle varie fasce di età di un bambino, i comportamenti di attaccamento si attivano secondo modalità differenti, basate sul crescente sviluppo cognitivo e differenti esigenze di socializzazione.

 

Nei primi anni di vita vi sono quattro fasi che differenziano questi comportamenti di attaccamento:

  1. orientamento e segnali senza discriminazione della persona: comportamenti non corretti secondo lo scopo, in quanto il neonato non è in grado di distinguere il fine dai mezzi. Il corredo comportamentale è già rappresentato da azioni simili a schemi fissi d’azioni, attivati in funzione di una ricerca di contatto;
  1. orientamento e segnali diretti verso una o più persone selezionate: il bambino inizia ad orientarsi nell’ambiente e a riconoscere e differenziare i vari soggetti, manifestando un’evidente preferenza per chi si prende cura di lui;
  1. orientamento verso una figura d’accudimento mediante segnali e ricerca attiva di vicinanza: il bambino mette in atto una ricerca attiva verso la figura d’attaccamento; inizia a formarsi una vera e propria relazione con la madre;
  1. formazione di un rapporto reciproco, corretto secondo lo scopo: il bambino riesce a distinguere il fine dai mezzi, diventando capace di comportamenti intenzionali. L’infante ricerca la vicinanza della madre, piange se non è in sua prossimità e protesta quando viene lasciato solo con degli estranei. Inizia le sue prime esplorazioni, utilizzando comunque la figura d’attaccamento come base sicura. Con il continuo sviluppo dell’organizzazione cognitiva, insorge anche il concetto di permanenza dell’oggetto, per cui comprende che un oggetto continua ad esistere, anche se si trova al di fuori della sua visuale.

 

L’età prescolare.

La capacità di comprendere che un oggetto esiste, anche se non si trova in tal momento nella propria visuale, si traduce progressivamente nella fiducia del ritorno della madre, durante la sua assenza. La comparsa del linguaggio modifica notevolmente la comunicazione, rendendola più diretta: il bisogno di vicinanza viene ora espresso in parole. Il bambino inizia ad essere consapevole e a dare importanza ai sentimenti del caregiver, fino ad ad assumere la prospettiva dell’altro.

Qui si può iniziare a parlare del concetto di esplorazione congiunta, per cui genitore e figlio condividono l’attenzione su un oggetto comune, visibile per esempio dal gesto indicativo fin dai primi anni. Per quanto riguarda la socializzazione invece, i bambini sicuri già all’età di 2/3 anni sono competenti socialmente, cominciano i contatti con altri bambini, mostrando un notevole comportamento pro-sociale e talvolta già un buon grado di empatia.

I bambini evitanti al contrario, tendono ad isolarsi e manifestano maggiore ostilità; mentre i bambini ambivalenti, si mostrano frustranti e ansiosi nelle interazioni con i coetanei.

 

Età scolare.

I bambini iniziando ad esibire il comportamento d’attaccamento meno spesso, grazie alla loro capacità di provvedere a se stessi, che permette di comprendere quali siano le situazioni allarmanti, formulando migliori strategie d’azione.

Quando i bambini cominciano ad identificare correttamente i pericoli e ad agire in modo appropriato,anche i genitori possono permettersi di allentare il controllo e favorire in questo modo nei figli, un senso di crescente padronanza e autodeterminazione.

Le prime esplorazioni infantili e molte di quelle preadolescenziali, avvengono congiuntamente al genitore, che svolge insieme al figlio varie attività, ponendosi allo stesso tempo come compagno e come modello d’identificazione. Ciò fa sì che i bambini prendano come riferimento le norme e i valori espressi dai genitori, interiorizzandoli. Da qui deriva il concetto di committed compliance, che si manifesta ogni qualvolta il bambino s’impegna in comportamenti che seguono le direttive genitoriali, ma che egli percepisce come motivati internamente, dando luogo al sé morale.

 

L’evoluzione dei modelli d’attaccamento a 5-7 anni.

Il bambino sicuro appare felice, ma non in modo costante, nell’accogliere il genitore: ha una conversazione fluente con quest’ultimo, mostra un contatto dello sguardo appropriato e vi è contatto fisico tra i due. Inoltre, mostra una buona attenzione per le attività esterne.

Il bambino evitante invece, accoglie il genitore educatamente o al contrario, lo ignora.

Ha risposte minime alle aperture del genitore, non avvia mai una conversazione con lui e mostra un contatto visivo minimo. Sembra non manifestare alcuna emozione ed è costantemente occupato nelle sue attività. Il bambino ansioso/ambivalente è polemico e litigioso: genitore e figlio discutono per tutto quanto l’episodio, oppure il bambino agisce in modo inappropriato, manifestando un forte deficit nella capacità di chiedere aiuto.

 

Dalla preadolescenza all’adolescenza.

Il bambino che ha ricevuto e continua a ricevere una cura genitoriale sensibile e responsiva, interiorizza, con i modelli operativi interni, la figura d’accudimento come affidabile. Inoltre, è in grado di trasferire questa fiducia nelle relazioni con i coetanei e con gli altri adulti significativi, mostrando una forte propensione per il sociale.

Il bambino evitante preferisce starsene per conto suo, cercando di risolvere il problema senza l’aiuto di nessuno, affermando inoltre, di avere moltissimi amici senza riuscire a nominarne nemmeno uno in particolare; non a caso i genitori di bambini evitanti si presentano come “non disponibili”.

I bambini ambivalenti invece, vengono facilmente vittimizzati, i loro genitori tendono a scoraggiare l’esplorazione e le loro espressioni di autonomia. A volte, nel caso in cui per esempio le relazioni familiari sono inadeguate, le amicizie possono svolgere una funzione compensatoria.

L’attaccamento in adolescenza.

In questo periodo vi è un cambio di passo: l’adolescente infatti comincia a valutare le sue scelte come frutto di un’elaborazione quasi esclusivamente autonoma.

In particolare vi sono tre distinte dimensioni connesse all’autonomia dell’adolescente:

  • dimensione di vicinanza: include l’empatia, i legami emotivi, l’apertura e la reciprocità nelle relazioni familiari;
  • dimensione di competenza: capacità di prendere decisioni di vita;
  • dimensione di autonomia emozionale: capacità di definire autonomamente i propri valori, bisogni e desideri, accompagnati da una capacità di funzionare indipendentemente dai genitori.

Importante è precisare che autonomia e relazione risultano essere due dimensioni strettamente connesse; la percezione di poter contare stabilmente su genitori presenti e costanti, permetterebbe una maggiore consapevolezza e fiducia in sé e nelle proprie potenzialità.

Nella teoria dell’attaccamento dunque è evidente come la capacità di esplorazione autonoma sia proporzionale alla sicurezza e alla valorizzazione del legame con la figura d’accudimento.

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